Uomini e no Uomini e no

Uomini e no

Letteratura italiana

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Enne 2, un partigiano che vive la Resistenza a Milano nel 1944, è tormentato dall'amore impossibile per una donna sposata, Berta. Disperazione sociale ed esistenziale lo spingeranno a un'ultima, suicida impresa di guerra. Composto durante la Resistenza, nel momento, cioè, dell'intensa partecipazione di Vittorini alla lotta antifascista, "Uomini e no" riflette l'insanabile rapporto tra umanità e violenza, uomini e sedicenti tali: a sottolinearlo, alcuni brevi capitoli di riflessione nei quali l'autore affronta la stessa situazione da punti di vista diversi, imponendo all'attenzione del lettore le molteplici realtà in cui l'uomo è condannato a vivere.



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Uomini e no 2023-06-27 15:23:07 Calderoni
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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    27 Giugno, 2023
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Anche Hitler è stato uomo

Penso che il romanzo Uomini e no di Elio Vittorini contenga una delle riflessioni più potenti della nostra letteratura. «Noi abbiamo Hitler oggi. E che cos’è? Non è uomo? Abbiamo i tedeschi suoi. Abbiamo i fascisti. E che cos’è tutto questo? Possiamo dire che non è, questo anche, nell’uomo? Che non appartenga all’uomo?». Sì, Hitler, i nazisti, i fascisti sono uomini perché l’essere umano è per definizione il vizio assurdo e l’ideale più sublime. Sì, Hitler, i nazisti, i fascisti sono uomini perché nelle pagine resistenziali milanesi che vengono scritte dall’autore di Siracusa si può scorgere tutta la vasta gamma di azioni e di atti che un uomo può compiere contro un altro uomo, facendolo in modo consapevole, pianificato e vendicativo. Ecco quindi che non deve sorprendere la vendetta del gerarca fascista Clemm nei confronti dell’anziano Giulaj, reo di aver ucciso con una lametta, per autodifesa personale, un cane poliziotto di proprietà dello stesso Clemm; la decisione è drastica: Giulaj verrà fatto sbranare dagli altri cani dell’Albergo Regina di Milano. I militi nazifascisti assistono alla scena e non pensano che la volontà di vendetta di Clemm possa spingersi a tanto. Inizialmente pensano che stia giocando e voglia spaventare Giulaj, in realtà non ferma l’incedere dei suoi cani poliziotto affamati e deliberatamente gli permette di sbranare un uomo.
Uomini e no è uno dei romanzi che meglio descrive la resistenza in una grande città come Milano. Dal punto di vista geografico, Vittorini è molto preciso: i luoghi menzionati dal libro sono i luoghi reali nei quali si sono verificati i fatti durante i mesi resistenziali. Inoltre, lo scrittore rende bene il complesso reticolato della Milano occupata dai nazifascisti perché al di sotto di una suddivisione apparentemente binaria (nazifascisti contro partigiani) esistevano diversi sottogruppi, diverse bande e diversi interessi. A tal proposito, è emblematica la figura di Cane Nero, uno che agisce da “ripulitore” di Milano svincolandosi però dall’organizzazione nazifascista; si tratta semplicemente di un violento assetato di sangue che sfrutta lo stato di anarchia in cui è sprofondata l’Italia dall’8 settembre 1943 per imperare e incutere paura. Vittorini riesce anche a portare il lettore negli assalti e negli agguati architettati dalle bande partigiane contro il nemico nazifascista, nella consapevolezza generale che per ogni nazista ucciso toccava la fucilazione a dieci partigiani.
Il periodo preso in considerazione da Vittorini per il suo capolavoro bellico è l’inverno 1944. Il protagonista è il partigiano Enne 2, innamorato da tanti anni di una donna più grande di lui: Berta è già sposata, non abita a Milano, non è una donna della Resistenza, sebbene sia vicina a Enne 2, e non può concedersi al più giovane partigiano. Enne 2 vive nell’attesa della venuta di Berta, aspetta che Berta possa finalmente aprire un nuovo capitolo della sua vita, quello al suo fianco. L’attesa si prolungherà a tal punto che Enne 2 non fuggirà nemmeno quando saprà di essere ricercato dopo l’ennesimo tentativo di agguato; non andrà, come tutti i suoi compagni gli suggerivano, a Torino ma resterà nella sua casa di Milano diventando facile preda per Cane Nero e i suoi uomini. Si consegnerà al nemico, non prima di sfidarlo per un’ultima volta nel momento della morte. Perché fa tutto questo? Perché non prova nemmeno a tutelare la sua esistenza? Perché senza Berta si sente destinato alla perdizione, è un amore impossibile che ritrova, nell’eccezionalità del momento storico, la sua naturale giustificazione. «Il fatto stesso che non arrivasse significava che non poteva arrivare; che non sarebbe mai arrivata, o che sarebbe sempre ripartita, come sempre; e che era inutile aspettare, inutile cercare di sfuggire, inutile cercare di sopravvivere, di non perdersi». In un libro pieno di domande, è lecito chiedersi se un uomo destinato alla perdizione come Enne 2 possa lavorare per garantire la felicità agli uomini. Una possibile risposta arriva dalla compagna Selva, che aiuta da vicino le bande partigiane: «Volete lavorare per la felicità della gente, e non sapete che cosa occorre alla gente per essere felici». Selva è soltanto una delle altre donne che gravitano intorno a Enne 2. Non si può scordare nemmeno la portatrice d’armi Lorena, con la quale finisce anche a letto. Tuttavia, l’amore è un’altra cosa perché «prenderne una che non è la tua ed ecco avere, in una camera d’albergo, invece dell’amore, il suo deserto». L’amore per Enne 2 ha un solo volto, quello di Berta.
Quello che colpisce è l’insistenza di Vittorini sulla semplicità degli uomini che combattono la Resistenza; sono uomini semplici e pacifici che dalla loro vita volevano cose semplici, tanto che parlavano di cinematografo e bachi da seta appena prima delle battaglie. Spunta, quindi, un’altra domanda: «Perché, ora, lottavano?». Emblematico in un romanzo fatto di domande è il personaggio di Gracco, che era curioso degli uomini e voleva sempre conoscere le ragioni delle loro azioni. La sua lezione va, tra l’altro, in controtendenza in un mondo attanagliato dalla guerra nel quale nessuno si stupiva di niente, nessuno domandava spiegazioni. Il libro è polifonico, il punto di vista varia e i personaggi, più o meno importanti, prolificano, anche se poi, una volta morti, tutti acquisivano «la stessa faccia», nessuno escluso, perché quando si osserva la morte tutto diventa superfluo. Merita una menzione El Paso, uno dei più singolari personaggi del volume. Si tratta di un partigiano, nato in Spagna, ma infiltrato tra i nazisti all’Albergo Regina («Egli sta con loro, gioca con loro, e noi dobbiamo dire che un uomo nostro è come loro»). Una risposta lo identifica, «Ehm», quello stesso suono che richiama alla memoria il finale di Conversazione in Sicilia. «Ehm» cela una conoscenza più approfondita di quello che è l’intrecciato sistema della Milano dell’inverno 1944, nel quale El Paso tenta di destreggiarsi, così come l’«Ehm» di Silvestro e Concezione al termine di Conversazione è l’intercalare della consapevolezza. A proposito di Conversazione, Uomini e no ne ricalca lo stile lirico e lo si potrebbe definire la naturale prosecuzione.
In un romanzo riflessivo, nel quale le parti in tondo vengono alternate da analisi in corsivo, contraddistinte da una potente componente onirica, ci sono alcune considerazioni che non possono lasciare indifferenti. La prima: «Gli uomini potevano perdersi dappertutto e dappertutto resistere... Che si potesse resistere come se si dovesse resistere sempre» perché in fondo «resistere? Era per esistere. Era molto semplice». La seconda: «Perché si chiamava civile una guerra in cui due fratelli potevano trovarsi l’uno contro l’altro? Non si sarebbe dovuto chiamarla, anzi, incivile?». Sembra tutto lapalissiano, ma la guerra oscura tutto, anche quello che può apparire lampante. Come spesso capita fin dalle scuole superiori, Uomini e no si ricorda per la sua alternanza di tondo e corsivo. Se l’incedere narrativo è destinato alla parte in tondo, invece la riflessione risiede nel corsivo, dove lo scrittore entra dentro a Enne 2 e quasi si trasforma in Enne 2. «Io a volte non so, quando quest’uomo è solo io quasi non so s’io non sono, invece del suo scrittore, lui stesso. Ma, s’io scrivo di lui, non è per lui stesso; è per qualcosa che ho capito e debbo far conoscere; e IO l’ho capita; IO L’HO; e io, non lui, la dico». Sta in questa considerazione la missione del libro: fermarsi e chiedersi se anche Hitler è stato uomo e infine darsi una risposta amara ma oggettiva: sì, lo è stato.

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Uomini e no 2021-01-13 21:49:02 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    13 Gennaio, 2021
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Amore e morte, libertà e oppressione

Un romanzo sotto diversi punti divista agghiacciante “Uomini e no” di Elio Vittorini. Ambientato durante la resistenza nella città di Milano, ha come protagonisti una serie di personaggi di cui non conosciamo i nomi, ma solo generici soprannomi. Una volontà di celare dietro l’anonimato i combattenti partigiani che si impegnano contro un nemico che appare ferocemente spietato. Solo il personaggio femminile, Berta, ha un’identità ben definita. Ella rappresenta, da un lato l’amore incompiuto di Enne2, dall’altro il mondo borghese, meno coinvolto nell’assurda realtà della guerra.
La trama del romanzo si dipana attraverso capitoli di dialoghi brevissimi e veloci alternati a capitoli in corsivo dove il protagonista si confronta con se stesso con il suo passato, la sua infanzia, il suo amore per Berta. In questo scenario il nemico agisce secondo la logica ben conosciuta: atroci torture, rappresaglie, vendette. Milano offre un paesaggio spettrale, le sue strade sono popolate di morti reali e morti viventi. La libertà degli individui è soppressa. Ciò che resta della vita è solo incubo. Enne2, che è a capo dell’organizzazione partigiana viene scoperto e la sua vita è in pericolo. Egli, tuttavia rinuncia alla fuga, rimane al buio nella sua stanza nella vana speranza di ricongiungersi a Berta, confortato dall’affetto dei compagni. Questo è sostanzialmente il messaggio positivo del romanzo: i valori di fratellanza e solidarietà sono ancora saldamente radicati nell’animo di coloro che non hanno perso il senso della pietà: perché il mondo è tragicamente diviso in Uomini e No.

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Uomini e no 2020-04-24 16:34:08 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    24 Aprile, 2020
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L’umana dicotomia

Per quanto scritto all'indomani della Liberazione da un intellettuale dichiaratamente di sinistra, e malgrado sia una storia di lotta partigiana, questo libro non è, né vuole essere, una elegia della Resistenza.
O almeno non solo.
Direi che ha un intento invece meramente morale, con chiari riferimenti etici sulla natura dell’Uomo, e sul significato della propria esistenza, già dal titolo.
Questo infatti non sta a indicare una separazione, meno che mai è uno spartiacque tra buoni e cattivi, uomini definiti tali come sinonimo di buoni, perché combattenti nella Resistenza, o invece indicati come cattivi, perché inquadrati nelle truppe dell’occupazione tedesca e degli ultimi disperati ancora schierati con il fascismo.
Questo romanzo è un libro straordinario per l’epoca della sua pubblicazione, è avanti, in anticipo sui suoi tempi.
Precorre in forma romanzata, attraverso dei racconti di guerriglia nella Milano occupata degli ultimi tempi di guerra, redatti con stile cronachistico, conclusioni intellettive di filosofia morale, che seguiranno di lì a poco.
Considerazioni stupefacenti, e terribilmente logiche, che saranno enunciate più tardi, in modo forse più esauriente ed esaustivo, all'indomani del processo di Norimberga, da valenti studiosi, un nome per tutti, Hanna Arendt, allorché vari pensatori discetteranno a mente fredda, in proposito alla cosiddetta “banalità del male”.
Perché il male, ricordiamolo, è stupido, insensato, illogico, perciò è banale.
Se è banale, significa che è comune, alla portata di chiunque, qualsiasi uomo “normale” o no, può compierlo. Per questo è spaventoso.
Il male alberga in chiunque, nessuno ne è esente, ciascuno a suo modo.
Non esistono gli innocenti, i puri di cuore, gli angeli, ognuno è arbitro di quanto succede nel suo stesso arco temporale di vita.
Chiunque perciò sa fare il male…anche il bene, e però questo è più impegnativo, e meno gratificante.
Solo in questo senso, allora, si può parlare di uomini che si impegnano o meno, uomini e no.
Esiste un solo genere, una sola specie di uomini, l’unica possibile: quella che è in grado di pensare, di ragionare, di distinguere tra giusto e sbagliato, tra corretto o meno, e sa farlo bene, se solo vuole farlo.
Distinguere tra uomini e no in base ad una presunta appartenenza che ti rende incolpevole, non responsabile, uno che ha solo obbedito agli ordini, per quanto pazzeschi, è un falso, un alibi di comodo.
Una menzogna detta sapendo di mentire, anche a sé stessi.
Se un uomo non fa quanto sa perfettamente che è etico, non lo fa perché non vuole, preferisce la scelta più facile e comoda, quella più banale, appunto.
Bene e male guidano la nostra esistenza, sono come due entità viventi, a volte predomina l’una, a volte l’altra, dipende da noi, quale delle due alimentiamo al meglio.
Non esiste nella realtà una netta distinzione tra uomini e no, tra bene e male, tra nero e bianco; tra due estremi esistono infinite sfumature di toni e di colori, e sono queste quella che si rinvengono con maggiore frequenza: sono necessariamente quelle più veritiere.
Sono le circostanze, gli eventi, i fatti creati dall'uomo stesso a guidarli nelle loro azioni; possono perciò trovarsi costretti ad obbedire ciecamente agli ordini, pena la loro stessa vita; altrettanto facilmente possono decidere di prendere le armi e togliere la vita, o ancora possono astenersi, possono scegliere di schierarsi, o di non schierarsi ed assistere passivamente, possono sforzarsi di cambiare fatti, idee, circostanze, possono fare tutto ed il contrario di tutto.
Ognuno presenta una propria sfumatura, e la decide in autonomia.
In ognuno c’ è una spinta a manifestarsi al meglio possibile, date le circostanze in cui si ritrova nel suo personale cammino umano.
Può allora ritrovarsi, come il protagonista Enne 2, un qualsiasi signor nessuno, suo malgrado, nei panni di un capo della lotta partigiana, che progetta e attua eroici attentati contro militari tedeschi
Per poi realizzare, con amarezza, con dolore, che quanto egli ritiene sacrosanto provoca, in maniera stupida e banale, la rappresaglia su quaranta innocenti. Mandando in crisi la sua coscienza.
Un male assurdo, ritenuto indispensabile, proprio per la sua illogicità, non può che provocare altro male, tanto futile quanto doloroso. La banalità del male.
Enne 2 è a modo suo un uomo schierato dalla parte giusta, ma certamente non è un uomo perfetto.
Coltiva amore e passione per la donna di cui è innamorato, che non lo corrisponde, perché già sposata, e dibattuta nel dilemma morale della fedeltà o il cedere al nuovo amore; eppure nel cuore di Enne 2 alberga la comprensione, non il banale livore nei confronti del rivale.
Il male è banale.
Un ufficiale tedesco fa brutalmente sbranare dai suoi cani un pover’ uomo neanche coinvolto nella guerra partigiana, è un atto banalmente indicativo di una mente malata. Finanche un militare che assiste sente stringersi il cuore, e distoglie banalmente lo sguardo.
L’operaio che succede a Enne 2 al comando del gruppo partigiano, per quanto abile, patriottico e coraggioso, evita di sparare ad un giovane tedesco, si riconosce in lui, anche se sarebbe banalmente facile premere il grilletto. E via così, tutto il libro scorre su questa falsariga.
Quello che rende lirico, intenso, addirittura onirico e teorico il romanzo, è con tutta evidenza lo stile con cui è redatto. Mirabile magistrale insieme, unico, originale.
Da un lato le azioni e le considerazioni di Enne 2, le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi dubbi e le sue paure; dall'altro, e appositamente redatto in carattere corsivo, a beneficio del lettore, tutte le altre considerazioni, riflessioni, introspezioni su quei gesti e quei ragionamenti dette con il tono del narratore, di colui che spiega, che discetta, che ragiona.
In verità, non è l’autore, non è il narratore, è l’alter ego del protagonista stesso, la voce della sua coscienza, il suo io interiore che si interroga sulla giustezza e la logica di quanto sta accadendo.
Non è lui, ma sono tutti gli uomini, i veri protagonisti di questo romanzo di Vittorini.
Non è un libro della Resistenza e della Liberazione, è un libro che parla di Resistenza e di Liberazione per sottolineare l’assurdità della guerra, delle morti, delle divisioni, della violenza.
Della banalità del male.
Molto particolare, redatto in forma discorsiva, con artificio del corsivo di cui abbiamo detto, che esprime l’umana dicotomia, che infine si estrinseca nell'unità etica del romanzo.
Un romanzo realista, un’opera miliare del neorealismo letterario italiano, ma direi intensamente realistica, descrive mirabilmente non solo l’azione, ma anche meglio l’interiorità degli uomini.
Se solo si impegnano, sanno essere assai meno banali, gli uomini. Possono, si.


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Elio Vittorini, e anche Hanna Arendt.
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Uomini e no 2018-10-01 06:21:00 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    01 Ottobre, 2018
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ESSERE E NON ESSERE

“Io a volte non so, quando quest’uomo è solo – chiuso al buio in una stanza, steso su un letto, uomo al mondo lui solo – io quasi non so s’io non sono, invece del suo scrittore, lui stesso.
Ma, s’io scrivo di lui, non è per lui stesso; è per qualcosa che ho capito e debbo far conoscere: e io l’ho capita; io l’ho; e io, non lui, la dico."

“Uomini e no” è stato scritto nel 1945, molto vicino quindi agli avvenimenti raccontati. Eppure, rispetto ad altri libri sulla resistenza, esso presenta un taglio molto particolare. La lotta armata dei partigiani, i rastrellamenti dei fascisti, le rappresaglie dei tedeschi, sono infatti sì narrate realisticamente, nei minimi dettagli, ma anche con una sorta di straniamento, di distanziazione emotiva. Vittorini non intende scrivere una sorta de “Il partigiano Enne 2”, bensì privilegiare da una parte la riflessione politico-morale, dall’altra la dimensione introspettiva e intimista. Per quanto riguarda la prima, lo scrittore è manicheo fin dal titolo: scegliere la resistenza o il fascismo, i partigiani o gli “uomini con la testa di morto sul berretto” può forse essere casuale (come nel film “Cognome e nome: Lacombe Lucien” di Louis Malle), dipendere da pigrizia, opportunismo, ignavia e non da una decisione meditata, ma non è mai eticamente indifferente. Se anche i ragazzi della milizia sono potenzialmente delle brave persone che trovano inconcepibile ammazzare a sangue freddo uno di loro che sta dall’altra parte, la loro scelta di sbadigliare e di voltarsi dall’altra parte per non vedere le nefandezze del regime e gli orrori dell’occupazione li condanna senza possibilità di appello. Per Vittorini non vi possono essere compromessi e ambiguità: i partigiani sono uomini (semplici e pacifici anche quando uccidono, capaci di morire per la libertà altrui), i fascisti no. Bisogna avere l’onestà morale di tracciare una netta linea di demarcazione tra bene e male, tra giusto e ingiusto, perché ogni uomo (ad esempio, l’operaio che nell’ultimo capitolo si unisce alla resistenza) ha avuto la possibilità, anche se non sempre facile, di scegliere da che parte stare: o di qua o di là. In alcune bellissime pagine, Vittorini si interroga se tutto quello che opprime l’uomo e ne offende la dignità è in qualche modo nell’uomo, dentro all’uomo o fuori di lui, se può essere confinato nel “comodo” territorio della pazzia o della bestialità oppure no, e la sua risposta è che tutti noi siamo potenzialmente mostri od eroi, e solo la nostra capacità, magari innata, magari istintiva e pre-logica, di discernimento morale (Enne 2 sa che deve rimanere nella casa e “perdersi”, ma solo l’operaio gli fa capire in un secondo momento il perché) ci fa essere uomini giusti o uomini sbagliati, patrioti od oppressori.
La terza dimensione del romanzo, dopo quella per così dire realistica e quella politica, è anche la più sorprendente e innovativa. Enne 2 è un po’ come certi eroi dei film di Melville che fanno rapine, uccidono, vivono avventure fuori del comune, ma poi, una volta a casa propria, tornano a essere uomini che soffrono per la solitudine o per la mancanza di una donna. In questo senso, Enne 2 è, in un’epoca storica in cui si sopravvive a stento e si lotta quasi senza speranza, solo per resistere, un anacronistico epigono del romanticismo (o addirittura un esistenzialista ante litteram), che si tormenta perché non può avere vicino a sé la donna che ama e da cui è riamato, e che in questa impari sfida ingaggiata col destino, ossessionato dai compagni che si sono perduti e che lui non è stato in grado di salvare, alla ricerca di una semplicità che egli vede negli altri ma che fatica a trovare in se stesso, finisce per abbandonarsi alla seduzione dell’annullamento e del sacrificio supremo. In queste accensioni simboliche e psicanalitiche, in cui Milano viene descritta come un deserto, materializzazione inquietante dell’anima del protagonista, e persino il nemico per eccellenza, Cane Nero, sembra una figura mentale e teorica, lo scrittore si astrae dal suo ruolo e diventa egli stesso un personaggio (lo “spettro”), svelando la natura fittizia della sua creatura nel medesimo momento in cui si rivela come “io”. C’è peraltro una sorta di simbiosi, di identificazione tra autore e Enne 2, che si evidenzia soprattutto nei viaggi a ritroso nell’infanzia del protagonista, in cui si può intuire quasi un mesto “amarcord” autobiografico. Il massimo dell’astrazione si coniuga perciò con il massimo della realtà, sia pure deformata in chiave lirico-poetica, ed in questa ossimorica contrapposizione risiede lo strano fascino del romanzo.
Non si può comunque dire che Enne 2 sia l’unico protagonista di “Uomini e no”. Altri personaggi si ritagliano un loro spazio importante, da Gracco, che “sempre conversava con chi incontrava,…, come tra un uomo e un uomo si fa, o come un uomo fa da solo, di cose che sappiamo e a cui pur cerchiamo una risposta nuova, una risposta strana, una svolta di parole che cambi il corso, in un modo o in un altro, della nostra consapevolezza”; a Figlio-di-Dio, che instaura un muto e surreale dialogo col cane dell’aguzzino tedesco per convincerlo a recedere dal ruolo cui è stato incolpevolmente destinato, ma che alla fine è costretto a sopprimerlo; a El Paso il quale, spacciatosi per diplomatico spagnolo, partecipa alle orge dei nazisti, costringendoli beffardamente a brindare in onore dei partigiani uccisi; a Orazio e Metastasio, inseparabili compagni di lotta, di vita e di lavoro. Le loro parole (così come le loro azioni) sono tutte di una estrema semplicità, i loro dialoghi scorrono lineari e scabri. Così è anche lo stile del romanzo, privo di ridondanze e di preziosismi linguistici e pieno invece di conversazioni in cui le risposte replicano tautologicamente le domande, quasi l’autore volesse sfrondare i concetti di ogni possibile fraintendimento verbale, presentarli nella loro nuda, sobria essenzialità e mettere alfine in evidenza quello che è il suo messaggio più autentico: la necessità cioè di non far cadere nel vuoto l’esempio dei caduti per la libertà (non una libertà generica, ma la libertà di ogni essere umano) e il conseguente obbligo per i sopravvissuti di imparare, di capire, di acquisire una nuova e rigenerata consapevolezza per far sì che le pagine nere della storia non si ripetano mai più.

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"Il partigiano Johnny" di Beppe Fenoglio
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Uomini e no 2016-10-22 06:21:01 Belmi
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Belmi Opinione inserita da Belmi    22 Ottobre, 2016
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Se piangiamo accettiamo. Non bisogna accettare

La caratteristica principale di “Uomini e no”, di Elio Vittorini, è che incominciò a circolare già poche settimane dopo la liberazione. Era infatti stato scritto dall’autore durante il periodo in cui Milano ricopriva un ruolo importante prima della fine della guerra. Probabilmente è il primo o uno dei primi libri in circolazione sulla Resistenza.

Quello che lo può differenziare dagli altri è che questo non è il solito resoconto o racconto in prima persona. Vittorini decise di scrivere un “romanzo” molto particolare, intervallato da pensieri personali. Inoltre il momento stesso in cui l'autore l'ha scritto ("a caldo") rispecchia le emozioni e pensieri che un uomo può provare in un determinato momento della vita.

Il suo protagonista è Enne 2, uno dei capi della Resistenza, siamo a Milano nell’inverno del 1944. Se da una parte risalta il ruolo dei combattenti, dall’altra viene rappresentato il dramma interiore che sta vivendo il protagonista.

In “Uomini e no” i capitoli sono ricchi di dialoghi che scorrono velocemente, intervallati da parti scritte in corsivo. La parte in corsivo rallenta un po’ la lettura, ed è quella in cui l’autore comunica direttamente con l’io interiore del protagonista. Vittorini interagisce, commenta e fa riflettere Enne 2 e noi insieme a lui.

L'autore, pur lesinando con le descirzioni, riesce comunque a rendere una Milano tangibile, reale e profonda. Con i suoi dialoghi così secchi, con quelle frasi ripetute, non fa smarrire il lettore, ma lo lascia ancorato alla pagina e lo fa riflettere. Gli interrogativi e i pensieri che accompagnato Enne 2, accompagnano anche noi. Possiamo essere uomini oppure no. Sono poche le azioni che si svolgono durante la narrazione, ma restano indelebili, in particolare c’è una scena che mi ha toccato profondamente.. “Sembrava che volesse tutto di quell’uomo sotto i suoi colpi. Non che per lui fosse uno sconosciuto. Che fosse davvero una vita”. Pur essendo un romanzo, molto del pensiero dell’autore è all’interno del libro. Le frasi lasciate in tedesco rendono la parte ancora più reale.

Non posso fare a meno di consigliarlo, e voglio lasciarvi con due parti tratte dal romanzo:

“Un uomo deve avere una compagna. Tanto più deve averla se è uno dei nostri. Dev’esser felice. Che cosa può sapere di quello che occorre agli uomini se uno non è felice? Noi per questo lottiamo. Perché gli uomini siano felici”.

“Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un’altra donna: questo era il modo migliore di colpire l’uomo. Colpirlo dove l’uomo era più debole, dove aveva l’infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la costola staccata e il suo cuore scoperto: dov’era più uomo”.

Buona lettura!!

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Uomini e no 2012-07-31 13:34:58 Maurizio.costa
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Maurizio.costa Opinione inserita da Maurizio.costa    31 Luglio, 2012
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Uomini o bestie?

Il romanzo dei contrasti: l' amore e la guerra, la serenità e il terrore, l' uomo e le bestie. Non il solito romanzo riguardante le lotte Partigiane contro l' armata delle SS. Il Vittorini ci presenta la Milano del 1944: una città desolata e fredda, ma allo stesso tempo colma di gente e scaldata dal sole di uno degli inverni più caldi. La storia di Enne 2, un uomo diviso tra il suo io e la sua coscienza (personificata dagli interventi dello stesso autore) capo di un gruppo di partigiani. E' giusto uccidere i tedeschi che poi si vendicheranno sulla stessa popolazione innocente? Enne 2 non riesce a dare delle risposte ai suoi quesiti, ma intanto continua la sua azione, trascinato da un odio sconfinato verso quelle ingiustizie. La storia di partigiani, tutti con una storia diversa, tutti ragazzi che amano la propria famiglia, che non abbandonerebbero mai ma che allo stesso tempo muoiono pur di vendicare vittime innocenti, lasciando mogli e figli da soli. Un altro contrasto nel libro dei dialoghi brevi e ripetitivi. Siamo uomini o no? Al romanzo la risposta.

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''La casa in collina'' di Cesare Pavese e ''Se questo è un uomo'' di Primo Levi.
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Uomini e no 2012-03-30 15:06:33 Cla93
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4.0
Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
5.0
Cla93 Opinione inserita da Cla93    30 Marzo, 2012
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Umanità distante

Milano, 1944. I tedeschi sono in città, e la guerra civile è ormai scoppiata in tutta Italia. Enne due è un capo partigiano che organizza le azioni di un nucleo di Resistenza nella città. Vittorini ci racconta questa storia – fortemente autobiografica – con uno stile ridondante e tormentato. Ci parla dei tedeschi che per ogni loro soldato ucciso uccidevano a loro volta dieci civili. Ci parla di Enne due, e del suo grande amore, Berta. Ci parla di Figlio – di – Dio, di Fessone, del Gracco e di moltissimi altri uomini che hanno abbandonato le loro famiglie per combattere in nome della libertà. Uno storia drammatica, con un finale terribile, che Vittorini racconta “senza peli sulla lingua”. Intervenendo sei volte nel romanzo ( gli interventi sono chiari poiché scritti in corsivo), il Vittorini parla direttamente con Enne due ( uno è la coscienza dell’altro e viceversa) e ci fa riflettere sull’uomo, sull’esistenza, su cos’è che ci rende umani e cosa bestie.
Un romanzo sulla Resistenza assolutamente da leggere e da conservare nel profondo del cuore.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Pavese, altri romanzi di Vittorini come Conversazione in Sicilia e il Garofano Rosso
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