Narrativa italiana Racconti La paura e altri racconti della grande guerra
 

La paura e altri racconti della grande guerra La paura e altri racconti della grande guerra

La paura e altri racconti della grande guerra

Letteratura italiana

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La paura è un capolavoro assoluto. E’ una storia semplicissima e proprio per questo una devastante accusa contro la guerra. Un gruppo di soldati italiani provenienti da varie regioni è bloccato in una trincea sotto il tiro micidiale di un cecchino austriaco che impedisce loro di uscire allo scoperto. L’ufficiale, un uomo sensibile ai sentimenti e alle paure dei suoi soldati, deve però mandarne fuori uno alla volta per raggiungere un posto di vedetta sguarnito. Vediamo così sfilare e morire uno ad uno i suoi uomini. Ognuno di loro racconta in dialetto il proprio terrore.



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La paura e altri racconti della grande guerra 2014-09-21 19:58:09 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    21 Settembre, 2014
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La paura è contagiosa

Si avvicina il primo centenario dell’inizio della Grande Guerra e la casa editrice e/o ha inteso procedere a una commemorazione stampando questo volumetto di racconti (in tutto quattro) ambientati nel corso di quel conflitto. Stranamente i narratori italiani ne hanno parlato poco o meglio ancora pochi sono quelli che ne hanno scritto;fra questi figura Federico De Roberto, più conosciuto per il suo capolavoro intitolato I Viceré. Ebbene, da un romanziere come lui, mai mi sarei aspettato la straordinaria capacita nel descrivere il quotidiano di un dramma collettivo quale può essere una guerra.
Premetto che il primo dei brani, intitolato La paura e che dà il titolo all’intera opera è un autentico capolavoro e da solo giustifica ampiamente la lettura di questo libro. Gli altri tre, pur essendo validi e di ottima qualità, vi sfigurano, se raffrontati al primo, ma preferisco – e così posso meglio parlare di quest’opera – procedere per gradi con brevi cenni sui racconti, non partendo dal primo, ma anzi lasciandolo per ultimo.
Il rifugio è un ritratto della casualità, con un capitano, in missione, costretto dall’inclemenza del tempo a chiedere ospitalità a una famiglia di contadini che poi risulteranno parenti stretti di un soldato appena fucilato per diserzione. Al riguardo intense e convincenti sono le pagine che parlano dell’esecuzione, in cui emerge da parte degli ufficiali del condannato un senso di profonda pietà, a cui non si sottraggono pur consapevoli della necessità del provvedimento per quella disciplina indispensabile in ogni esercito, soprattutto in tempo di guerra.
La retata è quello che non ti aspetti, cioè un brano divertente innestato nell’immane tragedia del conflitto. Grazie al protagonista picaresco, un romano che parla solo nel suo dialetto e che per le caratteristiche mi ha fatto venire in mente il grande Alberto Sordi, sembra esserci un attimo di pausa nella tragedia, con situazioni indubbiamente comiche e al riguardo basti pensare che, preso prigioniero, il nostro soldato, eroe a suo modo, accortosi della fame dei suoi carcerieri, li incanta con la descrizione di quanto di buono si mangia nell’esercito italiano, al punto che questi lo liberano e finiscono per consegnarsi ai nostri.
L’ultimo voto è un po’ più convenzionale e tratteggia una donna rimasta vedova del marito morto in guerra e stridente appare la discrasia fra la scomparsa eroica dell’uomo, innamoratissimo della moglie, e la capacità di lei di consolarsi ampiamente.
La paura nella sua trama è tutto sommato semplice. In un tratto del fronte, da tempo del tutto calmo, c’é una postazione avanzata ed esposta in cui è necessaria la costante presenza di una vedetta che possa osservare se da lì possa venire l’attacco del nemico. In un giorno come tanti e come sempre ogni due ore avviene il cambio, ma ecco che chi monta viene ucciso o comunque ferito gravemente da un cecchino e anche quelli che nell’ordine vanno all’appostamento fanno la stessa fine. L’attesa dei predestinati, il lacerante contrasto intimo dell’ufficiale, combattuto fra il senso del dovere e l’angoscia per la sorte dei suoi uomini, l’implacabile freddezza del cecchino che non si scompone nemmeno di fronte a un bombardamento della nostra artiglieria, le urla strazianti di un ferito segnano queste pagine in un crescendo di tensione che fa sentire il lettore quasi presente, magari pure lui nella fila di quelli che devono andare, con morte pressoché certa, a quel maledetto avamposto. Così la paura serpeggia, si trasmette velocemente come un virus e contagia anche un soldato con la tempra da eroe, portando a una conclusione non liberatrice, ma ancor più angosciante. Qui De Roberto si esprime a livelli elevatissimi e pur tuttavia con semplicità, il che indubbiamente giova alla gradevolezza della lettura, dimostrando ancora una volta le sue capacità di analisi psicologica e facendo di questo racconto un veemente atto d’accusa contro ogni guerra, senza retorica, con la crudele realtà di un fatto forse come tanti, ma estremamente emblematico.
La paura e altri racconti della grande guerra è un libro senz’altro meritevole di essere letto.

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