L'anno che è passato L'anno che è passato

L'anno che è passato

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Quando Jo si risveglia in fondo alle scale di casa e vede suo marito chino su di lei, non ha memoria di quel che è successo. Per fortuna non si è fatta nulla di grave, ma la caduta le ha provocato un’amnesia che copre gli ultimi dodici mesi. Jo comincia con fatica a mettere insieme i tasselli della propria vita, ma i ricordi sono confusi e il marito e i figli non sono di aiuto. Tutti sembrano volerle nascondere qualcosa. E in effetti, a mano a mano che Jo si riappropria di brandelli del suo passato recente, quel che vede la sorprende, la inquieta, la disturba, perché non collima con l’immagine serena di una donna appagata dalla vita famigliare, con un marito affettuoso, due figli ormai grandi e responsabili, una bella villa in campagna. Cosa è successo durante l’ultimo anno? Perché dai recessi della sua memoria emergono volti sconosciuti, situazioni inconsuete, sensazioni di pericolo incombente? Perché si sente così sospettosa di tutti, degli amici, dei figli, del marito… persino di se stessa? Nel romanzo d’esordio L’anno che è passato, Amanda Reynolds mette la sua scrittura raffinata e incalzante al servizio di una protagonista costretta dagli eventi a svelare l’orrore che può nascondersi dietro la facciata di una vita «normale».



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L'anno che è passato 2017-09-30 17:25:05 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    30 Settembre, 2017
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Una memoria un po' lacunosa

Amanda Reynolds pubblica con la casa editrice Corbaccio un libro dal titolo curioso: L’anno che è passato. Il titolo, ovviamente, allude proprio “all’anno che è passato”, che è trascorso e di cui Jo, o meglio Joanna Harding, non ricorda assolutamente più nulla. Infatti è caduta per le scale di casa sua, e ha battuto la testa e perso temporaneamente i sensi. Quando si è risvegliata ha visto suo marito chino su di lei. Poi l’arrivo dell’ambulanza e la visita in ospedale. Lì apprende di aver perso completamente la memoria di ciò che è avvenuto negli ultimi dodici mesi. Ricorda di aver accompagnato suo figlio Fin all’università, la tristezza che l’ha presa in quel momento, e anche la preoccupazione per quel figlio, magro, senza amici, così differente dalla figlia Sash, solita ottenere dal padre tutto di ciò di cui ha desiderio. L’amnesia è temporanea e parziale. Infatti così i medici si esprimono al suo riguardo:
“Gli eventi precedenti alla caduta potrebbero non tornare mai più. Può darsi che il cervello non abbia avuto il tempo di codificarli correttamente prima del trauma, ma tutto il resto dovrebbe ricordarlo, a tempo debito. Ci sono dei gruppi di sostegno e psicologi, e noi rimarremo in contatto. La bella notizia è che non c’è danno permanente.”
Nei giorni seguenti la protagonista, combattendo con un martellante mal di testa e un senso di smarrimento totale, prova a fare chiarezza nella sua mente. Ma nulla: c’è solo una gran confusione. E quello che più la smarrisce è il senso di ripugnanza che prova nei confronti del marito, quel marito con cui condivide la vita da ben ventiquattro anni. E poi percepisce che tutti, compresi i due figli, le nascondo qualcosa. Tutto è offuscato, c’è poca chiarezza.
La narrazione di questo romanzo è strutturata su diversi tempi paralleli: uno nel tempo presente, rappresentato dal numero di giorni che passano dopo la caduta, e l’altro nel passato, iniziando proprio dall’ultimo giorno di cui ha memoria Jo. Ad ogni scoperta del passato ne corrisponde una o un nuovo ricordo del presente. E poi ci sono i frammenti del passato che improvvisamente le esplodono nella testa, emergono visi, profumi, corpi sconosciuti, situazioni inusitate, e minacciose sensazioni di pericolo.
L’anno che è passato è un thriller psicologico, congegnato su diversi piani temporali che si addossano uno sull’altro, con dolore e sofferenza. E’ il racconto di una donna che combatte duramente per sgombrare la mente dai fantasmi del passato, nei suoi recessi più profondi. Una donna che non vuole essere vittima, costretta suo malgrado a scoprire che il male può avere diversi volti, anche quelli familiari e “normali”. Il finale è ricco di colpi di scena, anche troppi e di tante, tante divagazioni. Un libro che è un crescendo continuo di tensione, di violenza fisica e psicologica all’interno della rappresentazione iconografica di quella che può essere considerata “una famiglia alla Mulino Bianco”. Un esordio buono nella strutturazione della trama, un po’ meno nelle troppe divagazioni e nelle troppe digressioni. Da restringere un po’ nella narrazione.

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Consigliato a chi ha letto S. J. Watson, Non ti addormentare, e J. Christophe Grangè, Amnesia.
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