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Mia madre è un fiume Mia madre è un fiume

Mia madre è un fiume

Letteratura italiana

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Una donna, ormai anziana, mostra i primi segni della malattia che le toglie i ricordi, l’identità, il senso stesso dell’esistenza. È tempo per la figlia di prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire la sua storia, la loro storia. Inizia così il racconto quotidiano di piccoli e grandi avvenimenti, a partire dalla nascita della mamma, Esperia, e delle sue cinque sorelle, nate da un reduce tornato comunista dalla Grande Guerra e da una contadina dritta ed elegante, malgrado le fatiche della campagna. I fili delle loro esistenze si svolgono dagli anni Quaranta fino ai nostri giorni, in un Abruzzo “luminoso e aspro”, che affiora tra le pagine quasi fosse una terra mitologica e lontana. Giorno dopo giorno sfilano i personaggi della famiglia, gli abitanti del piccolo paesino ancora senza acqua né luce; personaggi talmente legati a una terra avara, da tollerare a malapena trasferimenti a breve distanza – la ricerca di un lavoro, l’occasione di poter frequentare una scuola “in città” – partenze che si trasformano in vere emigrazioni con il solo scopo del ritorno. Sono ricordi dolcissimi e crudeli, pieni di vita e di verità, che ricostruiscono la storia di un rapporto e di un’Italia apparentemente così lontana eppure ancora presente nella storia di ognuno di noi.



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Mia madre è un fiume 2018-07-03 16:50:17 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    03 Luglio, 2018
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Madre & Figlia

«Certi giorni la malattia si mangia anche i sentimenti. È un corpo apatico, emana l’assenza che lo svuota. Ha perso la capacità di provare. Allora non soffre, non vive.» p. 9

Ha inizio con questo breve incipit “Mia madre è un fiume” romanzo d’esordio di Donatella Di Pietrantonio ormai conosciuta al grande pubblico grazie al suo “L’Arminuta”. Sin dalle prime battute emerge un profondo tratto autobiografico dell’opera. Due le protagoniste: Esperia Viola, detta Esperina, nata il venticinque marzo del millenovecentoquarantadue in una casa al confine tra i comuni di Colledara e Tossicia e sua figlia di cui il lettore apprende poco o nulla. Sappiamo che è madre di Giovanni, sappiamo che svolge una professione, sappiamo che con colei che l’ha cresciuta il rapporto è “andato storto sin da subito” ma non sappiamo altro. La figlia è e resta una figura sospesa che si apprende pagina dopo pagina ma che resta confusa, sulle retrovie e questo probabilmente perché il suo scopo è quello di dar voce a una donna che sta scomparendo; essendo il suo fine, per quanto possibile, ricostruire quello che è stato, ciò che sono state. Perché Esperina è affetta atrofia cerebrale una patologia che porta l’organo a seccarsi e a ritirarsi. Da ciò il venir meno delle svariate funzioni vitali, primarie e non, tra cui anche la memoria.
È un puzzle quello che la protagonista mira a ricostruire, un puzzle che da un lato è finalizzato a schiarire il passato sempre più ovattato e oscuro di quella costante figura che offre la vita, dall’altro è finalizzato ad esorcizzare il dolore, a convivere con la stessa mancanza di coraggio, la propria vigliaccheria. Per quel che c’è da rinfacciare, per quel che c’è da perdonare, per quel che c’è da farsi perdonare, per quelle scelte al tempo così oscure e ora così chiare.

«Ora posso dirle tutto di noi, senza pietà. Poi dimenticherebbe. Le infliggerei una ferita effimera. Ci fantastico intorno e non me lo invento il coraggio di essere così vigliacca.» p. 170

Ed è da qui che il viaggio diventa introspettivo. La madre diventa specchio per la propria anima di figlia, specchio dei propri demoni.

«Ho chiamato ogni limite mia madre. Le ho imputato il mio volo zoppo. Lei è il mio pretesto. È causa, e motivo. Mia madre è un albero. Alla sua ombra mi sono giustificata. Si secca, anche l’ombra si riduce. Presto sarò allo scoperto» p. 173

Quello di Donatella Di Pietrantonio è un lemitov profondo che si manifesta con una voce forte, asciutta, rude, aspra e che si sostanzia nella deprivazione affettiva e nel contrastato auto-risarcimento attraverso la parola. Un lemitov che riesce totalmente nel suo intento. Il conoscitore non resta indifferente al rapporto madre-figlia, ne è al contrario colpito e turbato tanto che non mancano auto-interrogazioni volte a comprendere nel proprio io il vero significato del medesimo. Il lettore non esula dal meditare sul rapporto genitoriale e sulla sua portata, ne è invogliato e spronato cartella dopo cartella. Al tutto, immancabile è lo stile narrativo della scrittrice simbiotico con quello conosciuto (apprezzato o non apprezzato) ne “L’Arminuta”.

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