Il buio fuori Il buio fuori

Il buio fuori

Letteratura straniera

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In una capanna al limitare del bosco, la giovane Rinthy dà alla luce un bambino. Il padre del bimbo e fratello di Rinthy, si libera del neonato abbandonandolo in riva al fiume. Certa che il figlio sia vivo, la donna parte alla sua ricerca per le strade di una terra desolata. Il padre, a sua volta, rincorre la sorella per le stesse strade, mosso da un'uguale certezza di ritrovarla. Al loro girovagare si intreccia quello di una malvagia «trinità» che sfiora via via le misere esistenze di una serie di personaggi tingendole di sangue. E quando i protagonisti si incontreranno, l'epilogo avrà tratti d'inimmaginabile crudeltà. Alle imprese scellerate degli uomini fa da contrappunto la leggiadra perfezione della natura, come se a crearla fosse stata una divinità diversa da quella che sovrintende alle cose degli uomini.



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Il buio fuori 2018-05-08 06:24:33 68
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68 Opinione inserita da 68    08 Mag, 2018
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Cupa onnipresenza

“ …Il bambino urlava la sua maledizione al mondo tenebroso e maleodorante in cui era nato…”


In un paesaggio nudo e spettrale, illividito da disperanti e silenziose presenze indirizzate verso l’ ignoto, ombre che si inseguono vicendevolmente, una giovane donna alla ricerca di un figlio sottrattole nell’ istante in cui è venuto al mondo, il fratello di lei ( responsabile della sparizione ) incamminatosi per ritrovarla e poi tre uomini a chiudere un inimmaginabile cerchio di solitudine e follia.
Seguiamo il duro cammino di questo viaggiatore diretto a sud lungo una strada solitaria con la propria ombra che si agita obliqua e malefica a rompere l’ immobilità della scena mentre la donna ha la faccia consumata dal tempo ed è alla ricerca di qualcuno, qualcuno e basta.
Due figure figlie di una colpa condivisa unite dal cerchio di una vita improvvisamente spezzata, costrette ad un viaggio sfiancante nella consustanziale immobilità di un silenzioso ed azzurro mondo dei morti.
Nutrita dalla propria perfetta noncuranza la crudeltà degli uomini rende i tempi duri e la loro cattiveria ci fa domandare perché Dio non abbia ancora spento il sole e se ne sia andato.
Un microcosmo impregnato di vite tenebrose senza ordine, gerarchia e segno di appartenenza al creato, in cui tutto è appeso in una immobilità abbagliante, dal sole che sembra essersi fermato alla notte buia e stellata.
Voci, ombre, volti, prede, predatori, fiere, colori indefiniti in una alternanza di luce e buio, dialoghi forti, spettrali, sordi, tremendamente fisici, un’ aria tesa ed allucinante per un inferno intriso di presenze e nullità che assurdamente tracima il sapore e l’ odore di una umanità sfiancata e debordante.
Una parabola apocalittica di una quotidianità incastonata nella violenza di gesti e parole e nella fissità di attimi prolungati ed azioni ripetute, vite legate da sangue e necessità, spietatamente spezzate da un destino che pare già scritto e selvaggiamente indirizzato dagli uomini e dalla loro deprecabile follia.
Alla fine vittime e carnefici, vincitori e vinti, si fondono in una unità indistinta esposta e fotografata da un obiettivo che ne fissa i singoli attimi, limitandosi ad una ferma e rabbiosa rappresentazione del reale.
Questo l’ universo di McCarthy, duro, spietato, allucinogeno, che ci lascia a bocca spalancata e con il fiato corto, un violento pugno stordente senza alcuna possibilità di replica, tutto accade all’ improvviso per essere spazzato via dal soffio di una atroce normalità ed indifferenza, da parte nostra niente altro che ascolto, cupa riflessione ( sull’ umana specie ) e silenzio.

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Il buio fuori 2016-08-17 10:54:57 Vincenzo1972
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    17 Agosto, 2016
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E' la gente dura che rende i tempi duri

Culla e Rinthy Holme, rispettivamente fratello e sorella, vivono soli in una baracca putrida e fatiscente circondata da boschi e paludi, una zona acquitrinosa pregna di umidità, avvolta da una perenne foschia in cui i raggi del sole si disperdono cedendo tutto il loro calore, già abbondantemente filtrato dagli alberi secolari della foresta.
Non c'è vita intorno a loro, se non quella animale, selvaggia; sembrano naufraghi su un'isola sperduta, nessuna traccia dei loro genitori, l'unica orma umana è quella del calderaio che sporadicamente attraversa quel territorio trainando il suo carretto stracolmo di cianfrusaglie di ogni genere. E poi c'è quel bimbo che Rinthy è in procinto di partorire.
Un bimbo che rimarrà senza nome perché questo è il suo destino, quello di non esistere, frutto di un errore, di un rapporto sbagliato, contro natura, tra un fratello ed una sorella.
Non c'è futuro, non c'è speranza, non c'è luce là fuori per quel bambino, ha varcato una porta che per lui doveva rimanere chiusa, spinto in un mondo che non può essere il suo; ma è inutile opporsi, inutile sperare di sopraffare l'ineluttabilità della sorte.
Quando Culla, padre sbagliato, riporterà il bambino al suo giusto padre, la natura, abbandonandolo appena nato nel mezzo della palude sperando che da essa sia risucchiato, quando il calderaio passando lì per caso lo sottrarrà ancora una volta al suo destino affidandolo ad una balia, quando Rinthy animata dal legame di sangue e dalla certezza che il figlio sia ancora vivo deciderà di fuggire dal fratello e partire alla ricerca del bambino, inizierà un viaggio che metaforicamente rappresenta un tentativo di riscatto, di ribellione, il desiderio di ritrovare la luce, la propria luce, nell'oscurità dilagante.
Un viaggio attraverso terre senza tempo, hanno un nome che le localizza nel Wyoming ma potrebbero essere ovunque, terre impervie, desolate, dominate dalla natura ed abitate da uomini e donne che sembrano privi di anima, di sentimenti, vuoti dentro, aridi e polverosi come la terra che li circonda, quasi disumani nella loro abulia.
Abbandonate ogni speranza voi che leggete: il viaggio nell'inferno di McCarthy è una discesa senza freni nel baratro più profondo, senza possibilità di risalita; non c'è purgatorio né paradiso, ma ci sono le tre fiere, tre belve feroci, tre uomini che seminano morte ovunque passino, senza pietà, perché non c'è pietà in questo mondo e non c'è un Dio interessato alla sorte degli uomini.
Il mondo di McCarthy è avvolto in una cortina di pessimismo e di implacabilità, la descrizione del paesaggio ne è intrisa ed abbonda di similitudini cupe e sempre più angoscianti:
"La strada proseguiva insinuandosi nel folto della foresta e in un'umidità perenne, e la casa era coperta da una spessa coltre vellutata di muschio e lichene ed avvolta da un palpabile miasma di decomposizione. I polli avevano grattato via la terra dal cortile, al punto che nodosità e sporgenze delle radici degli alberi spuntavano ovunque dal suolo in grottesche configurazioni, simili ad una congrega di folli improvvisamente denudati in tutti i loro contorti atteggiamenti di dolore."
Il finale è inevitabile, come inevitabile sarà la fine del mondo, vana è la lotta contro l'oscurità di chi cerca di procurarsi da solo la propria luce, di costruirsi un proprio destino: tutto prima o poi viene riavvolto nel buio, là fuori:

"Perché non pregate per riavere i vostri occhi?
Credo che sarebbe un peccato. Quei poveri occhi possono solo farvi vedere ciò che accadrebbe comunque. Se un cieco avesse bisogno degli occhi, avrebbe gli occhi.
Eppure sono convinto che vi piacerebbe vedere dove state andando.
Che bisogno ha un uomo di vedere dove sta andando, se verrà comunque mandato là ?"

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Il buio fuori 2016-07-16 12:24:37 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    16 Luglio, 2016
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Il buio che abbiamo dentro



Il mio primo McCarthy...che botta!
Culla e Rinthy sono due personaggi difficili da dimenticare, due anime scure che vivono in un tempo e in un luogo non bene identificato, dimenticato da Dio e caratterizzato da una grande desolazione, dalla mancanza di speranza, di luce, di colori...solo natura, ma quella natura ostile, lugubre, che ti inghiotte nel suo nero più feroce.
Desolati sono i paesaggi, ma anche gli animi e il cuore di chi li popola...
Il buio fuori è, in realtà, una finestra sul buio che abbiamo dentro, spalanca le porte sull'abisso del male, del malvagio, del marcio.
Troviamo il male puro, figure tra il divino e il satanico in forma trina che danno un assaggio della fine del mondo, scenari apocalittici e violenza senza pari, ma troviamo anche lei, Rinthy, l'anima in pena in cerca della sua luce, quella che le viene sottratta prima ancora che potesse illuminarla, che potesse darle un nome.
Lei incontrerà sempre gentilezza e cortesia sul suo cammino...ma il buio non si rischiarerà...
Lui, Culla, sembra invece perseguitato da continue accuse e diffidenza, come a dover scontare il male perpetrato, a dover pagare per i suoi peccati.
McCarthy scrive molto bene, la sua scrittura è potente, crudele, fotografica, ma fa male...turba.
Ho trovato le stesse atmosfere "senza speranza" e angoscianti della Kristof, che io amo.
Ora ho bisogno di luce...

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Il buio fuori 2015-02-15 12:35:42 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    15 Febbraio, 2015
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Il buio fuori e dentro

Inutile che mi soffermi sulla bellezza dello stile di questo autore, dico solo questo: dategli il Nobel prima che sia troppo tardi, di autori che scrivono come lui davvero non ce ne sono.
Il mondo descritto da Cormac McCarthy è quasi sempre apocalittico anche in assenza di una reale fine del mondo, un degrado che è quasi sempre dettato dagli uomini e non da forze da esso indipendenti, siano esse forze della natura o forze estranee al terrestre. Siamo il maggior pericolo per noi stessi e la principale causa della nostra caduta, e bisogna avere la forza e lo stomaco per affrontare la realtà che lo scrittore in questione ci pone dinanzi.

Un bimbo venuto al mondo da un rapporto incestuoso, sbucato nel bel mezzo dell’oscurità e abbandonato a sé stesso fin dai primi istanti di vita, dall’uomo che lo rigetta seppur lo ha messo al mondo, ma che in fondo non sta facendo altro che rigettare la sua stessa vita e il mondo del quale calca inutilmente il suolo. Un mondo che sembra fare altrettanto con sé stesso e popolato da uomini che lo prendono ad esempio, ma che comunque si aggrappano alla propria tenebrosa vita. L’oscurità dilaga anche quando quella stella guardiana si innalza sulla volta celeste, così maestosa eppure incapace di scacciare quelle tenebre indistruttibili. Eppure non c’è al mondo soltanto il buio. La madre di quel bambino perduto illumina, come la fievole luce di una lanterna sporca, quel buio dilagante nel quale si addentra senza paura, spinta dall’amore per quel figlio che, in fondo, è la fonte di quella luce che porta e che la sosterrà nella sua ricerca probabilmente per sempre. L’amore è l’unica luce in questo oscuro mondo e chi lo rigetta da sé, non può far altro che adattarsi diventando esso stesso tenebra e male, o rassegnarsi a brancolare nel buio imperscrutabile.
“Che bisogno ha un uomo di vedere dove sta andando, se verrà comunque mandato là?”. Se siamo senza amore non importa se siamo ciechi o meno, il nostro viaggio sarà una strada tenebrosa verso la medesima destinazione, la mortifera palude della fine dei giorni.

“Ho dato quarant'anni legato come un mulo alle stanghe di un carro, fino a non poter più stare dritto abbastanza da essere impiccato. Non ho un'anima al mondo tranne una vecchia sorella semidemente che nessuno ha mai voluto, proprio come nessuno ha mai voluto me. Da un capo all'altro di questo stato mi hanno preso a sassate, sparato, frustato, mi hanno preso a calci e i cani mi hanno morso, e questo non me lo puoi ripagare. Tu non hai niente con cui ripagarmelo. Sono debiti di sangue, e non c'è niente in questo mondo che li possa cancellare."

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Cormac McCarthy, in particolare "La Strada".
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Il buio fuori 2014-11-03 10:36:50 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    03 Novembre, 2014
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Il buio ovunque

Una misera capanna tra le sterpaglie del bosco, un pagliericcio lercio e una giovane donna dal volto scavato ed i grandi occhi imploranti. -Chiamala, chiama la mammana, e' il momento sento tanto male.
Il fratello la guarda, le porge dell'acqua e imprecando tra sè rispose conciso - No, zitta. Parlerebbe. - 
Lei si contorce tra atroci spasmi di morte, eppure sono dolori di vita. Sono il pianto del suo bambino che viene al mondo urlando, lei ce l'ha fatta, il suo piccolo e' un maschio.
Sviene di stanchezza , l'uomo avvolge il neonato e attraversa la porticciola scardinata. Cammina sullo sterrato, supera il torrente, giunge ad un pioppeto ammantato di muschio e lo abbandona in terra, mentre dalle piccole gengive rosse urla il pianto disperato di un destino maledetto.
- Culla ? Chiese lei. Dove e' il mio bambino ? 
- E' morto, rispose lui.

Si aggrappa al fiato in una torsione gramigna il romanzo di proiezione apocalittica, benche' privo di guerre o mondi sterminati. L'apocalisse e' nell'oscurita' citata nel titolo, un buio dell'umanita' dove ogni personaggio e' tremendo, cencioso, impietoso, stracciato in una poverta' priva di dignita' e pieta'. Ogni uomo e' pericolo, violenza, privazione, peste.
Una pallida e gracile creatura avvolta di miseria muove esili passi decisi con un unico tenace intento : ritrovare il suo bimbo generato dall'incesto, eppure così innocente ed indifeso da strapparla alla morte fino all'ultimo istante, pur di ritrovarlo.
Rinthy Holme fasciata da un lercio sudario, tremante e nobile nella sua disperata agonia di madre, vaga tra cenere e polvere alla ricerca della pace, in vita o in morte, per se stessa e per suo figlio.
Scritto con una penna di palpabile bellezza, metafore e parole si fondono in un ballo sublime dai contorni tetri e assassini. E' una celebrazione della forma in contrasto alla decadenza del contenuto, dove ad ogni riga l'autore mozza il fiato tra fremito ed inquietudine, in un abisso notturno dove il lettore annaspa ansioso alla ricerca di un barlume di speranza. Se poi speranza non ci sara', l'averla implorata con tanta assiduita' rende grazia a una briciola di chiaro, laddove la tenebra e' impenetrabile. Buona lettura.

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