Narrativa straniera Classici La cavaliera della morte
 

La cavaliera della morte La cavaliera della morte

La cavaliera della morte

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«Se ci tocca così profondamente e signoreggia le anime con un potere di commozione tanto sovrano, è solo perché non è una santa» scrive Bloy sulla soglia di questa sua «prima prova letteraria» che ne prefigura l’intera opera, «e perciò i suoi formidabili tormenti di regina, di sposa e di madre non possono propriamente essere chiamati un martirio». Ma che cosa furono, allora? Tutto il secolo diciottesimo si coalizza contro di lei sino a ridurla a vedova Capeto, disegnata con astio da David sulla carretta che va al patibolo, poco prima che diventasse «la regina ghigliottinata giuridicamente dalla Canaglia». Alle ombre della Storia risponde la veemente eloquenza di Bloy, proiettandole su una scena ulteriore, metastorica, dove l’apparizione di Maria Antonietta «in veste di criminale» davanti al «bruto» Fouquier-Tinville si impone come «dimostrazione di una qualche legge misteriosa».



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La cavaliera della morte 2015-08-25 06:42:37 siti
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siti Opinione inserita da siti    25 Agosto, 2015
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Tesi interessante, argomentazioni strampalate

Impiegato delle ferrovie, vissuto in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, morì dopo lunga malattia nel 1917. Di indole solitaria, cattolico con pseudonimo Caino, voce irriverente, scrisse racconti, saggi e articoli giornalistici. La sua opera è poco conosciuta, personalmente la affronto per curiosità avendo letto che fu particolarmente interessante la sua produzione per Borges.
L’impatto con questa sua prima produzione è disarmante, le prime pagine trasudano cupo pessimismo e delirante respiro cristiano. Leggendo la biografia si scopre che l’autore si isolò in convento proprio durante il periodo della sua scrittura.
L’opera, pubblicata per la prima volta nel 1891 presso un editore belga, si avvale di più contributi assemblati successivamente. Il titolo riprende quello della nota incisione di Dürer “Il cavaliere, la morte, il diavolo” (1513), ricca di implicazioni simboliche e raffigurante un cavaliere impavido, indifferente e calmo mentre sfila semplicemente ignorando la morte e il diavolo in secondo piano.
Il soggetto di Bloy è Maria Antonietta, è dunque lei la cavaliera della morte della quale si tenta di scrivere nonostante lo abbiamo preceduto in tanti; lo stesso autore attinge a piene mani soprattutto dallo scritto dei fratelli Gouncourt (1858) citandolo ampiamente. Eppure, a detta sua, benché il loro libro sembri “definitivo”, in realtà “essi non hanno detto tutto in primo luogo perché non si può dire tutto, in secondo luogo perché non erano cristiani, e in questa circostanza bisogna assolutamente esserlo”.
Condannando pesantemente l’epoca dei lumi e tutti gli esiti rivoluzionari, a sostegno della tesi l’assunto che porre fede nella ragione umana è impensabile poiché la conoscenza- per essere tale- può essere guidata dalla fede, si arriva a una lettura ‘storica’ disarmante. L’epoca rivoluzionaria ridotta a “carnevale della libertà”, Maria Antonietta presentata in modo frammentario e discontinuo a voler tentare invece una lettura della sua anima (per niente riuscita), qualche aneddoto già risaputo per arrivare ad un’altra affermazione disarmante: Maria Antonietta non era una santa e proprio per questa ragione divenne il capro espiatorio della Storia. Seguono la descrizione del processo, l’arringa finale del difensore, l’esame di tutti i capi d’accusa compreso il meno fondato: l’ingratitudine.
Narrazione dallo stile alto ed erudito, dalle argomentazioni strampalate, dalle tesi inutili, non aggiunge niente al processo di rivalutazione, nonostante gli intenti, di questa figura storica che deve molto più alla penna di Stefan Zweig. Rimane però il dubbio che quella farneticante condanna della Ragione illuminista e degli esiti della Rivoluzione Francese in quanto a libertà, uguaglianza e fratellanza, non sia del tutto strampalata...guardiamoci attorno dopo aver per sommi capi ripercorso i fatti storici del secolo breve e lo scempio attuale.

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