Narrativa italiana Romanzi La strada di Smirne
 

La strada di Smirne La strada di Smirne

La strada di Smirne

Letteratura italiana

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Shushanig è riuscita a mettersi in salvo con i suoi bambini e per loro si sta aprendo una nuova vita a Venezia: tutto quel che c'è da fare, adesso, è dimenticare la masseria e quanto è avvenuto laggiù. Dopo la loro partenza, la serva greca Ismene e il prete Isacco, che tanto hanno combattuto per salvare quelle vite, decidono di dedicarsi alla cura degli orfani armeni che affollano le strade di Aleppo. Ma quando sembra che si possa tornare a sperare in un futuro migliore, forse proprio a Smirne da dove tutto è cominciato, la storia irrompe nuovamente, con esiti tragici.



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La strada di Smirne 2015-06-23 07:24:04 MATIK
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MATIK Opinione inserita da MATIK    23 Giugno, 2015
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La strada di Smrine.

"....vorrei sommessamente ricordare un Romanzo è un'opera di un cantastorie innamorato: non indaga la Storia, ma amorosamente racconta le verosimili storie dei suoi personaggi."
Secondo capitolo della storia personale della scrittrice sulla vita della sua famiglia e del suo popolo, quello armeno.
Dopo la Masseria delle Allodole, dove grazie a Ismene, Isacco e Nazim i bambini dello zio Sempad sono riusciti a salvarsi dalla deportazione nel deserto e sono saliti su una nave diretta verso l'Italia per raggiungere lo zio Yerwant, noto dottore ricco che vive vicino a Venezia, che li accoglierà secondo me, non con il dovuto amore, ma come un atto di dovere verso un fratello ucciso con crudeltà e in maniera inspiegabile, è pesante accudire chi ti ricorda costantemente un'atto che terrorizza perché potrebbe accadere di nuovo.
I pochi rimasti hanno la piena consapevolezza che niente tornerà ad esser come prima, chi riuscirà a sopravvivere, avrà la paura di dover subire nuovi soprusi e angherie, perché sa di essere un intralcio per quelli che non ti vogliono.
La nuova missione intrapresa da Ismene, Isacco e Nazim, questa volta è quella di aiutare i piccoli bambini armeni rimasti orfani che vengono condotti a Smirne, per cercare di ricostruire una nuova vita, ma ben presto anche qui la precaria pace verrà interrotta, ormai quel paese non accetta più il popolo armeno, che sarà costretto a cercar fortuna in altri lontani lidi, è necessario abbandonare la Patria natia, soffia un vento di fuoco che ben presto si abbatterà sulla splendida città e i tre piccoli eroi saranno costretti tra mille stratagemmi ancora una volta a portare in salvo i pochi rimasti, pur sacrificando sé stessi.
"Ora voi sprofondate nel fuoco di Smirne, Ismene, dolce sorella, Isacco, fratello, e con voi sprofondi Nazim l'astuto, il mendicante dai molti raggiri. Sprofondate nel gorgo, travolti dal Male, oscuro e occhiuto compagno delle menti degli uomini. Le vostre anime leggere sospinte da un vento che non dà tregua volteggiano, come farfalle perdute scendendo giù nell'abisso. Ma ecco l'angelo ardente sguaina la spada luminosa dalla punta accecante e vi riprende ad uno ad uno dal vuoto turbine, portandovi Altrove, ai Prati Eterni, verdeggianti."
La strada di Smirne è il successivo capitolo di un libro che ho trovato interessante e bellissimo, questa volta però ho fatto più fatica a catturare il dolore che la scrittrice ha nuovamente voluto raccontarci, avrei voluto trovare più amore e più compassione verso i piccoli armeni giunti in Italia, vivere i loro pensieri, i timori e le speranze con le quali affrontavano la nuova avventura, invece, tutto è stato raccontato in maniera asciutta e frettolosa.
Dopo la Masseria delle Allodole ero già cosciente che il popolo armeno ha dovuto subire nel corso della sua storia mille difficoltà ed ho trovato noioso e un po' ripetitivo leggere di nuovo gli stessi concetti, non vorrei sembrare insensibile, il dolore non si cancella e non si dimentica, ma non è necessario ripeterlo in maniera insistente.
"Mai gli armeni sembrano stanchi dei racconti di morte e sopravvivenza, mai ne hanno abbastanza del ripetuto orrore: è come se la pena condivisa apparisse più sopportabile quando diventa un racconto, il mito che si costruisce di un popolo martire, che nell'epopea dei suoi morti trova riscatto. E il lutto inesplicabile del singolo diventa universale compianto."

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Quanta crudeltà verso il popolo armeno....
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La strada di Smirne 2013-07-17 18:58:35 Marisa
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Opinione inserita da Marisa    17 Luglio, 2013

Un romanzo non facile ma bello

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER

“La strada di Smirne” racconta i fatti successivi alla deportazione degli Armeni, avvenuta nel 1916, fatti che riguardano la famiglia dell’autrice Antonia Arslan (cognome “italianizzato” dall’armeno Arslanian). Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, racconta l’autrice nell’introduzione, la sorte del popolo armeno è segnata:

«Qualcuno ha deciso che la minoranza armena debba essere eliminata, gli uomini uccisi, le donne e i bambini deportati nel deserto. […] Ma l’orrore è solo all’inizio. Ai massacri degli uomini seguono le carovane dirette al deserto di Deir-es-Zor: donne, bambini e anziani in marcia verso la morte. Shushanig [una delle protagoniste de “La Masseria delle Allodole”, NdR], le figlie, le cognate e Nubar, l’unico maschio sopravvissuto perché vestito da bambina. Con il popolo armeno d’Anatolia si mettono in cammino: molti di loro ce la faranno e i sopravvissuti arriveranno stremati ad Aleppo, la città che secondo i piani avrebbe dovuto essere l’ultima tappa prima della fine.» (edizione BURextra Rizzoli, pag. 7)

Nel racconto si intrecciano più storie. I figli di Shushanig , dopo un avventuroso viaggio per mare, raggiungono l’Italia, dove abita lo zio Yerwant, e si adattano con fatica a una nuova vita, sicuramente più agiata ma segnata da un dolore profondo per la perdita delle persone care. Alcuni di quelli che hanno aiutato la famiglia di Sempad (il padrone della masseria e marito di Shushanig) negli ultimi e strazianti momenti di vita della masseria delle allodole, raggiungono la città di Smirne: la lamentatrice greca Ismene, che con il prete Isacco vivrà un’inaspettata e tenera storia d’amore e si prenderà cura dell’orfanotrofio armeno, diretto da una spaesata Fräulein Nussbaum che nei due troverà dei validi e intraprendenti collaboratori. Personaggi secondari che prendono parte a queste vicende sono lo storpio Yussuf e il mendicante Nazim che sapranno ingegnarsi e trovare una via d’uscita anche nelle situazioni più complicate.
Tra gli orfanelli i due più grandi, Hagop e Sylvia, forse per sfuggire la disperazione e per guardare al futuro con maggiore ottimismo, o forse soltanto per fondere le loro due anime già unite dallo stesso tragico destino, nasce un amore, delicato e nello stesso tempo vissuto in modo maturo. Nelle avversità i due ragazzi, con poca esperienza della vita se escludiamo il lato più doloroso di essa, si aggrappano a quel concetto di famiglia che non hanno mai avuto, nella speranza di dar vita ad una propria.

In Italia, a Padova, nella agiata casa del capostipite Yerwant, la vita scorre tranquilla. I due figli, Khayël e Wart, così diversi, sono perfettamente integrati nel bel mondo dell’aristocrazia veneta e non coltivano il sogno di rinascita del popolo armeno. Yerwant, medico ricco e stimato, pur non volendo rinunciare agli agi conquistati in terra italica, a quel sogno non smette mai di pensare e, nel 1919, quando le acque si sono calmate in Anatolia, si ripropone di risollevare le sorti della sua famiglia di origine e di far rinascere la vecchia masseria.
Pensa di affidare questo compito al fratello Zareh che, fin dall’inizio, sembra gradire poco quella proposta:

«Zareh ha subito rifiutato, rabbrividendo. In un momento gli è passata davanti agli occhi la vita nella Piccola Città [luogo in cui vivevano e prosperavano gli Armeni prima della persecuzione e della diaspora, NdR], quella da cui tanti anni fa è fuggito, ma terribilmente immiserita. Case e chiese saccheggiate e distrutte, ombre di morti dappertutto, frutteti abbandonati, giardini ridotti a stalle, e lavoro duro, e i turchi di cui non ci si può fidare, e la fertile dorata pianura di fronte alla cittadella inselvatichita da anni di abbandono […] No, non è cosa per lui.
Lui preferisce il mondo siriano e la tranquilla vita di Aleppo, i suoi clienti arabi, il circolo degli scacchi, le serate danzanti all’Hotel Baron […]» (pag. 146)

Nonostante le difficoltà a trovare qualcuno che possa portare a termine il progetto di rinascita della masseria, Yerwant non demorde: il piccolo Nubar, l’unico erede maschio di Sempad sopravvissuto alla strage, ha diritto di ritrovare le sue radici, di vivere nel luogo in cui ha passato i primi anni felici della sua vita. La masseria rinascerà dalle ceneri e lui, diventato grande, potrà tornare nella Piccola Città e continuare la professione di famiglia, diventando farmacista come il padre. O forse medico come lo zio Yerwant. I due zii, Yerwant e Zareh, «intorno a lui cominciano a costruire un nuovo sogno armeno, uno spiraglio di fiducia.» (pag. 147) Se ne occuperà Aris, un «lontano cugino, che è sempre stato sfortunato negli affari, ma fortunato per essere sopravvissuto tranquillamente alla catastrofe, avendo scelto di vivere a Damasco, inosservato factotum di un ricco signore arabo, che lo nutre con la famiglia, ma lo paga pochissimo.» (pag. 148)

Ma la Storia è in agguato, sempre pronta a calpestare gli infelici, quelli che hanno avuto poco dalla vita e che tanto hanno perduto. Piccole storie che nulla, o quasi, possono di fronte al destino crudele che la Storia ha riservato loro.

«“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo …” viene in mente alla bambina [si tratta dell’autrice stessa, NdR] mentre scrive queste cose; e le pacate, riflessive frasi manzoniane allentano la tensione del cuore, calmano come un sonno improvviso la sua pena.
“Nessuno, paziente lettore, è più tornato nella Piccola Città”, ha scritto come conclusione del Libro della Masseria, e ora capisce davvero perché l’ha scritto: agli armeni, come sovrappiù di pena, il ritorno è negato per sempre.
E ora bisogna affrontare l’ultimo strappo, l’ultimo addio. Perché la Grande Storia, ancora una volta, annulla le piccole storie degli uomini qualunque.» (pag. 228)

Non è facile leggere questo romanzo, soprattutto a causa dei numerosi personaggi, dai nomi di non immediata memorizzazione, le cui vicende si intrecciano. Anche se la Arslan pubblica l’albero genealogico che aiuta a orientarsi nei meandri di questa intricata famiglia. Non è semplice seguire gli eventi narrati, che, in una dimensione sincronica, hanno diversi protagonisti nei diversi spazi, tenendo presente anche il piano diacronico, il susseguirsi degli eventi nel tempo. Ma lo stile della Arslan, molto delicato e semplice, rende la lettura abbastanza agevole, riuscendo a trasmettere al lettore quella sensazione di essere quasi testimone egli stesso dei fatti, senza tuttavia riversare su di lui la drammaticità di ciò che accade ai protagonisti. In fondo, mentre si legge si è perfettamente consapevoli del fatto che qualcuno è sopravvissuto alla Catastrofe, e quel qualcuno ha trasmesso il ricordo perché la tragedia del popolo armeno non venga dimenticata.
La narrazione procede in terza persona e il narratore conosce gli eventi, in qualche caso li anticipa con delle prolessi che vengono evidenziate, all’interno del racconto, con osservazioni scritte in corsivo tra parentesi. Narratrice, in questi incisi, è la bambina che è stata l’autrice la quale, una volta diventata grande, ha ricostruito la storia della sua famiglia attraverso la testimonianza dei superstiti e grazie al ritrovamento, a volte fortuito, di alcuni scritti, piccole e grandi note intrise di indicibile sofferenza.
Oppure, dalle pagine del romanzo, all’interno di queste parentesi, l’autrice si rivolge al padre (figlio di Yerwant junior, detto Wart):

«[…] Come parlavi coi tuoi cugini esiliati, coi profughi d’Armenia che ti trovasti in casa? Quale fonda paura, irrimediabile, ti hanno trasmesso, come hanno – con la loro sola presenza – quelle povere ragazze resa fragile la tua sicurezza di giovane occidentale ben nato, ben allevato, ben parlante? […] E intanto giorno dopo giorno si approfondiva in te – e in tuo fratello - la consapevolezza di quella diversità irrimediabile, di quell’antica colpa che nessuna maschera avrebbe più potuto davvero coprire. Il marchio del sangue, del padre e del nome. »

Onestamente a me è piaciuta di più “La Masseria delle Allodole” (letta due volte, uno poco prima di assistere ad una conferenza della Arslan nel mio liceo, un’occasione che mi ha dato molto di più rispetto alla semplice lettura del romanzo), però capisco che spesso affrontando un seguito le aspettative siano maggiori e si finisca spesso per sentirsi delusi. Per questo consiglio di leggere i due romanzi uno di seguito all’altro. La narrazione semplice e nello stesso tempo coinvolgente della Arslan non vi deluderà.

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La strada di Smirne 2011-12-27 14:40:18 alessandra
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Opinione inserita da alessandra    27 Dicembre, 2011

la strada di smirne

Il libro è assolutamente da leggere perchè è bello.
io avevo già letto il precedente libro della Arslan, conoscevo poco sulla storia degli Armeni, sono stata catturata da quel libro in modo totale, non nego di aver anche pianto molto leggendolo.
quando ho trovato questo l'ho letto con la stessa intensità del primo, commuovendomi e pensando a quanta gente ancora oggi soffre e noi non lo sappiamo o facciamo finta di non saperlo, come è successo al popolo armeno.
non so se sarà utile il mio commento, leggetelo ne vale la pena.

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