Narrativa straniera Classici L'uomo che ride
 

L'uomo che ride L'uomo che ride

L'uomo che ride

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La tecnica compositiva di questo romanzo si basa su uno dei più collaudati espedienti narrativi: l'agnizione, ossia la rivelazione finale della vera identità di un personaggio. Ma Hugo ne fa qui un uso spregiudicato, dissolvendola nel momento stesso in cui la realizza. Il protagonista, infatti, non può strapparsi la "maschera" dal volto: essa è il suo volto, prefigurazione di uno smarrimento dietro il quale si nasconde l'inconsapevole disgregazione interiore. Per i suoi chiaroscuri gotici, l'atmosfera onirica, per l'incisività dei suoi personaggi, squadrati in antitesi irrisolte, per la potenza della storia, in cui gli istinti primigeni e brutali convivono fianco a fianco con una tenera, luminosa umanità, "L'uomo che ride" suscitò disagio e sconcerto al suo apparire ed è tutt'ora un romanzo molto discusso.



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L'uomo che ride 2021-12-01 08:38:13 Molly Bloom
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Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    01 Dicembre, 2021
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Bellezza interiore contro bruttezza esteriore

Leggere un romanzo di Victor Hugo è un po' ritornare bambini in veste di adulti. Le sue storie sono favole per i grandi che meravigliano il lettore, lo coinvolgono, lo fanno uscire completamente dalla sua realtà per entrare in una dimensione fantastica. Questo è il quarto romanzo che leggo di Victor Hugo, dopo "I Miserabili", "I lavoratori del mare" e "Notre-Dame de Paris" e il quarto che mi ha confermato le caratteristiche di questo autore sia in termini di prosa che di storie: è a tutti gli effetti un creatore di favole per adulti: i suoi personaggi sono stravaganti e dotati di una straordinaria forza fisica e interiore, una forza fuori dal comune che li fa affrontare imprese impensabili per un uomo normale, alcune volte a questa forza è associata anche una deformità fisica, come nel caso di Gwynplain, personaggio principale di "L'uomo che ride" e che, per chi non lo sapesse, è stata fonte di ispirazione alla creazione di Joker per quanto riguarda l'aspetto esteriore ma anche per la lotta tra il dramma vissuto interiormente e l'allegria sfoggiata all'esterno, soprattutto se ci ripenso all'ultimo film "Joker" che gioca molto sul lato introspettivo del personaggio e la sua risata è dettata da una malattia e non dall'allegria. Ovviamente è solo uno spunto, in quanto rimangono due personaggi diversi e opposti.

L'aspetto sociale è un tema cardine nelle opere di Hugo e anche qui è presente e si denuncia il peso dell'aristocrazia che schiaccia letteralmente la gente ordinaria, povera, ma che senza di essa loro non sarebbero i dèi dell'Olimpo che sono. C'è una forte incriminazione di questa classe sociale parassita ma nello stesso tempo si subisce anche un forte fascino e attrazione e molte descrizioni mi ha ricordato anche Proust, soprattutto nel terzo volume, "Dalla parte dei Guermantes", anche lui non riesce a resistere nel non venerarla pur tuttavia criticandola e facendola a pezzi man mano nell'opera. 

Rispetto alle altre opere che ho letto questa è quella che mi è piaciuta meno perché si dilunga un po' tanto su determinati aspetti che ho trovato noiosi e un po' obsoleti per i nostri tempi, come per esempio tutto il meccanismo della gerarchia reale inglese e dell'aristocrazia, con una sfilza di nomi e riassunti storici del tredicesimo al diciottesimo secolo che personalmente non ho gradito. Altra cosa che mi è piaciuta meno è stato lo stile della prosa. Hugo spesso usa un tono didascalico verso il suo lettore e va bene, ma qui l'ho notato un po' calcato soprattutto con l'utilizzo di brevi domande e risposte e una enumerazione copiosa di metafore per evidenziare una stessa idea.

Altra cosa che accomuna i libri che ho letto di Hugo, tranne che "I Miserabili", è hanno la stessa fine - ma un po' di fantasia in più, no?! Comunque, nel complesso un bellissimo libro che vale assolutamente la pena di leggere e che non mancherà ad emozionare il lettore e magari a insegnargli qualche cosa.

"Le delusioni si tendono come l'arco, con una forza sinistra, e gettano l'uomo, quasi fosse una freccia, verso la verità."

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L'uomo che ride 2019-08-14 12:50:58 cristiano75
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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    14 Agosto, 2019
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Monumentale Hugo

Quando ci si appresta a un opera del Genio francese, si deve comunque avere un certo coraggio e una certa pazienza, poichè solitamente i suoi libri sono delle opere monumentali che spesse volte non hanno nel ritmo e nella fluidità della scrittura una prerogativa principale.
Però debbo dire che la lettura di questa opera mi ha colpito sin dalla prima pagina, a differenza di altri suoi li bri.
Non c'è respiro per il lettore, ci sono pagine e pagine di minuziose descrizioni della psicologia dei personaggi e degli ambienti dove ha luogo la storia.
Spesso ci si ritrova frastornati da questo mare infinito di parole e descrizioni, che sembra di essere catapultati nell'opera stessa, nella vicenda dei personaggi e nelle loro tragedie quotidiane, poichè di una tragedia stiamo parlando.
Una cosa che purtroppo mi ha colpito negativamente e che l'autore bene o male sin dalle prime battute ci vuol far intendere che se avremo il coraggio di leggere tutto il tomo, dobbiamo ben sapere che per giungere all'inevitabile epilogo, saremo proiettati in un viaggio tortuoso e faticoso, dove inganno, morte, povertà e disperazione saranno i nostri compagni di viaggio.
Hugo ha una caratteristica ben precisa: non lascia respiro al suo lettore. E' un "chirurgo" dell'anima, un artigiano minuzioso nel costruire la sua opera.
Come Dostoevskij, scava nell'animo (spesso oscuro) umano e ne estrapola i vari aspetti e debolezze e poi le da in pasto ai suoi appassionati lettori.
Ama il sottosuolo, il sotto mondo dei poveri e diseredati, dei reietti e dei senza speranza.
Prostitute, saltimbanchi, clown, preti, reietti, picari, venditori di nulla, ciarlatani.
In questo romanzo poi da il meglio di se stesso (anche di più che nei Miserabili), mettendo a nudo le debolezze e le perversioni di tutta un epoca che solo di facciata appariva ricca e feconda, ma aveva in se il germe della sua distruzione e dissoluzione.
L'uomo che ride è la maschera di una vita sacrificata all'amore per un altro leggiadro essere che ha delle meravigliose fattezze di ragazza, una farfalla destinata a bruciare le proprie ali avendo volato troppo vicino al fuoco della passione.

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L'uomo che ride 2015-01-15 10:39:06 Vanellope Von Schweetz
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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    15 Gennaio, 2015
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#classicidarileggere

Dopo aver chiuso questo romanzo di Hugo, la parola che mi viene in mente per definirlo è iperbolico. Hugo è esagerato in ogni suo elemento, è eccessivo, nella lunghezza delle sue opere, nel gusto della parola, del racconto barocco ed esagerato, nelle passioni travolgenti e sempre sopra le righe. Tanto per darvi un esempio: l'uomo che ride entra nel vivo ben dopo la metà, per tutta la prima parte il lettore anela a conoscere i protagonisti ma questi gli appaiono sempre in episodi sparsi, inframmezzati da lunghissime digressioni che, se da un lato sono perfino snervanti, dall'altro creano una sorta di "sete" di sapere cosa accadrà loro; ed è questa "sete" che ti spinge ad andare avanti affrontando diversi ostacoli come l'enumerazione di tutti i principi e signori d'Inghilterra (!!!), la minuziosa conformazione morgologica della penisola di Portland o un'intera sezione dedicata alla Matutina, una nave in balia della tempesta che, nonostante serva all'economia del romanzo, mette a dura prova la pazienza del lettore medio.

Come si fa però a non innamorarsi del protagonista Gwynplaine?
Come non infatuarsi dell'eterea Dea? Del burbero Ursus e di Homo, il lupo che veglia su di loro?

E così arrivo a tratteggiare un po' la trama:
In una notte d'inverno sulla costa inglese spazzata da una terribile tempesta di neve, un bambino, Gwynplaine, viene abbandonato da una banda di comprachicos, delinquenti dediti al commercio di esseri umani. Egli è sfigurato in volto da una orribile cicatrice che lo costringe ad un ghigno perenne e lo deforma rendendolo un fenomeno da baraccone. Grazie alla sua tenacia e all'incoscienza della sua giovane età riuscirà a salvarsi. Lungo il cammino verso un villaggio salverà da morte certa anche una neonata cieca, Dea. I due troveranno rifugio nella carovana di un filosofo e artista girovago, Ursus, che vive di espedienti in giro per l'Inghilterra insieme ad un lupo addomesticato di nome Homo. Il ghigno di Gwynplaine faranno la fortuna del piccolo gruppo che riuscirà a diventare famoso e ad avere un posto fisso a Londra. Ma Gwynplaine scoprirà anche il vero volto della capitale inglese e verrà scaraventato dalla semplicità del suo carrozzone, alla crudeltà della nobiltà inglese in seguito ad una serie di avventure e coincidenze rocambolesche e avventurose al limite del possibile.

Nei personaggi del romanzo si mescolano bene e male, alto e basso, miseria e nobiltà in un susseguirsi di eventi. L'alto e il basso però non si mescoleranno mai, nemmeno in modo accidentale, i personaggi hanno ruoli ben definiti e chi è malvagio non si riscatta, rimane perennemente chiuso nel suo guscio di malvagità, così come i buoni restano tali fino alla conclusione.
Hugo veicola il messaggio che la vera felicità, l'amore, i sentimenti positivi risiedano tra coloro che vivono più umilmente, esemplificati dall'universo del carrozzone degli artisti, la Green-Box, a cui appartengono appunto Gwynplaine e Dea.
La corte, opulenta e ricca, è invece il luogo della depravazione e dell'inganno, dove non esistono valori ma solo doppi giochi, sopprusi, voltafaccia, malvagità. L'empità investe tutti, da uno dei personaggi più negativi che abbia mai incontrato, l'infido cortigiano Barkilphedro che gode nel fare il male con un gusto fine a se stesso, fino alle più alte cariche, fino alla stessa regina Anna.

Come non amare invece tutti gli abitanti della Green-box?
Ursus, da burbero e solitario filosofo girovago si trasforma in amorevole padre dei due orfanelli. Volendo solo il bene per loro arriva perfino ad inscenare un finto spettacolo per salvaguardare la delicata Dea e non farle sapere che Gwynplaine non è più con loro nella scena piu commovente e tragica dell'intera opera.

"Il vecchio è una rovina che pensa; Ursus era quella rovina. La loquacità del ciarlatano, la magrezza del profeta, l'irascibilità di una mina carica, questo era Ursus."

Dea è la purezza, la donna angelicata e intoccabile, la quintessenza della bontà, dell'innocenza. I suoi occhi ciechi sono il simbolo di come un occhio che non vede sia l'unico capace di scrutare oltre le apparenze e amare colui che tutti definiscono "mostro", ma che è tale solo esteticamente.

Gwynplaine è uno dei personaggi più straordinari che io abbia mai incontrato in tanti anni da lettrice. Costretto ad un ghigno perenne e a far ridere gli altri con la sua faccia, è un'anima tormentata e tragica, dilaniata dalle sue emozioni. È l'esempio di come un'anima bella si nasconda dietro una maschera di dolore, dietro un freak di cui il pubblico vede solo l'esteriorità.
Egli è immenso, in ogni gesto o parola e la sua parabola è quella dell'uomo che sale tutti i gradini sociali per scoprire infine che la vera felicità consiste nell'avere poche cose materiali ma possedere l'amore vero, quello che lega lui e Dea.
Non dimentichiamo poi che, proprio Gwynplaine ha ispirato personaggi del nostri attuale immaginario, come il Joker di Batman o il Corvo dei fumetti e del famoso film!

"La natura era stata prodigalmente benefica con Gwynplaine. Gli aveva fornito una bocca che si apriva fino agli orecchi, orecchi che si ripiegavano sugli occhi, un naso deforme fatto apposta per sostenere le oscillazioni degli occhiali di chi fa smorfie, e un viso che non si poteva guardare senza ridere.
[...] Ma era stata proprio la natura?
Non era stata anche aiutata?
[...] Ma il riso è poi sinonimo di gioia?"

"Egli era l'Uomo che Ride, la cariatide di un mondo in lacrime. Egli era l'angoscia pietrificata in ilarità, sosteneva il peso di un universo di disgrazie, ma era murato per sempre nella giovialità, nell'ironia, nel divertimento altrui; egli condivideva con tutti gli oppressi, di cui era l'incarnazione, l'atroce destino di una desolazione non presa sul serio; si scherzava con la sua miseria; era una specie di grande pagliaccio generato da uno spaventoso concentrato di sventure, un evaso dal bagno penale, divenuto Dio, salito alle profondità del popolino fino ai piedi del trono"

L'uomo che ride è un libro d'altro tempi, che richiede al lettore un immenso sforzo e tanta pazienza per farsi strada tra i suoi infiniti monologhi, tra digressioni che sembrano non portare da nessuna parte; nonostante questo, dategli una possibilità, tenete duro e non ve ne pentirete. Arriverete in fondo sfiniti, squassati nell'animo, in balia delle onde proprio come la Matutina nella tempesta di neve, ma avrete letto un grande classico ottocentesco che porterete per sempre nel vostro cuore!

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L'uomo che ride 2013-02-24 16:13:29 valeg
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valeg Opinione inserita da valeg    24 Febbraio, 2013
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Il Bisnonno di Joker

Perché Hugo ci tedia mostruosamente iniziando l’opera con quasi 200 pagine descrivendo una barca in balia di un’immane tempesta? Ci vuole forse far provare l’impotenza dell’uomo di fronte all’imprevedibilità del destino? Per quanto mi riguarda c’è riuscito; questa è la sua abilità, per chi lo conosce e per chi ne comprende lo stile, insomma non parole ma suoni, spruzzi, caos primordiale, la violenza della natura, l’uomo che si crede Dio, inerme di fronte all’inesorabilità degli eventi. Si ! perché Hugo non è solo parola e idee, ma materia. Siamo certamente lontani dai livelli sublimi di “Notre-Dame de Paris” o ”I miserabili”, in questi due c’era una storia strutturata attraverso la quale l’autore ci trasmetteva le sue idee , ”l’uomo che Ride” piuttosto è un’idea simbolica che ci racconta una triste vicenda, pregno di aforismi politici, sentimentali, sociali, insomma, qui c’è tutto l’Hugo impegnato già noto, che si ama per la volontà ferrea e disinteressata di voler cambiare la società, per lo stile forbito e a volte complesso ma estremamente gratificante. Ritroviamo pure il Mostro, dopo il caro Quasimodo un’altra orribile quanto magnifica creatura ghignante di nome Gwynplaine (l’uomo che ride), ma questa volta egli è un mostro artificiale creato dalla mano malvagia dell’uomo, mostro per i pregiudizi, per l’ignoranza, per l’incapacità della massa di vedere oltre quello che percepisce l’occhio. Gwynplaine però a differenza del campanaro di Notre-Dame ha tutto ciò che serve alla felicità, ha l’amore,che la coincidenza gli ha servito tramite un’angelica creatura cieca che è l’unica in grado di percepirne la sua vera bellezza interiore, ha la famiglia in Lupo (uomo/padre adottivo), e Homo (Lupo addomesticato), e un ruolo che lo gratifica, che fa della sua mostruosità esteriore la sua arte sublime e impareggiabile . Insomma fin qui tutto bene, finchè arriva nella sua vita la famosa bufera, e quindi le domande cui egli dovrà trovare le risposte: “Chi siamo noi? Siamo ciò che appariamo o siamo ciò che trasmettiamo? La felicità si misura in proprietà o in principi? La grandezza dell’uomo è stabilita dai titoli nobiliari o dalle azioni che si compiono?”. Gwynplaine è un puro e lui troverà la risposta, seguirà l’onda. Vitamine celebrali!

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