Narrativa straniera Romanzi Il libro del riso e dell'oblio
 

Il libro del riso e dell'oblio Il libro del riso e dell'oblio

Il libro del riso e dell'oblio

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Di questo libro Kundera ha scritto: «Nel Libro del riso e dell’oblio, la coerenza dell’insieme è data unicamente dall’unicità di alcuni temi (e motivi), con le loro variazioni. È un romanzo, questo? Io credo di sì». E lo stesso vale per i numerosissimi lettori che questo libro ha avuto dal 1979 a oggi e che vi hanno riconosciuto una delle più audaci imprese letterarie del nostro tempo: un «romanzo in forma di variazioni». Cambiano totalmente i personaggi e le situazioni, in ciascuna delle sette parti in cui (come d’obbligo in Kundera) il libro si divide. Ciascuna è autosufficiente – e tutte si susseguono «come le diverse tappe di un viaggio che ci conduce all’interno di un tema, all’interno di un pensiero, all’interno di una sola e unica situazione la cui comprensione, per me, si perde nell’immensità». Su tutto, un gesto si mostra con peculiare insistenza: il tentativo di sottrarsi alla cancellazione di ciò che è avvenuto. Come dice un personaggio del romanzo: «la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio».



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Il libro del riso e dell'oblio 2018-08-01 17:50:04 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    01 Agosto, 2018
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L'essere umano

“L’assassinio di Allende ha rapidamente cancellato il ricordo dell’invasione russa in Boemia, il sanguinoso massacro nel Bangladesh ha fatto dimenticare Allende, la guerra nel deserto del Sinai ha soffocato il pianto del Bangladesh, il massacro in Cambogia ha fatto dimenticare il Sinai, e così via e così via, fino al più completo oblio di tutto da parte di tutti.”

Un libro scritto benissimo, e difficilissimo da recensire.
Già dire che si tratta di una raccolta di sette racconti è un’affermazione opinabile: l’autore sostiene, al contrario, che “Il libro del riso e dell’oblio” sia un “romanzo in forma di variazioni”.
Potrebbero esser vere (o false) entrambe le cose: se si guarda alle storie narrate, si è di fronte a racconti indipendenti l’uno dall’altro (nonostante qualche personaggio ritorni in più storie); se si guarda ai temi affrontati, allora è difficile negare di essere in presenza di un filo comune che attraversa le singole vicende (e non è un caso se quattro di esse – a due a due – hanno lo stesso titolo).
Meglio partire dal dato storico-biografico: ricordare che proprio per “Il libro del riso e dell’oblio” (che precede di qualche anno “L’insostenibile leggerezza dell’essere”), Milan Kundera ha subito la perdita della cittadinanza cecoslovacca ed è stato costretto a riparare in Francia, dove tuttora vive e nelle cui università ha insegnato.
Non è un caso, allora, che il sottofondo dell’intero volume sia la condizione di un paese e di un popolo occupato (dieci anni prima, i carri armati russi avevano invaso la Boemia, bloccandone ogni “tentazione” anticomunista), le conseguenze politiche, la contrapposizione tra oppositori e collaborazionisti, la condizione dell’esule e, in definitiva, lo scontro con un potere che maggiormente afferma di lavorare per gli uomini quanto più opera contro di essi.

Cosa è allora il riso, per Kundera? E cosa l’oblio?
Quest’ultimo è senz’altro il contraltare della memoria, ciò verso cui il potere può spingere per il proprio interesse, quando ad esempio ristampa la versione ufficiale di una fotografia cancellando la presenza di un politico caduto in disgrazia, quando si muove nei “laboratori” dove intende riscrivere la Storia.
Ma è ricerca dell’oblio anche quella di uomini che, costretti a vivere sotto un regime, tentano di dimenticare? Che per questo sostituiscono alla partecipazione politica (in qualunque sua forma) la ricerca spasmodica dell’altro, con la presa d’atto delle inestricabili incomprensioni e il continuo richiamo delle pulsioni sessuali? E in fondo l’oblio non è qualcosa di ancora più semplice, cioè l’incapacità della mente umana di ricordare, a distanza di tempo, come sono realmente andati piccoli episodi quotidiani così come le vicende epocali?
E che c’entra il riso? Si tratta del risvolto sonoro della contestazione al potere, della mera dissacrazione? Oppure – atto proprio dei diavoli e non degli angeli, secondo Kundera – è ciò che crea il vero equilibrio del mondo, rimettendo in pari i piatti della bilancia che contengono rispettivamente la razionalità e la mancanza di senso delle cose?
Su queste basi, lo scrittore boemo riesce a costruire un libro che solo apparentemente si regge sulla politicità. Molti sono gli sguardi sulle relazioni umane, che si svelano nella fedeltà ma anche nel tradimento delle aspettative, spesso nel sesso (che può assumere un connotato finanche disturbante, come nella storia di Tamina, condensata nel quarto e nel sesto racconto).
Che allora il libro sia un compendio sulle relazioni di potere che animano tanto la sfera pubblica (vincitori e vinti; rivoluzionari e reazionari) quanto quella privata (donne e uomini; innamorati e lussuriosi)? Non è facile dirlo, ma così si spiegherebbe come faccia Kundera a raccontare in un unico libro di uno scrittore militante costretto a scrivere oroscopi sotto pseudonimo e di una “muta” di bambini che si dedicano scrupolosamente al corpo maturo di una donna, o di una cacciatrice di uomini ammessa senza difficoltà ad un triangolo amoroso e di una vecchia madre che vede i tank russi diventare piccole coccinelle che si posano sulle pere del suo giardino.

La vera sfida è trovare due opinioni su quest’opera che, nel migliore dei casi, facciano più che assomigliarsi. E forse è questo il vero successo ottenuto da Kundera: lasciare ai lettori disquisizioni e interpretazioni su ognuno dei significati, come accade sovente per il pensiero di un filosofo.
E’ evidente, allora, come il viaggio verso “l’insostenibile leggerezza dell’essere” sia già iniziato…

“Gli uomini gridano di voler creare un futuro migliore, ma non è vero.”

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