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Una scrittrice rimane bloccata dalla neve in un remoto villaggio del nord della Svezia ed è costretta a fermarsi presso l'anziano contadino che la ospita. S'instaura così una complessa relazione tra la donna, il contadino e il fratello di quest'ultimo. Romanzo di forte impatto per l'impronta comico-grottesca che viene data alla vicenda d'impianto tragico.



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Miele 2015-04-06 10:23:20 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    06 Aprile, 2015
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San Cristoforo

Il romanzo parla della lotta all'ultimo respiro tra due fratelli diversissimi che abitano in due case vicine e isolate dal resto del mondo. Uno è malato di cancro e l'altro di cuore ma nessuno dei due può morire perchè ognuno vuole vivere più dell'altro e avere la meglio in una contesa senza senso che ha profonde radici nel passato. L'arrivo a casa di Hadar di una scrittrice di vite di santi crea un ponte tra i due. La donna viene a conoscenza della terribile vicenda che ha legato i due fratelli e come San Cristoforo (protagonista del libro che sta scrivendo) aiuta i due a portare il peso del passato e a morire. Il libro è bellissimo per la mescolanza di ironia e toni drammatici e per il paesaggio sconfinato deserto, pieno di neve che fa pensare a un diverso scorrere del tempo, a un tempo interiore che è quasi fermo.

Ma la lentezza era immensamente più tenace e più forte del tempo, il tempo finiva presto, mentre la lentezza non aveva quasi mai fine. Nella lentezza tutto era contenuto simultaneamente. Il tempo era come le zanzare e i pappataci, la lentezza era una vacca stesa tranquilla a ruminare. L'uomo che si abbandonava alla mercè del tempo poi non aveva più un passato, ma solo qualcosa di evaporato e di sprecato e di bruciato. E senza un passato l'uomo era solo una folata di vento.

Certo, la storia è molto cruda. Alla crudezza della vicenda umana fa da contrappunto il paesaggio disteso, sconfinato, coperto di neve che richiama la pace e il perdono e una sorta di purificazione dal dolore.

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Federspiel L'uomo che portava felicità
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Miele 2015-01-29 10:03:44 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    29 Gennaio, 2015
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" Miele di calabrone "

Ci fosse un premio per l'originalità, sarebbe difficile competere con questo bellissimo romanzo proveniente dall'estremo nord della Svezia.
L'autore, T. Lindgren, è fra i maggiori scrittori scandinavi contemporanei e fa parte dei 18 componenti che assegnano il Nobel per la Letteratura.

La vicenda è tutta incentrata su tre personaggi : una donna e due fratelli. La neve è un'altra protagonista, presenza costante, con candidi fiocchi che scendono copiosi e una coltre bianca che copre la foresta, il lago, il paesaggio intero. Forse solo in alcune pagine dei grandi Russi c'è tanta abbondanza di neve.

Una donna di mezz'età, nubile, scrittrice ed esperta in vite dei Santi, tiene una conferenza in un villaggio sperduto della Svezia settentrionale.
Pernotterà nella casa isolata di di uno scheletrico anziano, gravemente malato.
Il mattino, la partenza è resa impossibile da una nevicata che ha completamente bloccato la strada.
Di fatto sarà costretta a rimanervi per alcuni mesi.
Unica abitazione vicina, ma poco visibile, è quella del fratello di lui, pure anziano e gravemente malato, ma grassissimo e in perenne abbuffata di dolciumi.
I due vecchi vivono in un tormentoso stato di odio-amore, soprattutto odio, tanto da non vedersi mai; ognuno in lotta per sopravvivere all'altro: "Non darò mai a quel demonio la soddisfazione di morire prima di lui. E' questo che mi tiene in vita".
"Era stata l'età adulta a dividerli". Nei loro ricordi emerge una figura di donna, e anche un bambino.
La conferenziera fa da tramite fra i due. Il finale è un colpo di genio: sorprendente e altamente significativo, tanto da rendere possibili diverse interpretazioni, anche di tipo simbolico, da lasciarci perfino azzardare la ' lettura ' di un contrasto fra due opposti estremi di una stessa personalità, come nel testo di I. Calvino "Il Visconte dimezzato".

Il libro, splendidamente tradotto da Carmen Giorgetti Cima, presenta una scrittura che mescola dramma e ironia in modo sempre inaspettato : secondo l'anziano ospitante, il fratello "non era nemmeno malato, ma solo moribondo", e per sé ritiene che "i primi tempi da morto avrebbe solo riposato, poi si sarebbe visto".
In un linguaggio di notevole bellezza, l'autore non ci risparmia momenti, diciamo, indelicati, per cui agli schizzinosi consiglio di leggere ... lontano dai pasti.

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