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Tutta giocata di sponda è la partita di biliardo (umano) che innerva questo geniale romanzo giallo, o meglio «antipoliziesco», giacché sin dall'inizio ci esibisce l'assassino. La prima palla a finire in buca, per un colpo à la bande, è la testa calva del professor Winter: questo esimio germanista, centrato dai proiettili dello squisito consigliere cantonale Kohler, cade con la faccia nel piatto di tournedos Rossini che stava assaporando nel ristorante Du théâtre. E a una a una rotoleranno in buca le altre palle – uno stolido playboy, una squillo d'alto bordo, due protettori dai pericolosi ombrelli, una perfida nana e le sue guardie del corpo –, delineando così un autentico rompicapo: «Il comandante era disperato ... Un omicidio senza motivo per lui non era un delitto contro la morale, bensì contro la logica». D’altro canto Kohler in galera è l'uomo più felice del mondo: trova giusta la pena, meravigliosi i carcerieri, e intreccia serafico ceste di vimini. Ha un unico desiderio: che l'avvocato Spät, squattrinato difensore di prostitute, si dedichi finalmente a un'impresa seria (ma a lui sembrerà pazzesca) e riesamini il caso muovendo dall'ipotesi che a premere il grilletto non sia stato lui: «Deve montare una finzione, null’altro ... spesso la notte ... mi chiedo come apparirebbe la realtà se l'omicida non fossi io ma un altro. Chi sarebbe quest'altro?». Accettata la sfida, Spät precipiterà in un vortice, in una paradossale commedia umana e filosofica che tiene tutti – lettori inclusi – con il fiato sospeso: perché mai dietro le sbarre Kohler è tanto ilare? E perché ha fatto fuori Winter? Comunque stiano le cose, questo «giallo» – tra i più spiazzanti che sia dato leggere – è una festa della suspense, del grottesco più rutilante e della più sapida teatralità, e insieme un romanzo sull’impossibilità della giustizia.



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Giustizia 2018-04-25 20:09:09 siti
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siti Opinione inserita da siti    25 Aprile, 2018
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"Che schifo, la giustizia"

Un delitto apparentemente archiviabile come un caso già risolto, l’assassinio opera in pieno giorno ed è riconoscibile dai presenti perché personaggio noto nella cittadina - si tratta del consigliere cantonale Kohler -, diventa il perno di una narrazione ambiziosa e articolata. Essa si apre in forma di memoriale con narratore un ormai fallito avvocato in preda ai rimorsi, confuso dall’abuso di alcool e fermo nel suo intento di fare a breve, con un altro omicidio, la necessaria giustizia che è finora venuta a mancare. Da Spät, questo il suo nome, conosciamo il primo livello narrativo di una vicenda complessa che lentamente andrà a delinearsi attingendo a successivi e indispensabili altri livelli narrativi. Una struttura articolata e farraginosa che alla lunga stanca e fa perdere il mordente all’azione, vero è, di contro, che chi legge Dürrenmatt non deve aspettarsi il classico modulo di genere, poliziesco o giallo, ma la sua perfetta antitesi. Durante la lettura, che dunque trae in inganno anche l’esperto lettore, illuso che con quest’opera ultima si stia addentrando in un bel noir, si fanno incontro tutti i temi e gli stilemi tipici dello svizzero. Colpisce il fatto che sul finire lo scrittore inserisca anche una sorta di autocritica, sapientemente celata nella finzione narrativa, rispetto a quest’opera che iniziata nel 1957, ripresa e conclusa nel 1985 per non darle l’identità di un frammento, non riuscì mai a eguagliare quell’ispirazione creativa che l’aveva appena abbozzata, non raggiungendo dunque il fulcro contenutistico che l’aveva animata virando per altre vie e assumendo l’aspetto di una summa di pensiero. E questo è in effetti il suo aspetto più interessante, al suo interno ricorrono riflessioni sulla giustizia e sulle probabilità che essa trionfi su una realtà contraddistinta da variabili tutte dettate dall’uomo e dalla sua imperfettibilità. La riflessione si estende all’ambito del possibile e del reale e dei loro orizzonti rispettivamente infiniti e molto limitati: “il reale è solo un caso particolare del possibile, e per questo è anche pensabile in altro modo”. Si giunge poi a negare le basi del diritto processuale penale affermando per esempio che non esiste un testimone obiettivo in quanto ogni persona percepisce un fatto a suo modo e lo rielabora secondo la sua memoria rendendolo dunque un fatto già diverso da quello oggettivo. Si prosegue inoltre con una critica caustica alla società elvetica, quella che oltre a produrre orologi di precisione, psicofarmaci, segreti bancari e neutralità perenne, è capace anche di sfornare uno pseudo uomo, un uomo artificiale, un prodotto di laboratorio che poi plasmato da principi educativi e da psichiatri altro non potrà fare che immergersi nel caos della vita dove essenziale è come nel biliardo, metafora su cui gioca a tratti la narrazione, sfruttare le sponde. In virtù di quanto detto l’opera è consigliabile ma non certo piacevole.

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