Narrativa straniera Racconti Una cosa che volevo dirti da un po'
 

Una cosa che volevo dirti da un po' Una cosa che volevo dirti da un po'

Una cosa che volevo dirti da un po'

Letteratura straniera

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«Il problema, l'unico problema, resta mia madre. Ed è ovviamente lei quella che cerco di afferrare; è per raggiungere lei che è stato intrapreso l'intero viaggio. A quale scopo? Per delimitarla, descriverla, illuminarla, celebrarla, per liberarmene; e non ha funzionato, perché incombe da troppo vicino, come ha sempre fatto. Io potrei sforzarmi in eterno, con tutto il talento che ho, e con tutti i trucchi che conosco, e sarebbe sempre lo stesso». È questa la profetica conclusione cui giungeva la narratrice dell'ultimo racconto di questa raccolta di Alice Munro, la seconda, datata 1974. «Una cosa che volevo dirti da un po'»: la formula di un'intima, innocua confessione per un viaggio che da allora non cessa di tracciare percorsi inesauribili e sempre nuovi. «Alice Munro mette nero su bianco il dolore e il piacere della vita nel canto di una prosa asciutta, senza mai sperperare una parola». Le tredici storie che compongono la seconda raccolta di Alice Munro, pubblicata nel 1974 e ora per la prima volta in Italia, sono accomunate in larga misura da uno sguardo retrospettivo sulle cose e da riflessioni postume su un passato che tramanda i suoi misteri senza risolvere rancori, gelosie e amori complicati e cattivi. Gli anni non possono spegnere gli incendi della giovinezza, i quali continuano imperterriti a consumare l'ossigeno delle relazioni. Quella tra le due sorelle Et e Char, per esempio, avvinghiate l'una all'altra dal risentimento non meno che dall'affetto, dall'invidia dell'una per la luminosa e invincibile bellezza dell'altra, dal ricordo di piombo di un fratellino annegato, e dalla loro futile rivalità sentimentale.



Recensione della Redazione QLibri

 
Una cosa che volevo dirti da un po' 2016-12-17 11:40:06 siti
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siti Opinione inserita da siti    17 Dicembre, 2016
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Scomode verità

Raccolta di tredici racconti pubblicati nel 1974 e ora apparsi, per la prima volta, in Italia. Si tratta di storie brevi affidate ad un narratore esterno, in pochi casi, la maggior parte invece orchestrati da una voce narrante in prima persona, femminile, rigorosamente. Sono storie intense e dolorose, sapientemente gestite da un registro stilistico sobrio, rigoroso, efficace, una scrittura che in modo asciutto racconta la realtà dei fatti, pochi, mentre va a infrangersi nel composito universo emotivo femminile fatto di sensazioni, emozioni, reazioni, ma soprattutto relazioni. La Munro è una maestra nel restituirci quel sentimento negato, offuscato, quell’universo di pensieri che agitano le nostre menti, e parlo da donna, intrecciandosi, dissolvendosi, alimentandosi, nel nostro cuore, nel nostro umano sentire, quando siamo figlie, mamme, sorelle, mogli, amanti, zie, nonne.

Ogni racconto apre una breccia temporale che procede a ritroso, si parte da un pretesto narrativo contemporaneo per andare a ripercorrere il passato: uno sguardo retrospettivo che non genera soluzioni, non porta conforto, non risolve conflitti anzi li rinnova, nell’atto stesso del raccontarli. In alcuni casi si restituisce un frammento di infanzia (“La barca trovata”, “Giustizieri”), personalmente mi sono parsi i testi meno riusciti; in altri si percepisce il peso della vecchiaia ( “Una cosa che volevo dirti da un po’”,”Marrakesh”, “Vento d’inverno”), sono quelli che ho prediletto, in altri cogliamo donne nella piena maturità ma ancora profondamente irrisolte (“Materiali”, “Come ho conosciuto mio marito”, “Perdono in famiglia”,”Dimmi se sì o no”, “La dama spagnola”, “Cerimonia di commiato”, “L’Ottawa Valley”).
Solo un racconto si focalizza su un protagonista maschile, non mi è piaciuto affatto.
Si tratta insomma della restituzione di verità nascoste, di sentimenti, spesso malsani ma così frequenti e umani, di verità scomode lasciate affiorare affinché un penna magistrale potesse coglierle, essenzialmente, senza gravarle di ulteriore peso, tantomeno di quello del giudizio. Ci ritroviamo tutte, penso. Il difficile è ammetterlo.

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Una cosa che volevo dirti da un po' 2017-02-22 21:47:04 Elena72
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Elena72 Opinione inserita da Elena72    22 Febbraio, 2017
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Parole non dette, antichi rancori

La seconda raccolta della Munro, pubblicata nel 1974, ma edita in Italia solo nel 2016, conferma le grandi qualità di questa autrice fin dai suoi esordi. Della Munro adoro soprattutto lo stile, essenziale, tagliente, incisivo. Ti fa entrare nelle vicende che racconta attraverso il punto di vista delle protagoniste, ti fa vivere le loro emozioni, i loro pensieri, i loro drammi e i loro desideri. Mi piace perché il tempo del racconto è frammentato, oscilla tra presente e passato, è filtrato dai ricordi. Ma ciò che più apprezzo di questa autrice è il ruolo che dà al lettore: gettato 'in medias res' egli si deve infatti impegnare per scoprire chi sta parlando e di chi si sta parlando, deve ricostruire la trama e dare senso al racconto che va riassemblato come i pezzi di un puzzle. "Una cosa che volevo dirti da un po'" è il titolo del primo di tredici racconti e suggerisce anche la tematica di tutta la raccolta: frasi non dette, antichi rancori, segreti mai svelati custoditi da madri, mogli, sorelle, amiche, amanti per preservare fragili, ma preziosi, equilibri esistenziali.

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Una cosa che volevo dirti da un po' 2017-01-09 15:01:16 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    09 Gennaio, 2017
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Episodi di vita tra brevitas e concinnitas.

Nelle sue magistrali “Lezioni americane” Italo Calvino sosteneva che il racconto, per la sua brevità, è il genere letterario da preferire, in quanto in esso è più facile mantenere desta l’attenzione del lettore e la tensione della narrazione. Egli fa riferimento alle Operette morali di Leopardi, come uno dei numerosi esempi di letteratura italiana in cui “ il massimo dell’invenzione e di pensiero è contenuto in poche pagine.” D’altra parte anche la letteratura straniera offre numerosi esempi di eccellenti narratori di opere brevi, si pensi a Edgar Allan Poe o a Borges, solo per citarne due. Eppure il racconto è stato a volte paradossalmente considerato un genere minore rispetto al romanzo, frutto di una narrazione più articolata, che può contenere al suo interno digressioni che costituiscono dei veri e propri racconti a sé stanti funzionali rispetto all’opera nel suo complesso.
Alice Munro, premio Nobel 2013, è nota per la sua prosa elegante e per i suoi racconti brevi. “Una cosa che volevo dirti da un po'” è una raccolta pubblicata nel 1974 e ora edita in Italia da Einaudi.
È straordinaria la capacità di questa scrittrice di narrare in poche pagine episodi di vita assolutamente attinenti alla realtà quotidiana, soffermandosi sui sentimenti e le passioni dei personaggi, con tale empatia da rendere palpabile il dolore che li affligge, o il piacere che li trascina. Il mondo della Munro è quasi sempre al femminile e la sua narrazione procede per lo più in prima persona, proprio per dare maggiore veridicità ai fatti che racconta. Sono donne, le sue, inclini ad analizzare se stesse e le persone con cui si rapportano, sono donne che raccontano l’amore, con nostalgia, rammarico, rancore, delusione. Spesso è il tradimento al centro di una storia sofferta, spesso è il difficile rapporto tra fratelli e sorelle e l’ancor più difficile rapporto genitori-figli. La Munro procede con una capacità di analisi che scava nel subconscio e fa emergere ferite nascoste mai veramente dimenticate. E il mondo che circonda i personaggi è ugualmente descritto con tratto realistico per offrire al lettore un quadro complessivo veritiero. L’eleganza della prosa della Munro e la sua capacità di delineare in pochi tratti fatti e personaggi, fanno sì che ogni racconto si espanda nell’immaginazione del lettore. È un’intera vita che si concentra e si dilata nello spazio di un episodio, come avviene effettivamente nella breve esistenza dell’uomo.

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Una cosa che volevo dirti da un po' 2017-01-01 20:01:10 68
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68 Opinione inserita da 68    01 Gennaio, 2017
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Viaggio al femminile tra memoria, speranza e rasse

Nella scrittura di Alice Munro Il tempo delle parole e delle emozioni, dei sogni e dei rimpianti, quel recupero di relazioni irrisolte o perdute sembra non scorrere e mantenersi sospeso, insondabile, in una attesa protratta.
Il tentativo di riappropriarsi di se' attingendo da un passato sofferto, che avrebbe segnato un futuro complesso nuotando in un mare di frammentarie memorie, non ha risposta, ne' mai l' avrà, l' interiorità è parte di un universo frammentario, alimentato da una caleidoscopica fragilità e sensibilità di un mondo femminile alla ricerca di altre certezze, oltre l' ovvio mostrarsi.
Le protagoniste di questi tredici racconti ( quasi totalmente al femminile ) scavano nelle pieghe della memoria attraverso gesti ripetuti, affetti negati, prolungati silenzi, un semplice sguardo, una passione fugace, la sofferenza della malattia, quesiti irrisolti, nella speranza di riacquisire un quid che in fondo non può cambiarle ne' soddisfarle, perse in una vita oggi incompiuta, incerta, crudele, ma che comunque parla di loro, descrivendole e caratterizzandole.
Ogni elemento, oggetto, parola, gesto, scoperchia un ricordo, un flusso dei sentimenti, e protagonisti scomparsi, dimenticati, riemersi, vecchie ferite riaperte, ma sfugge ad ogni definizione di sorta.
E quel tentativo di spiegazione riassunto e magistralmente rappresentato dal viaggio intrapreso per afferrare una " madre", la propria madre, ( da parte della protagonista dell' ultimo racconto della raccolta " Ottawa Valley " ma anche da parte della Munro stessa in riferimento alla propria madre ) per delimitarla e circoscriverla, quindi per liberasene, è impossibile, perché lei grava su ogni cosa, incombe, sovrasta, pur con contorni sfumati ed indistinti.
Questa seconda raccolta di racconti ( 1974 ) della Munro, scritta dopo venti anni di assenza al suo ritorno in Ontario, entra e scandaglia il complesso universo femminile sullo sfondo della solitaria e desertica provincia canadese con un linguaggio fermo, deciso, sobrio ed una forza espressiva che respira di eleganza e profondità ( e che in futuro ne sarà l' elemento precipuo ).
E' un viaggio attraverso età e figure contigue e contrapposte, madri, figlie, nipoti, sorelle, mogli, amanti, a ricostruirne l' essenza cercando di svelarne l' oggi attraverso una rivisitazione di luoghi, , relazioni, sentimenti, in uno spazio fisico e mentale che alterna flussi temporali, umori e respiri contrastanti.
Le vite di queste donne sembrano ridursi ad un ovvio mostrarsi, la quotidianità, gesti e parole che spesso non hanno corrisposto ad aspirazioni e desideri, ovattati da una condivisione apparentemente vestita di naturalezza e semplice agire, ma spesso travolta da imprevisti ( ineluttabili ), noncuranza affettiva ( sia maschile che femminile ) sogni dissolti e tragedie improvvise ed ingiustificate. ( " Cerimonia di commiato " ).
Si respira, tra le pagine, uno scorrere lento, una volontà di fuga da una realtà spesso deludente, un desiderio di libertà ma anche un' antitesi reale-ideale, quel trascinarsi verso un epilogo già noto e che lascia un senso di insondabilita' nell' indefinita complessità dell' universo femminile.
Viaggiamo accompagnati da slanci giovanili, desideri di madri, mogli tradite, dimenticate, conflittualità fraterne, la sofferenza della tarda età, e della malattia, la difficoltà nella relazioni con la figura maschile ( spesso interessata ad altro, volutamente assente o semplicemente diversa ).
L' essenza dell' animo femminile traspare, pur continuamente cangiante, insoddisfatta, impegnata a ridefinire e risolvere relazioni consumate e rapporti finiti, in una neo-rappresentazione di se' e degli altri e in un disperante desiderio di una armoniosa presenza ( che non può essere soddisfatta ).
Spesso la propria percezione del reale modifica gli eventi, ed i ricordi, e la rappresentazione delle persone, secondo le nostre esigenze, ma "....forse esistono dei contatti imperscrutabili che ci permettono di avere delle conferme...." ( " Venti d' inverno " ).
In fondo la vita non è che una continua ricerca, un' alternanza di segreti svelati e parti ovattate di se', un mistero irrisolto.
Ecco allora che:

" .....Quello che tiene ciascuno di noi legato ad una donna o ad un uomo può essere un dettaglio insignificante.... "
" ....Qualunque cosa si sarebbe rivelata altro da quello che sembrava.... "
" ....Il perdono famigliare per me e' un mistero, come sopraggiunge, come possa durare... "
" ....Era diventata una stella fissa in mezzo ad una miriade di esistenze itineranti, mutevoli, variabili... "
"."... il legame tra loro si era spezzato o forse sì era fatto invisibile.... "
" ....le donne devono credere che stia succedendo di più di quel che succede.... "

Sono queste le donne che la Munro sa descrivere così bene ed intensamente, diverse, antitetiche, multiformi, in continua lotta intestina ( Et e Char in " Una cosa che volevo dirti da un po' "), ma in fondo espressione di una sola voce che e' grido nel silenzio e nella complessità dei sentimenti e della vita e che ci raggiunge, chiara, lucida, espressiva, sospinta dallo spirito indomito di una fragilità apparente divenuta linguaggio ed espressione dominante.

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