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All'inizio di questo Diario, Etty è una giovane donna di Amsterdam, intensa e passionale. E' ebrea, ma non osservante. Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione comincia a infiltrarsi fra le righe del diario. Etty registra le voci su amici scomparsi nei campi di concentramento. Un giorno, trova il cartello: "Vietato agli ebrei". Un altro giorno, certi negozi vengono proibiti agli ebrei. Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza dell'anima. Non pensa a salvarsi. Pensa a come potrà essere d'aiuto ai tanti che stanno per condividere con lei il "destino di massa" della morte. Mentre si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura. Anche nel pieno dell'orrore, riesce a respingere l'odio, perché renderebbe il mondo ancor più "inospitale".



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Diario 2021-01-17 15:31:14 ALI77
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ALI77 Opinione inserita da ALI77    17 Gennaio, 2021
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UN INNO ALLA VITA

*Recensione dell'edizione Adelphi con il diario integrale*

Etty Hillesum era una ragazza olandese che morì il 30 novembre 1943, nel campo di concentramento di Auschwitz. Prima di essere deportata affidò il suo diario all'amica Maria Tuinzing con la richiesta di affidarlo allo scrittore Klass Smelik e alla figlia Johanna affinché trovassero un editore.

Fu, però, solo negli anni ottanta che questo testo fu pubblicato, molti editori rifiutarono gli otto quaderni, con la vita e le riflessioni di Etty.

Un altro caso, lo possiamo dire, di testimonianze che per molto tempo sono rimaste sepolte e dimenticate.

Questo diario è il racconto della vita di Etty che con sincerità, intensità e trasparenza ci parla delle sue amicizie, di quello che prova e dei suoi sentimenti. C'è anche spazio per delle riflessioni sulla vita, su quello che vorrebbe fare da "grande", sulla situazione che stanno vivendo gli ebrei in quel periodo.

Non vengono descritti gli orrori della guerra, Etty con questo testo ci dona tanta speranza e fiducia nel prossimo e nel futuro. Un vero e proprio inno alla vita.



Venerdì 03 luglio 1942

"Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolità dall'altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato".

E' un testo sincero, puro e che ci fa riflettere, Etty era una donna "libera" per il suo tempo sia come idee ma soprattutto nel vivere la propria sessualità.

Etty era una donna intelligente, molto acuta, piena di vita e che non si è mai data per vinta e che alla fine ha accettato il proprio destino.

Quello che stupisce all'inizio del testo è che la nostra protagonista non era particolarmente legata alla religione ebraica, anzi, ma verso la fine del testo si avvicina a Dio e trova una sua dimensione spirituale.

Nella prima parte del diario Etty ci parla di Julius Spier, che lei chiama solamente con S., l'uomo era un ebreo emigrato da Berlino, ex direttore di banca e fondatore della psicochirologia, cioè lo studio delle linee della mano. La Hillesum è affascinata da quest'uomo che ha il potere di catturare la sua attenzione e ne divenne sua segretaria e sua amante.
Etty amava la letteratura russa e traduceva anche dei testi, la stessa madre della Hillesum, Rebecca Bernstein, era nata in Russia. Era sicuramente una ragazza di grande talento, amava leggere, anche testi di filosofia, si laureò in Giurisprudenza, poi si iscrisse alla facoltà di Lingue Slave e poi, allo scoppio della guerra, iniziò a studiare la psicologia.

Etty viveva in una stanza al terzo piano di Gabriel Metsustraat, a sud di Amsterdam, e lavorava come domestica per Han Wegerif, con il quale ebbe anche una relazione. E' lì che conobbe Maria Tuinzing, che divenne sua amica e alla quale affidò il suo diario.

Nel diario, almeno inizialmente, Etty non ci parla della guerra anche se poi inevitabilmente inizia ad entrare anche nella sua vita e anche lei si rende conto di quello che sta capitando agli ebrei.


Domenica 22 marzo 1942

"Ci è stato proibito di passeggiare sul Wandelweg, ogni misero gruppetto di due o tre alberi è dichiarato bosco e allora sulle piante è inchiodato un cartello con la scritta: vietato agli ebrei. Questi cartelli diventano sempre più numerosi, dappertutto. E ciononostante, quanto spazio in cui si può ancora stare ed essere lieti e far musica e volersi bene. "


Etty non voleva sottrarsi al proprio destino e a quello del suo popolo e decise di presentarsi spontaneamente a Westerbork, un campo di transizione e di smistamento, che era l'ultima tappa prima di arrivare ad Auschwitz. Etty amava le altre persone, l'unico modo per sconfiggere la guerra e l'odio era quello di portare la propria forza e voglia di vivere agli altri e fino all'ultimo lei lo fece.

Lavorando nell'ospedale locale di Westerbork, poté anche aiutare la Resistenza, nonostante tutti i tentativi degli amici nel cercare di convincerla a nascondersi o a scappare, fu deportata il 7 settembre 1943 con la madre, il padre e il fratello Mischa.

Etty amava scrivere, era il suo sogno quello di diventare una scrittrice, anche se rimandava e diceva che:


"[...] un bel giorno, quando sarò grane, riuscirò certamente a scrivere"


Il suo diario è sicuramente la dimostrazione di quanto talento avesse come scrittrice, aveva uno stile fluido, scorrevole e riusciva a trasmettere, forza, coraggio e voglia di vivere. Peccato non abbia avuto la possibilità di realizzare il suo sogno.

Nel suo diario ci sono veramente delle parti molto toccanti dove si capisce che Etty era più avanti di tutti noi, al di sopra dei giudizi morali e dei pregiudizi e si augurava che prima o poi l'odio smettesse in favore dell'amore fraterno.

9 gennaio 1942

"Il monito «Tutti gli uomini dovrebbero essere fratelli » avrà una possibilità di essere realizzato solo quando i diritto d'autore saranno stati aboliti; quando tutti potranno pescare dalla grande riserva comune, che è stata creata dall'umanità nel corso dei secoli. Solo quando si saprà riconoscerà che quella riserva è comune e che, se si tocca qualcosa di quel patrimonio, è una grazia; giacché quel che conta non è se tocca a te, signore o signorina tal dei tali, bensì se sei grato per il fatto di poter dare asilo a uno dei pensieri o dei sentimenti patrimonio dell'umanità. E' importante che tu sia grato di essere stato casualmente scelto come mezzo, strumento, anello di congiunzione, che esprime, rende possibile l'espressione dello spirito, del divino, o comunque lo si voglia chiamare. E allora non importa chi è chi. "

Etty, con questo diario, voleva anche lasciare una testimonianza e aveva un grande desiderio quello di "cancellare " prima da ogni persona e poi da mondo stesso, l'odio in ogni sua forma. Lei fu vittima dell'odio verso gli ebrei, lei ne fu testimone, quanto di noi sarebbero andati incontro al proprio destino senza esitare un attimo?

Lei lottò con forza fino alla fine, non si sottrasse alla sua sorte, ma l'accettò riconoscendo ogni giorno il buono che trovava nella sua vita e credo che lo dovremmo fare anche noi.

Un testo che può essere letto e riletto ad ogni età, una testimonianza che ci fa riflettere molto, che ci insegna ad amare e a combattere nonostante tutto.

Etty non fu vittima dell'Olocausto ma con questo testo lei si ribellò con audacia e coraggio a tutto quello che stava succedendo, ma alla fine anche lei dovette arrendersi alla cattiveria degli uomini.

Credo che la Hillesum abbia vinto, lasciandoci un testo potente che passerà i secoli e che ora finalmente è stato "scoperto" nuovamente e spero che molti lettori lo potranno leggere e apprezzare.

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Diario 2020-10-04 07:50:47 siti
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siti Opinione inserita da siti    04 Ottobre, 2020
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La bellezza della vita

La vita di una giovane donna di Amsterdam consegnata a otto quaderni trapuntati da una scrittura minuta al limite della decifrabilità, una vicenda biografica - nel pieno della furia antisemita- che ha corso il rischio di non essere conosciuta e che, ancora oggi, è meno nota della più citata esperienza della giovane Anne Frank. L’interessamento di J.G. Gaarlandt, giornalista, poeta, traduttore, editore e scrittore olandese, ha permesso la divulgazione prima e la conoscenza poi di questo straordinario documento che agli inizi degli anni ’80 ha iniziato a circolare in Olanda per arrivare a essere pubblicato progressivamente in Europa e nel resto del mondo.
Oggi è un classico della letteratura mondiale e lo è su più versanti: non può essere relegato a mero documento storico, possiede infatti la portata di un’opera capace di superare la “distinzione di antichità, di stile, d’autorità” a dirla come Calvino ( cfr. “Perché leggere i classici”), ed è inoltre latore di quel linguaggio universale capace di parlare agli uomini in ogni tempo e in ogni luogo. Possiede poi il valore aggiunto di farci sentire la brillante voce di una giovane donna colta - nata in una famiglia appartenente alla borghesia intellettuale ebraica - intraprendente e moderna, una donna pienamente consapevole di se stessa, alla continua ricerca della sua dimensione individuale all’interno di un sistema di relazioni sconvolto dall’eccezionalità del momento storico che sta vivendo. Intrattiene una pseudo relazione con un uomo maturo, ne è invaghita soprattutto sotto l’aspetto intellettuale, si tratta di Julius Spier, noto chirologo, psicologo e psicoterapeuta tedesco emigrato ad Amsterdam, e scrive il diario inizialmente su sua indicazione. Se inizialmente si presenta come “un povero diavolo impaurito”, una ”prigioniera di un gomitolo aggrovigliato” di fronte ai problemi della vita, tutta presa dalla sua dimensione individuale, progressivamente gli accadimenti esterni, indicativo il suicidio di un professore con il quale aveva parlato la sera prima, la spingono a cercare un compromesso, un equilibrio, una pacifica convivenza, potremmo chiamarla, tra la dimensione interiore e quella esteriore, al fine di “vivere pienamente”. E questa sarà la sua missione: accogliere la vita nella sua interezza senza essere schiacciati dalla affannosa ricerca di un senso, soprattutto quando gli arresti, il terrore, i campi di concentramento, sono tutti pensati per condurre allo smarrimento. In questo ricorda molto il tentativo operato da Levi di mantenersi sempre un essere umano facendo prevalere la pars costruens, sostenuta dalla conoscenza intesa come patrimonio culturale dell’individuo, sulla pars destruens, quella che invece potrebbe nutrirsi del contesto ambientale e storico che si sta subendo. Ecco, in Etty Hillesum, non c’è traccia di una posizione subordinata dell’individuo rispetto agli eventi: la sua eccezionalità è tutta qui. Vive la sua esistenza particolare perfettamente consapevole, ma non rinuncia a quello che tutti noi dovremmo fare: coltivare un’autentica autonomia interiore, conoscerci per guidarci perché in fondo gli altri sono deboli, insicuri e indifesi quanto noi. Senza con questo concentrarsi solamente su se stessi, anzi coltivando un profondo e sincero altruismo che permetta di raccordarci alla dimensione esterna al nostro Io.

Insomma, chi si attende la cronaca di un genocidio si troverà invece a contatto con un libro di straordinaria ricchezza spirituale, un testo da tenere sempre a portata di mano quando le difficoltà della vita paiono sopraffarci. Imprescindibile.

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Diario 2019-01-25 16:18:20 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    25 Gennaio, 2019
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Un cuore e un'anima rivolti al vivere

«Siccome sono ancora tanto giovane, e ho la volontà indistruttibile di non lasciarmi metter sotto; e siccome ho la sensazione di poter contribuire anch’io a colmare le lacune recenti, e me ne sento la forza – per tutti questi motivi io mi rendo appena conto di quanto poveri siamo diventati noi giovani, di quanto siamo rimasti soli.» p. 43

Quando Etty inizia a destinarci i suoi pensieri ha appena ventisette anni e un marchio, quello d’esser ebrea, che è pronto a condannarla da un momento all’altro. Le parole che riversa su quei quadernetti sono la sua speranza, il suo bisogno di luce in un mondo che sta diventando tenebra, in un mondo in cui la paura si taglia con un coltello per quel costante aumentare di minacce e terrore che crescono ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Tuttavia, “Diario” non è una sterile raccolta di aneddoti in procinto della deportazione, della persecuzione (che è percepita quale inevitabile), è il resoconto degli ultimi due anni di vita della Hillesum (che morirà nel novembre del 1943 ad Auschwitz dopo esser riuscita a consegnare le sue memorie all’amica Maria Tuinzing affinché la stessa potesse a sua volta consegnarle a guerra finita, perché l’autrice se lo sentiva che non sarebbe mai tornata da quel campo, a Klass Smelik e a sua figlia Johanna) e delle persone che in queste 730 giornate o poco più, ne hanno affiancato l’epilogo, quanto un inno vero e proprio al vivere. Se vi aspettate infatti un rapporto della paura, della disperazione, della tragedia, dell’inumano, questo testo non fa per voi. Perché per quanto lo si percepisca e lo si respiri battuta dopo battuta, quel che realmente emerge e lascia un segno indelebile nelle anime del conoscitore è lo spirito di questa giovane che vuol assaporare il tempo che le rimane con un atteggiamento volto al possibile, volto al dispensare amore, al cercare il positivo anche in quelle situazioni più drammatiche che tolgono il fiato, che sembrano insormontabili.

«Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria, avevo la sensazione che ogni cosa che facevo non fosse ancora quella “vera”, ma una preparazione a qualcosa di diverso, di grande, di vero, appunto. Ora questo sentimento è cessato. Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la pena di viverla ora, oggi, in questo momento; e se sapessi di dover morire domani direi: mi dispiace molto, ma così com’è stato, è stato un bene.» p. 38

Dal ’43 queste memorie giungono al grande pubblico soltanto a partire dal 1980/81 quando J.G. Gaarlandt (di cui all’introduzione al testo) le riceve da Klass Smelik che, dopo il rifiuto di molti altri editori che non ne avevano avuto un’impressione favorevole, aveva ormai perso ogni speranza di pubblicazione. Iniziò da qui un serrato lavoro di decifrazione della stretta, piccola e fitta calligrafia di Etty per giungere alla prima pubblicazione in Olanda nel 1982 con il titolo “Il cuore pesante della baracca” e nel resto del mondo a partire dal 1983.
E così, conosciamo Esther, detta Etty, che vive in Olanda, che è originaria di una famiglia benestante, che ha una laurea in legge ma una grande passione per la letteratura e la traduzione dalla lingua russa tanto che si iscrive alla facoltà di lingue slave e che nutre un sentimento controverso per S.. È proprio S., ovvero lo psicologo allievo di Jung, Julius Spier di circa cinquant’anni, a consigliarle di scrivere e redigere quello che originariamente non doveva essere altro che un diario terapeutico. Ecco perché l’impianto del volume, per quanto la persecuzione sia elemento costante che emerge continuamente e i momenti bui in cui la l’animo vacilla innanzi alle avversità, è la ricerca del proprio essere mediante una indagine introspettiva mediante il dialogo interiore a cui si somma una ricerca spirituale con una parola rivolta a Dio, agli scritti sacri e un’altra rivolta all’uomo e alle sue scelte soventemente incomprensibili.
La Hillesum non si sottrae alle riflessioni, si focalizza sull’essere umano, sulla società, sul suo mutamento nel tempo – tanto che l’opera è fortemente attuale da questo punto di vista – ma mai smette di ricordare al lettore quanto il vivere sia bello, ricco di significato, un dono unico. Anche quando il male, il dolore tentano di farla vacillare. E come tale, ci sprona a viverla la nostra vita, al cento per cento, senza mai arrenderci alle ostilità.

«Il gran cranio dell’umanità. Il suo potente cervello e il suo gran cuore. Tutti i pensieri, per quanto contraddittori, nascono da quest’unico grande cervello: il cervello dell’umanità, di tutta l’umanità. Lo sento come un unico, grande insieme e forse è di lì che mi viene di tanto in tanto quel profondo sentimento di armonia e di pace, malgrado le numerose contraddizioni. Bisogna conoscere tutti i pensieri e sentirci passar dentro tutte le emozioni, per sapere che cosa sia stato ideato in quell’immenso cranio, e che cosa sia passato per quel gran cuore. E così la tua vita è un passare da un parto all’altro. Forse dovrò spesso cercare il mio parto, la mia liberazione in un cattivo pezzo di prosa, così come un uomo spinto dal bisogno trova la sua liberazione in quella che, detto energicamente, si chiama “puttana” – perché a volte si grida per partorire, in ogni modo.» p. 90-91

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Diario 2016-04-24 15:53:54 joannes88
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joannes88 Opinione inserita da joannes88    24 Aprile, 2016
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Il cuore pensante della baracca

“Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore”

Mentre tutto si fa buio attorno a lei, una giovane donna ebrea di ventisette anni conserva ed alimenta una luce nel proprio animo, cercando continuamente nel prossimo “quel nudo, piccolo essere umano che spesso è diventato irriconoscibile, in mezzo alla rovina delle sue azioni insensate”.
Questa giovane donna è Etty Hillesum, che col proprio diario ci ha donato non solo la testimonianza degli ultimi due anni della sua vita, ma anche e soprattutto un ricco affresco interiore, carico di profonde riflessioni personali che a differenza di quanto si possa immaginare non vengono da uno spirito tormentato e afflitto, ma da un cuore costantemente pronto ad irraggiare amore e volontà di vivere in ogni situazione, anche la più drammatica.
Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel novembre del 1943, ma prima di essere deportata in Polonia, consapevole che il cerchio attorno a lei e alla sua famiglia va sempre più stringendosi, riesce a consegnare i propri scritti all’amica Maria Tuinzing. Al termine della guerra i suoi amici tentano in più occasioni di trovare un editore che dia alle stampe quel documento prezioso. Ci vogliono quasi quarant’anni perché questo accada, ma poi il successo del diario è vasto e immediato: dalla piccola, Olanda le parole e i pensieri della Hillesum arrivano presto in tutta Europa e nel resto del mondo.

“Avanti, allora! È un momento penoso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe”. Eshter Hillesum (per tutti Etty) vive in Olanda, nei pressi di Amsterdam. Ha una laurea in legge e una tenace passione per la letteratura, in particolare quella russa. Si iscrive infatti alla facoltà di lingue slave e quando può offre ripetizioni di russo. Vive a casa dei suoi, in una famiglia benestante, e frequenta alcuni personaggi in vista della borghesia ebraica della sua città. Non è insomma quella che si direbbe una ragazza del popolo, anche se nel corso della sua esistenza – specialmente nei suoi ultimi tragici atti – darà sempre prova di un forte senso di appartenenza alla sua gente.
Una “personalità luminosa”, una ragazza dal temperamento solare e vivace, con molti amori alle spalle e due sogni nel cassetto: viaggiare in oriente e diventare una scrittrice. Etty comincia a scrivere il suo diario su consiglio del proprio psicologo, Julius Spier, un uomo di cinquant’anni famoso per essere stato allievo di Jung e per aver sviluppato un particolare talento nel leggere la psiche dei suoi pazienti dalle loro mani. Spier diventa un punto di riferimento fondamentale per Etty, che se ne innamora e raccoglie il suo stimolo a intraprendere un lungo ed intenso percorso di introspezione attraverso la scrittura. Nato dunque con finalità “terapeutiche”, il diario della Hillesum non è un resoconto della guerra e neppure un racconto dettagliato della persecuzione degli ebrei d’Olanda. Certo, i due temi affiorano spesso nelle annotazioni dell’autrice, soprattutto nell’ultimo anno della sua vita, e sono indiscutibilmente alla base di svariate riflessioni, tanto di carattere generale quanto di natura intima e personale. Ma l’architrave del diario, decisamente scarno in termini di cronaca, è l’incessante, ostinata e talvolta dolorosa ricerca di sé, esposta nella forma di un intenso dialogo interiore, a tratti fortemente spirituale.
Nei suoi scritti Etty mostra una spiccata inclinazione a vivere la propria esistenza dall’interno verso l’esterno, e non viceversa. Il 12 giugno del 1942 annota: “Non sono mai le circostanze esteriori, è sempre il sentimento interiore – depressione, insicurezza, o altro – che dà a queste circostanze un’apparenza triste o minacciosa”. Ed è a partire da questa convinzione che Etty cerca costantemente un’armonia dell’anima, resa tanto più utile e necessaria in un periodo tragico per le sorti del suo popolo. Individua così due modi per raggiungere la propria pace interiore e contrastare quegli innumerevoli nemici che la minacciano dall’esterno. Il primo, ovviamente, è la scrittura: “Il peggio verrà quando non mi sarà più concesso di tenere matita e carta per schiarirmi le idee di tanto in tanto. Senza questa possibilità, che per me è di un’importanza essenziale, potrei anche scoppiare e distruggermi dentro”. Il secondo è la preghiera. Etty intraprende un cammino spirituale molto impegnato, dove alterna letture della Bibbia a momenti di raccoglimento e preghiera che definisce nel proprio diario come la sua “cura” e “l’unico atto degno di un uomo rimasto di questi tempi”. Il 10 ottobre del 1942 scrive: “Com’è strana la mia storia – la storia della ragazza che non sapeva inginocchiarsi. O con una variante: della ragazza che aveva imparato a pregare. È il mio gesto più intimo, ancor più intimo dei gesti che ho per un uomo. Non si può certo riversare tutto il proprio amore su una persona sola”.
Sono molte le pagine in cui Etty si rivolge direttamente a Dio, e ciò non già per disperazione (sentimento del tutto assente nei suoi scritti), bensì per una fede incrollabile che non cede neppure di fronte ad eventi gravi come quelli che sconvolgono l’Europa del suo tempo. Etty colloca Dio nel cuore degli uomini e sostiene che “non è responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi!”. Aggiunge inoltre: “Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di altri uomini”.
Ma quello che lascia piu stupiti nel diario di Etty Hillesum è il suo continuo insistere sulla bellezza della vita e sulla sua pienezza di significato. Sono parecchie le pagine dove troviamo pensieri di questo tenore: “Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto”. L’amore che Etty prova per la propria esistenza in un momento per lei così difficile può a prima vista apparire forzato od innaturale, quando in realtà è del tutto coerente con la sua visione del mondo e la sua concezione degli uomini: “Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero”.
Qualcuno ha scritto che “se Etty continua a ripeterci che tutto è bello, è perché un’ebraica volontà di vivere fondo in fondo vuole questo in lei” (Sergio Quinzio). Può darsi, ma forse si può formulare anche un’altra spiegazione: in Etty infatti trova splendida manifestazione quella capacità tipicamente femminile di superare le avversità della vita con grazia e semplicità.

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Diario 2015-09-05 09:08:45 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    05 Settembre, 2015
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"L'intelligenza dell'anima"

Etty Hillesum scrisse i diari, da cui è tratto il libro,nel periodo 1941-43 in piena Seconda Guerra Mondiale, ad Amsterdam, nell'Olanda invasa dai nazisti.
Lei era una giovane donna ebrea (nata nel '14). Mentre annotava avvenimenti e riflessioni, pure una ragazzina, a poca distanza, scriveva il suo Diario : era Anna Frank.

Il libro, dalla prima all'ultima pagina, palpita di vita; in particolare rispecchia una maturazione spirituale capace di colmare l'esistenza della giovane Etty.
Si tratta di una ragazza colta, sensibile e intelligente, molto indipendente, protesa verso l'amore per un uomo con parecchi anni in più, il quale come professione " guarisce le persone insegnando loro ad accettare il dolore" ed ha "un sorriso incantevole, malgrado tutti quei denti finti".
Accanto a questo sentimento, si fa luce una ricerca interiore, che la porta ad "ascoltarsi dentro. Non lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da fuori, ma da quello che s'innalza dentro", fino a raggiungere un equilibrio spirituale, sicura che grazie a esso "il resto funziona allora da sé".
La dimensione spirituale, quotidianamente coltivata, fa emergere il meglio della sua persona : una grande forza d'animo, la capacità di donarsi agli altri e un amore inestinguibile per la vita anche nelle più difficili condizioni. Constata che nella "tristezza è già insita una possibilità di ripresa"; e, pur nella consapevolezza che ormai è in atto il progetto di un totale annientamento, scopre che la vita è ugualmente "una cosa buona", bella e "ricca di significato" : a prevalere è la luce della vita interiore che riesce a non farsi contaminare dalle brutture degli accadimenti.

Il testo non ha solamente valore come 'documento umano' in un periodo terribile della Storia. L'alta qualità letteraria lo pone tra le opere che rimangono per se stesse, com'è accaduto con "Se questo è un uomo" di Primo Levi.
Nel libro della Hillesum, stile e contenuto confluiscono in un convinto e convincente messaggio poetico che diventa un inno al senso e alla bellezza della vita : sempre, comunque.
"Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera".

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Diario 2015-05-30 15:37:15 El Ghibli
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El Ghibli Opinione inserita da El Ghibli    30 Mag, 2015
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Trasforma l'atteggiamento nei confronti della vita

Leggendo il "Diario" di Etty Hillesum, ho avuto subito l'impressione di trovarmi di fronte ad una donna in preda ad una estenuante ricerca di equilibrio. Siamo ai tempi del nazismo, ma Etty nel suo diario non racconta nei minimi particolari i tormenti ed i maltrattamenti subiti ad Auschwitz, ma lei si sofferma solo ad evidenziare la rinascita interiore di una donna. Etty, una donna olandese, ebrea, inizia il suo diario a 27 anni. Ci parla della convivenza con il suo compagno, della sua passione per Dostoevskij e per Jung. E' una donna dalla cosiddetta mentalità aperta. Non si priva di relazioni amorose anche complicate, le piace godersi la vita in tutti i suoi aspetti. Ad un certo punto decide di entrare in terapia con un allievo di Jung con il quale inizierà un tipo di introspezione che l'aiuterà a ritrovarsi ed a recuperare il rapporto con il prossimo. Lei dirà: "io riposo in me stessa e questo me stessa (...) io lo chiamo Dio". Per Etty Dio non è un essere lontano ma presente sempre. Etty prende coscienza che a farci soffrire sono le nostre idee stereotipate sulla vita e non le circostanze che si presentano "...dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale (...) allora si che la vita diventa infinitamente ricca ed abbondante, anche nei suoi più profondi dolori". Per questo motivo Etty decide di non fuggire, di non mettersi in salvo durante lo sterminio degli ebrei. "le cose che ci accadono sono troppo grandi perchè si possa reagire con rancore e amarezza personali. Sarebbe una reazione così puerile (...) la coscienza che in ultima istanza non ci possono togliere nulla". Ciò che colpisce in modo particolare è la sua capacità di trovare il buono in tutti. Nel diario non si trovano mai delle parole negative sui "nemici"; per lei non esiste nè l'odio, nè il rancore, ciò che conta è "...mantenere intatto un pezzetto della propria anima". Etty trasmette un messaggio di vita che dal suo cuore si diffonde verso tutti e trasforma l'atteggiamento di chi legge nei confronti della vita. Un libro che fa molto riflettere sul modo di essere.

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