Narrativa straniera Romanzi Altrove, forse
 

Altrove, forse Altrove, forse

Altrove, forse

Letteratura straniera

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La vita nel kibbutz Mezudat Ram sembra uguale a quella di tanti paesini di provincia: un terzo noia e due terzi pettegolezzi. Certo, ci sono i nemici senza nome che sparano di notte, ma in verità sembrano molto più corrosivi gli impulsi interni alla comunità, come l’adulterio, le maldicenze e il vandalismo di una gioventù annoiata.



Recensione della Redazione QLibri

 
Altrove, forse 2015-12-16 07:46:41 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    16 Dicembre, 2015
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Vita nel kibbutz

E' trascorso quasi mezzo secolo dalla pubblicazione di questo interessante romanzo. Ora è giunta la sua prima traduzione italiana (di E. Loewenthal).
L'allora ventisettenne Amos Oz diede alle stampe questo libro scritto 'a caldo', quando anche molti giovani del mondo occidentale sentivano il fascino della vita quasi comunitaria del kibbutz.
Quello rappresentato dall'autore è posto in zona di confine, a qualche chilometro dai territori arabi. Formato da un piccolo villaggio e terreni circostanti, resi fertili da moderni sistemi tecnologici, è animato da uno spirito tipicamente ebraico-socialista, con una modalità di organizzazione particolare: ad ogni famiglia è assegnata un'abitazione, ma tutto viene deciso collettivamente. I pasti vengono consumati nel refettorio comune; i giovani vengono ospitati a parte; perfino i neonati hanno la loro specifica dimora.

L'Io narrante è un personaggio del posto ed esprime un punto di vista interno. Protagonisti sono i componenti di tre famiglie, o ciò che rimane di esse; gli assenti rientrano nella narrazione attraverso il ricordo: c'è chi è morto in uno scontro armato, chi schiantato dal lavoro, chi è fuggita per fulminea passione, presenza che ancora s'intravede ad agire dietro le quinte.
Il racconto presenta però una coralità che ricorda, con le dovute e ovvie differenze, il verghiano "I Malavoglia".
"Il pettegolezzo (...) ha qui un ruolo di primo piano e a suo modo contribuisce all'impresa di riformare il mondo" : "qui tutti sono giudici e tutti sono giudicati". "Qui vivono persone ansiose di migliorare il mondo, che lottano contro le debolezze umane", e le debolezze umane esistono come altrove. In questi casi, niente accuse pubbliche: "Bisogna chiacchierare con i singoli. Bisogna scegliere degli interlocutori con molta cura". Si coglie infatti un'atmosfera di grande rispetto reciproco, un atteggiamento di autentica solidarietà e senso di eguaglianza, anche se c'è chi afferma che "in kibbutz tutti sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri".

Il romanzo ha una grande capacità di rispecchiamento/rappresentazione di una realtà sociale, che è stata (è?) storicamente rilevante per lo Stato d'Israele, proprio attraverso le vicissitudini dei personaggi, gioie e sofferenze, secondo gli auspici della critica letteraria d'impronta sociologica, diffusa in Italia tramite la pubblicazione dell'opera di G. Lukacs.
L'approfondimento psicologico è quasi altrettanto curato, capace di esplorare con delicatezza le sfaccettature relazionali di carattere privato, le antiche ferite e l'irrompere di sentimenti nuovi.
Come succede nella narrativa d'Autore, molte zone d'ombra rimangono tali, e qualche caso di inquietante ambiguità mette in allarme un po' tutti, personaggi e lettore. Le sfumature rendono più complessa l'opera, perché nella realtà notiamo caratteri esteriori, comportamenti, fatti. Ma neppure questi elementi ci danno per intero la verità.

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Altrove, forse 2016-05-16 23:09:56 Portoro
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Portoro Opinione inserita da Portoro    17 Mag, 2016
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Il kibbutz (spoiler)

Il romanzo ci porta dentro un kibbutz di confine presentando, per quasi duecento pagine, l'intera comunità: un caso di socialismo ebraico applicato, con episodi quotidiani, rituali, tresche, invidie più o meno latenti, e lo spauracchio arabo di là dei monti.
L'insieme è un po' noioso, alla stregua del menage di pettegolezzi che descrive: l'arguzia di Oz, e la sua finezza analitica, innegabile ma discontinua, risultano insufficienti a reggere. Si va avanti per il credito letterario dell'autore, e in parte si è ripagati dall'entrata in scena di un "cattivo" che mette in subbuglio l'ordinaria piattezza della vicenda. Fin lì, la visione critica, ironica a tratti, dei principi fondativi, la fisiologica incongruenza degli ebrei di buona volontà, rischiava di far naufragare l'opera in un affresco di scontato realismo: il poeta Ruben che, abbandonato dalla moglie, infine cede a una relazione con una donna sposata; il marito di costei, Ezra, camionista, che sembra accettarne l'infedeltà finché non seduce (o è sedotto) dalla figlia sedicenne di Ruben, e addirittura la ingravida.
Lo scandalo, i risvolti di una vendetta che mina un intero sistema morale, rimanda di continuo alla moglie del poeta fuggita in Germania (cioè a casa degli assassini), e al destino ebraico inteso come sconfitta passiva, resa incondizionata, tanto alle "corna" quanto, a un livello antropologico e storico, alla ghettizzazione e all'Olocausto.
Il cattivo, Siegfried, fratello di Ezra, giunto anch'egli dalla Germania, introduce l'elemento della strategia, della manovra senza scrupoli (desidera la ragazza, col pretesto di ricondurla dalla madre); una riaffermazione della volontà che spesso coincide con la smania distruttiva, col gusto di corrompere una purezza idealizzata (a Mezudat Ram nemmeno i bambini sono puri).
Oz, in questo kibbutz, propone un mondo che tende al miglioramento, con incidenti di percorso, fallimenti, derive - ma che, in linea di massima, progredisce. La chiave è l'amore, in senso profano, un respiro sentimentale che prende fiato dal perdono, e dalla libertà che implica perdonare.
Il segno di questa scelta esprime, quindi, una certa fiducia nell'uomo; ma è ineluttabile che il risultato, una famiglia allargatissima, tradisca qualcosa a metà fra l'inverosimile e il consolatorio. La ragazza incinta si sposa col coetaneo Rami, innamorato fin dall'inizio; l'anziano Ezra si riavvicina alla moglie, la quale accoglie la giovanissima rivale in quanto figlia di Ruben (morto). Ogni personaggio, purgato da una sofferenza specifica (un lutto, una delusione) riconsidera le proprie convinzioni, le smussa pur di sopravvivere. Ma è una sopravvivenza che somiglia troppo all'accomodamento e ricalca i dettami di un lieto fine edificante.
Va da sé, in Israele c'è bisogno anzitutto di questo - oggi non meno di quarant'anni fa, quando il libro è stato pubblicato.

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Altrove, forse 2016-02-16 08:30:14 68
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68 Opinione inserita da 68    16 Febbraio, 2016
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Armonia narrativa e bellezza poetica

Una voce narrante, sconosciuta, esterna ma non estranea agli eventi, anzi profondamente radicata all' interno del kibbutz di Mezudat Ram, nel nord del paese, circondato da montagne aspre ed invalicabili, un' oasi nel deserto, un luogo di comunione, una roccaforte del socialismo ebraico, ci narra la storia di questa comunità', un insieme di religiosità', di tradizioni, di famiglie, di amori, di incontri, di morti, di interazione, di cultura, e di tanto altro.
Lo fa con sensibilità' estrema, con tocchi poetici, realismo magico e simbolismo d' insieme, oltre che con arte retorica ed affabulatoria, offrendoci un racconto i cui intrecci narrazione-personaggi-storia si incastrano e si fondono dando vita ad un' armoniosa presenza.
Stupisce l' eloquio sapiente dei protagonisti oltre che la ricchezza del loro mostrarsi e del vivere la quotidianità' di una socialità' che e' sia condivisione che somma di individualità', anche differenze, contrasti, ma sempre espressione di un tutto e prodotto di elementi unici, simbiotici ed osmotici, che ha permesso la costruzione, la conservazione e la perseveranza del kibbutz tra le difficolta' della storia.
Al suo interno, dove regna un' armonia di intenti, culturali, lavorativi, sociali, educativi, la figura spirituale di Rubén Harish, poeta, insegnante, abbandonato dalla moglie Eva, fuggita in Germania, li' risposatasi e rifattasi una vita, rimasto solo con i due figli, l' adolescente e ribelle Noga, cosi' simile alla madre, ed il piccolo Gai, si intreccia con quella di Ezra Berger, camionista appassionato della Bibbia che cita di continuo, a sua volta tradito dalla moglie Bronka con lo stesso Harish e lui stesso protagonista di una relazione con Noga dalla quale ava' un figlio. Le apparenti sicurezze della comunità', verranno messe a dura prova dall' arrivo di Zachariah, fratello di Ezra, sibillino, sfrontato, manipolatore, machiavellico, causa e motore di nuovi equilibri all' interno del kibbutz.
Un esaustivo sunto della storia è' problematico perché' assistiamo a continue rivelazioni, cambi di prospettiva, di personaggi e di piani narrativi, oltre che di voci narranti.
Credo che un punto di arrivo stia nel cogliere l' insieme del flusso narrativo, in quel profondo senso di relazione, di umanità', di comunità', in quello sviscerare la storia di un angolo di mondo così' intimo, particolare, unico, cosmopolita, terra di contrasti, di guerre, di contraddizioni.
Ma l' elemento caratterizzante e fortemente presente è' la profondità' emozionale e sentimentale oltre che spirituale dei personaggi, e dei loro tratti caratteriali, così' bene espressi oltre che i mirabili affreschi di un paesaggio e di un paese dai forti contrasti, tanto dolce quanto amaro, fertile ed arido, luminoso e buio, rigoglioso e desolatamente scarno, una lingua di terra accogliente, calda, protettiva, inabissata dal pericolo, dalla provvisorieta' e da un nemico silente ed enigmatico sempre in agguato.
I protagonisti e la propria terra scorrono paralleli e simbiotici nel fiume di una vita ricca di socialità' e pettegolezzi che ne alimentano la crescita ed il quotidiano.
Amos Oz e' unico nel plasmare una scrittura magica, mutevole, avvolgente, nel dosare perle di saggezza ( " non sono gli arabi il nostro nemico, ma è' l' odio. Cerchiamo tutti di non farci contagiare dall ' odio "..." ....Chi sa avere una vita interiore è' il vero ricco"..." ...quando una persona esprime giudizi sul prossimo, senza rendersene conto esprime se stessa..." "....solo chi è' intelligente e' in grado di cogliere l' intelligenza...") e creare una magica atmosfera d' insieme, tra personaggi, luoghi, tradizioni, simboli, cultura ebraica.
La difficolta', o, per contro la semplicità', sta nel leggere tra le pieghe del racconto il senso di compattezza e completezza che oltrepassa la narrazione e prevede un viaggio più' lungo e tortuoso.
È' per questo che ne consiglio vivamente la lettura, con un procedere lento, armonioso, centellinando e gustando ogni singola parola, rileggendo i passaggi più' significativi, soffermandosi ad ascoltare quelle voci, e quei silenzi, ad immaginare ed assaporare le bellezze descrittive di luoghi, gusti, suoni, luci e colori.
È' per questo che trovo riassuntivo ed esplicativo l' epilogo, oltre che di una bellezza disarmante, rivelandoci con pochi autentici tocchi il senso del racconto, la forza della poesia e della scrittura e la grandezza dell' autore: "....Sulla poltrona discosta cade un cerchio di luce. Nessuno ci è' seduto sopra. Non bisogna vedervi uomini e donne che appartengono a un altro luogo. No, si ha da ascoltare la pioggia che batte alle finestre. Guardare solo quelli che sono qui, in questa stanza calda. Guardare nitidamente. Essere lucidi. Assorbire le voci della grande famiglia. Prendere forza. Trattenere il respiro. Forse chiudere gli occhi. Chiamare quest' ultima scena con il nome di amore."
Buona lettura.

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