Narrativa straniera Romanzi Bambino bruciato
 

Bambino bruciato Bambino bruciato

Bambino bruciato

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Come gli altri protagonisti dei racconti o dei romanzi di Dagerman, anche quello di "Bambino bruciato" è un ragazzo, ventenne, Bengt, caparbiamente chiuso in un suo mondo 'in crescita', intransigente più verso gli altri che verso se stesso, per natura rivolto alla ricerca e all'affermazione di una purezza, che sente come base inequivocabile di ogni rapporto. Come negli altri racconti anche Bengt è figura speculare dello stesso Stig Dagerman, autobiografica per affinità caratteriali e per molti eventi della vita.



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Bambino bruciato 2016-10-18 08:44:18 JuliànCarax
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JuliànCarax Opinione inserita da JuliànCarax    18 Ottobre, 2016
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il mondo ha paura di chi piange

“Non è vero che un bambino che si è bruciato sta lontano dal fuoco. E’ attirato dal fuoco come una falena dalla luce. Sa che se si avvicinerà si brucerà di nuovo. E ciononostante si avvicina”.

Il ventenne Bengt è il “bambino bruciato” attorno al quale ruota tutto il romanzo scritto da un Dagerman appena venticinquenne. Il funerale della madre (evento che apre il romanzo) sarà la prima goccia di nero veleno che introdurrà, nell'anima del protagonista, il germe di una sofferenza lenta e implacabile, l'innesco di un meccanismo autodistruttivo e un perpetuo interrogarsi sul significato della vita e dei rapporti che lo circondano.

“Soltanto adesso capisce. Ed è duro da capire. Avanzare di un passo e poi piangere. Ancora un passo, per sapere che questa è la fine. Un fazzoletto premuto sugli occhi e poi la certezza che le proroghe sono finite. Non più annunci mortuari da formulare. Non più inviti da scrivere. Nessuna poesia da pensare nelle notti insonni. Nessuna consolazione e nessun rifugio e nessuna fine e nessun principio. Rimane soltanto una certezza, vuota come una tomba, che laggiù giace sua madre, ed è morta, irrimediabilmente perduta, irraggiungibile dalle preghiere e dai pensieri, dai fiori, dalle poesie, dalle lacrime e dalle parole. E, con il fazzoletto premuto prima su un occhio e poi sull’altro, piange per il vuoto che ha dentro, piange senza poter smettere, perché il vuoto ha più lacrime di qualsiasi altra cosa”

Intorno a lui una serie di legami trascurati e miseri: un padre distante che cerca di rifarsi una vita con un'altra donna, una fidanzata timida e piagnucolosa e una matrigna prima odiata poi diventata amante segreta.
Bengt è un ricercatore ossessivo di purezza, mai in pace con se stesso e con gli altri. La stessa ricerca di purezza che obbligherà il protagonista (che puro non è) a prendere come cattivo esempio i rapporti che lo circondano (il tradimento del padre, la freddezza della fidanzata, il rapporto con la matrigna). Come può non esistere nessuno disposto a dare uno sguardo dentro la sua solitudine? Come è possibile che nessuno condivida il suo dolore ? Come è possibile vivere in maniera cosi impura dopo la morte di qualcuno che amavi? Un grido silenzioso al mondo intero. Queste sono le domande che tormentano il giovane ragazzo dando vita a un'alternanza di amore-odio nei confronti degli altri personaggi.

"I genitori vivono una vita più impura di quella dei loro figli, perchè si perdonano tutto. Arrivare a perdonare tutto a se stessi e praticamente niente ai propri figli è il grande vantaggio che "l'esperienza" concede agli uomini.[...] Perchè che cos'è l'educazione, se non il tentativo di genitori irritati di soffocare nei figli quello che riconoscono in se stessi? Se non sono irritati, si atteggiano a superiori, superiori perchè con ipocrita fierezza si fanno vanto della loro grande esperienza della vita, come se ci fosse davvero qualche motivo di rispetto e di ammirazione nell'aver distrutto la parte migliore di se stessi."

Un bambino bruciato come lo era Dagerman stesso, attratto da una fiamma pericolosa, da quel filo sottile che lega la vita alla morte. Il protagonista metterà in scena una serie di atteggiamenti distruttivi prima e autodistruttivi poi, camuffati,in realtà, da richieste disperate d'aiuto e attenzione. Bengt finirà ustionato dalla sua stessa sensibilità, dalla sua stessa ricerca, sarà costretto a guardare quella fiamma troppo da vicino e bruciarsi per trovare un attimo di pace dentro una realtà in cui non riesce a vivere.
Dagerman scrive in periodi brevissimi, dialoghi quasi inesistenti con una narrazione lenta a tratti irritante. Alterna capitoli descritti in terza persona con le lettere che il giovane protagonista scrive a sé stesso dando sfogo ai suoi dissidi interiori.
Il romanzo brancola nel grigiore diffuso dei cieli del nord, della neve e dei paesaggi , impressionanti le descrizioni dei silenzi. Lo paragonerei al vento gelido che sbatte su una ferita aperta. La lettura è risultata pesante e a tratti opprimente . Ho avuto la sensazione di leggere alcuni capitoli in apnea. All'interno si possono trovare le idee dell'autore e quell'angoscia che spiega il suicidio dello scrittore stesso sei anni dopo dopo la pubblicazione di questo romanzo. Opera rabbiosa e straziante che trasuda amore per la vita e odio per l'ingiustizia del mondo.


""Un attimo fa abbiamo visto il deserto della nostra vita in tutta la sua spaventosa estensione. Adesso vediamo il deserto fiorire. Le oasi non sono frequenti ma ci sono. Sappiamo che il deserto è grande, ma sappiamo anche che è nei deserti più grandi che ci sono più oasi. Per arrivare a saperlo dobbiamo pagarlo caro. Il prezzo dell'eruzione del vulcano. E' caro, ma non c'è niente più a buon mercato. Per questo dobbiamo benedire i vulcani, ringraziarli della loro luce e del loro fuoco. Dobbiamo ringraziarli di averci accecato, perché solo chi è stato accecato può vedere davvero. Dobbiamo ringraziarli di averci bruciato, perché solo i bambini bruciati possono scaldare gli altri".

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