E le altre sere verrai?
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Atmosfera hopperiana...
Che atmosfera!
Leggi questo piccolo libro e sei davvero lì, nel quadro di Hopper che è raffigurato in copertina ("I Nottambuli"), seduto al bancone di un bar di Cape Cod, ad osservare ed ascoltare tutto quello che succede intorno a te, a respirare quel tempo sospeso, quella statica attesa che ti immobilizza...
La donna col vestito rosso e il suo martini, i gesti ripetuti e abitudinari di Ben, il barman discreto che sa ascoltare anche i silenzi mentre lucida il suo bancone, il pescatore con la sua birra giornaliera...sono tutti veri, vividi, ti respirano accanto.
Si conoscono bene, quella conoscenza generata dal vedersi quotidianamente, dal riconoscere le espressioni del viso, i messaggi muti del corpo...
Ben studia ogni piccolo gesto degli avventori del bar "Phillies", vuole bene a Louise, la donna che da nove anni consuma ogni giorno, davanti a lui, i suoi martini bianchi e i suoi amori infelici.
Non parla, non giudica...si limita a svolgere il suo lavoro e ad offrire, su richiesta, qualche sguardo eloquente, rassicurante, consolatorio.
Ma quella sera di fine estate, mentre tutto è immobile come sempre, il suono della porta del bar annuncia l'arrivo di un uomo, una vecchia conoscenza, che scombussolerà gli equilibri...ed il quadro inizierà a prendere vita sul serio.
Besson ha pennellato una storia intorno ad un'immagine, ha dipinto i personaggi donando loro colore e profondità, scavando nei loro pensieri.
È una storia che si svolge prevalentemente all'interno di loro stessi, si nutre delle loro emozioni, è fatta di piccoli gesti, di poche frasi significative che celano tutto un non-detto interiore che comunque arriva al lettore, affascinandolo.
Un libro suggestivo ed elegante, un ponte tra pittura e letteratura.
Forse col passare dei giorni potrò anche dimenticarne la storia, ma non l'atmosfera in cui mi ha avvolto.
Per me, una piccola magia.
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E le altre sere verrai? di Philippe Besson
Un’altra volta un quadro ha ispirato la scrittura di un romanzo. Stavolta è il dipinto “Nightawks” di Edward Hopper, che l’autore di questo romanzo ama particolarmente (non si può dire che io e lui in fatto di quadri, abbiamo gli stessi gusti).
L’azione in questo romanzo è ridotta al minimo, come per riprodurre l’immobilità del dipinto a cui si rifà. Quello che prevale (e questo mi piace, molto) sono le emozioni dei protagonisti: i ricordi, i rancori e i rimpianti che ribaltano i loro equilibri interiori e le loro vite.
E’ un romanzo particolare, perché non ci si trova la passione immediata che sconvolge subito, come invece succede per altri autori e altri libri. Qui ritroviamo parole e pensieri che vanno a scavare dentro di noi, per graffiarci lentamente, andando in profondità e lasciarci un segno.
I protagonisti del romanzo sono le frasi non dette, i pensieri dei protagonisti, i loro silenzi e i loro sentimenti. E’ un romanzo profondo, sottile e a mio avviso molto elegante.
Mi piace Louise, la protagonista, che purtroppo non è mai stata la prima scelta dei due uomini più importanti della sua vita (Stephen l’ha lasciata per una donna più seria e precisa, che corrispondeva ai canoni del suo status, Norman la lascia perché le preferisce la moglie), però è una donna forte, indipendente, spontanea e sincera, che sa tenere testa alle situazioni.
Non mi piacciono per nulla i due amanti della stessa, li ritengo vili e inadatti a una donna libera e “pura” come Louise. Dopotutto, è quasi impossibile trovare un uomo talmente intelligente e sicuro di sé, da accettare una donna così.
Le frasi o le espressioni che mi sono piaciute:
“…sedute su due sgabelli, appoggiate al bancone splendente, le due fiere che si fronteggiano, come preparandosi a un attacco o a un abbraccio….ritrovano la loro intimità passata, quel modo di chinarsi l’uno verso l’altra che è tanto un abbandono quanto una diffidenza, tanto una resa quanto una rivendicazione di libertà”;
“Quanto a Louise lei non ha preteso niente: ha deciso, un giorno di cinque anni prima, di non pretendere più niente dagli uomini”;
“Lei confida nell’intelligenza più che nell’affettuosità. E’ indubbiamente un tragico errore in materia amorosa. Un errore da debuttante”;
“Louise ha ricevuto la notizia della loro separazione in pieno petto, e in piedi. E’ stata spazzata via in un secondo. Ne è uscita devastata. Aveva semplicemente dimenticato di proteggersi. Come i grandi invalidi, non ritroverà mai completamente l’uso di se stessa”;
“Louise ha bisogno di sapere che è stata lasciata. Che, ancora una volta, non è lei la prescelta”;
“I loro sguardi si incrociano appena un secondo ma, in quel secondo, ci sono i cinque anni vissuti in comune…c’è tutto ciò che hanno condiviso e tutto ciò che li ha allontanati”;
“Il desiderio è palpabile. La violenza che percepiscono, che li scuote entrambi, è fisica. Tornano alle origini”.
Carino, da leggere!
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Nighthawks at the diner
“Benjamin, sarebbe così gentile da servirmi un Southern Comfort, per favore?”
“Naturalmente, subito”
“Noto che non hai cambiato abitudini e sei rimasta fedele al Martini bianco”
“Si, sempre: vado matta per la forma del bicchiere in cui si serve il Martini, lo sai”
Un uomo e una donna in un bar, seduti accanto, forse amanti, o solo amici. Aspettano qualcuno, oppure sono da soli, perchè si sono dati appuntamento per lasciarsi. Invece no, si sono appena rivisti per caso al Phillies, bar molto fuori mano, in un malinconico pomeriggio di settembre.
Cogliere l’attimo è dei grandi artisti, materia esclusiva dei maestri. Un disegno, un’immagine, è la sintesi perfetta del momento che libera negli animi sensibili le emozioni, Edward Hopper ci è sicuramente riuscito con Nighthawks, superlativo olio su tela, uno dei quadri più famosi della pittura contemporanea americana.
Philip Besson invece è lo scrittore rapito dall’estasi pittorica che traendo ispirazione dal quadro immagina che la donna vestita di rosso sia Louise mentre aspetta Norman, bevendo il suo solito Martini.
Norman, l’uomo che Louise ama, sta lasciando la moglie e tra poco la raggiungerà. Norman però tarda ad arrivare e Louise aspetta paziente scambiando qualche parola con Benjamin il barman che la conosce da tanto tempo, che non ha bisogno più di osservarla per coglierne gli stati d’animo, basta una sfumatura nel suo viso per avvertire il quasi impercettibile nervosismo, la porta d’ingresso del bar sta per aprirsi.
La vita ti coglie di sorpresa quando meno te l’aspetti, ti porta in avanti per poi ricacciarti indietro, strade che si dividono, vie senza ritorno, quante volte abbiamo avuto una seconda possibilità? E quante volte l’abbiamo colta?
Fermiamoci qui con la storia, continuate a leggerla voi se volete saperne di più, con l’augurio che siate trasportati dallo stesso impetuoso flusso di emozioni che Philip Besson, sensibile e raffinato scrittore, ha saputo suscitare in me, con questo libro costruito con pochi e brevi dialoghi, pennellate secche e taglienti su una tela rigorosamente bianca.
O forse ho un inguaribile debole per le storie d’amore, e tutto quello che ho scritto qui sopra quando sono protagonisti i sentimenti finisce per valere sempre e comunque.
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Un quadro e un romanzo.
La trama.
Chatham, Cape Cod, cento chilometri da Boston, Massachusset. E’ una domenica sera di settembre. La stagione turistica è trascorsa e il “Phillies” è deserto.
“Phillies” è un bar con vista sull’oceano, piuttosto decentrato rispetto ai luoghi più elitari della zona. Ha preso il suo nome da quello dell’ormai anziana proprietaria e lo gestisce, di fatto, Ben, il barman.
La domenica sera, il “Phillies” può contare, comunque, su un cliente fisso. Louise ha 35 anni, un passato fallimentare di attrice e un presente di successo come scrittrice di opere teatrali. Ben e Louise si conoscono da nove anni: lo stesso giorno in cui lui prese servizio nel locale, lei vi mise piede per la prima volta. Da allora, il barman è diventato riservato testimone degli amori della ragazza e appassionato fan delle sue opere teatrali.
Questa domenica sera, Louise ha indossato il vestito rosso che più ama e che, come Ben sa, sceglie solo per particolari circostanze. E la circostanza è davvero speciale: Louise ha appuntamento con Norman, il suo amante, che le comunicherà, finalmente, di aver lasciato moglie e figli per vivere con lei.
Norman è sempre molto impegnato ed è un ritardatario cronico; tarda anche a questo appuntamento ma è consuetudine e non desta allarmi. Mentre Ben serve a Louise il consueto Martini, però, ecco fare il suo ingresso nel bar un cliente tanto noto quanto inatteso. Stephen Townsend è stato fidanzato di Louise per cinque anni, prima di tradirla con la sua migliore amica. I due si sono, quindi, lasciati; Stephen si è sposato e ha avuto due figli; Louise e Stephen non si sono mai più incontrati; sono passati, da allora, quattro anni.
Lui non è capitato, quella sera e in quel bar, per caso. Il suo matrimonio è fallito e spera di far resuscitare il rapporto con la sua ex.
L’apparizione di Stephen crea in Louise imbarazzo e nervosismo. Troppe ferite non rimarginate, troppo dolore perché l’incontro non risulti traumatizzante. Poche frasi; tanti ricordi.
Squilla il telefono di Louise. Norman ha parlato con la moglie; ci sono state scenate; questa sera non potrà venire all’appuntamento. “E le altre sere verrai?”.
(Con la trama, per ovvi motivi, finisco qui).
Qualche osservazione.
Come evidenziato dalla casa editrice, e rappresentato nella copertina del libro, Philippe Besson ha tratto ispirazione per questo suo racconto da un noto quadro di Edward Hooper, “The nighthawks”.
Il quadro è molto bello. Poiché, però, qui in commento c’è il racconto di Besson e non il quadro, devo dire che dal racconto non sono rimasto affascinato.
La storia, che si svolge interamente tra le quattro mura del bar e nell’arco temporale di poche ore, sembrerebbe ideale per una sceneggiatura teatrale. In realtà non si adatterebbe minimamente ad essa per il semplice motivo che nelle 158 pagine di testo sono presenti si e no una trentina di frasi virgolettate, tutto il romanzo essendo impostato sui ricordi e sulle sensazioni (inespresse) dei suoi tre protagonisti, Louise, Stephen e Ben. E le poche frasi presenti nel testo, quand’anche assumano la forma della domanda e della risposta, sono inframezzate da tante pagine che bisogna tornare indietro per ricordarsi l’oggetto di esse.
L’atmosfera è certo calda e, diciamolo, sofisticata. I due, poi, sono entrambi giovani, belli e affermati. Ma le loro elucubrazioni, “che dovrebbero far pensare”, sono talvolta discutibili, talaltra contraddittorie. Louise, p. 62, “E’ in questo che, talora, gli uomini sono più forti delle donne. Quando decidono di giocare con il loro desiderio, quando vengono colti dall’idea di costringerle ad accettarlo, quel desiderio, non c’è nessuno che sia bravo quanto loro. E’ una forza ineguagliabile degli uomini in simili casi”. Bah! Vogliamo parlarne?
E il rapporto extraconiugale, rispetto al quale l’autore non ha certo ecceduto in originalità? Sono storie sulle quali ognuno è libero di pensarla come crede, cercando di conservare, però, un minimo di coerenza. Che ne è della coerenza di Louise che dopo aver condannato come del tutto imperdonabile il peccato di “menzogna” (da parte di Stephen), non si pone minimamente il problema con riferimento al proprio rapporto con Carter, e tanto meno alle sue conseguenze. P. 90: ”Louise non crede minimamente al bel quadro prospettato da Norman: sa che ci saranno urla, ribellioni, implorazioni, grida, silenzi di rimprovero, occhiate di volta in volta cupe o seducenti, preghiere, bestemmie…”.
Però lei è al bar ad attendere la lieta novella.
Ma senza ulteriori interventi sul merito della storia, vorrei esprimere una personalissima opinione sullo stile narrativo di Besson. Io l’ho trovato di una lentezza tremenda, in certi momenti insopportabile. Le continue digressioni mentali dei personaggi, che si sovrappongono pagina dopo pagina, tolgono continuità al racconto e danno la sensazione di ricercati obiettivi cerebrali che, sinceramente, non ho rinvenuto.
E’ uno stile che può piacere o non piacere e non sto certo scoprendo, con la lettura di questo romanzo, che in sede letteraria, come in qualsiasi altra, l’oggettivo non esiste.
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- sì
- no
E le altre sere verrai?
“Dunque, da principio sorride.
È un sorriso discreto, quasi impercettibile, di quelli che talora si formano sul viso senza che lo si decida, che appaiono senza che lo si voglia, e non sembrano legati a niente di particolare, e non è detto che si possano spiegare.
Ecco: è un sorriso da niente, che potrebbe essere spia della felicità.”
Sorride Louise.Appoggiata al bancone del bar,fasciata nel suo vestito rosso preferito,quello con cui si sente bella.Ancora.
E’fedele Louise.Persino alle abitudini:ogni sera sorseggia rigorosamente Martini bianco.
La coppa da cocktail tra le dita,i pensieri che vagano nel passato e nel presente.
Qualche volta,solo qualche volta,con ansia nel futuro.
Attende Louise.Volge lo sguardo verso la porta,fingendo normalità.
Ma è il suo amante a dover arrivare,Norman.Stasera lascerà la moglie.Per lei,solo per lei.
E la porta tutto a un tratto si apre…
Ora dovreste fare un piccolo sforzo per me.
Osservate la copertina.E'un quadro di Edward Hopper, Nighthawks.Molti di voi l'avranno sicuramente già visto altrove.E’da qui che Besson prende ispirazione per creare questo incredibile racconto.
Un bar,quattro persone,una storia di rara bellezza.
Ammetto di essere stata colpita da questo libro come raramente mi accade,è stato amore dalla prima all’ultima parola.Perchè Besson ha l’incredibile capacità di raccontare il vero con una attenzione poetica alle sfumature.Ti narra la realtà cospargendola di miele.Amore,tradimento,ripensamento,paura,solitudine,gioia,attesa…tutto è rivestito da un velo di dolcezza malinconica.
Ti porta altrove Besson.
Ti porta dove un grande scrittore dovrebbe condurti ogni volta che scegli di viaggiare con lui.
«Devo dedurre che non verrai, stasera, da Phillies?»
«No.»
«E le altre sere verrai?»