Narrativa straniera Romanzi Jusep Torres Campalans
 

Jusep Torres Campalans Jusep Torres Campalans

Jusep Torres Campalans

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Questa "biografia" di Max Aub, edita nel 1958, racconta la vita di un pittore, amico di Picasso e Braque, che con loro visse a Parigi l'epopea della rivoluzione della pittura rappresentata dal cubismo. Vi sono riportati anche documenti dello stesso Campalans e alcuni dei suoi quadri. All'epoca dell'edizione del volume molti gridarono alla riscoperta di un artista dimenticato, alla necessità di riscrivere la storia delle avanguardie pittoriche del primo '900. Bene, tutto è frutto della fantasia di Aub, che attraverso questa beffa ci fa riflettere sull'arte, sulla sua funzione sociale e sui meccanismi commerciali che la condizionano.



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Jusep Torres Campalans 2015-06-11 18:40:55 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    11 Giugno, 2015
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JTC è esistito davvero, anzi è ancora vivo!

Biografia di un mai esistito pittore catalano amico di Picasso, che con lui condivise quella grande rivoluzione della pittura che è stato il cubismo, "Jusep Torres Campalans" è a mio avviso un piccolo capolavoro.
Il libro è suddiviso in quattro sezioni oltre a un prologo: una descrizione degli avvenimenti storici ed artistici avvenuti tra il 1886 (anno della nascita di JTC) e il 1914 (anno della sua fuga in Messico), la biografia vera e propria dell’artista, la trascrizione dei suoi appunti parigini scritti tra il 1906 e il 1914 (il Quaderno verde) e il resoconto dell’incotro tra Aub e JTC nel Chiapas nel 1955, un anno prima della morta dell’artista. Chiude il libro la riproduzione di nove quadri di JTC. Ogni sezione è accompagnata da un ricco corredo di note. Tutto inventato, tutto frutto della grandissima fantasia di Aub ma nello stesso tempo tutto terribilmente vero, tanto che prima che l’autore rivelasse tutto in molti avevano creduto alla riscoperta di questo autore sconosciuto ma fondamentale.
La figura e la vita di JTC permettono ad Aub di farci conoscere l’atmosfera culturale della Parigi degli anni prima della prima guerra mondiale, le utopie anarchiche di cui erano portatori in particolare gli emigrati catalani, le discussioni sull’arte e sulla pittura che innervavano la metropoli, le ragioni che spinsero un gruppo di giovani artisti a sovvertire i canoni della pittura, il rapporto tra arte, società e mercato.
JTC, anarchico e religioso, pur senza apparentemente credere al ruolo politico e sociale dell’arte, tanto da non esporre né vendere mai un suo quadro, getta le basi – insieme all’amico Picasso – della grande rivoluzione, ma quando scoppia la prima guerra mondiale e si rende conto che nulla è cambiato e cambierà nei rapporti umani e sociali abbandona tutto, distrugge le sue opere e si ritira nel Chiapas, a fare figli con le donne di una tribù india e a guardare le stelle nella notte senza luci artificiali. Lì lo ritroverà Aub, a metà degli anni ’50.
La vita di JTC è quindi la metafora delle grandi speranze di cambiamento che nel primo decennio del ‘900 facevano pensare all’imminenza di un mondo migliore, di come le avanguardie artistiche dell’epoca accompagnassero queste speranza e, soprattutto, narra della grande crisi dell’arte e del suo ruolo immediatamente seguita. Aub ci fa notare come molti artisti seppero adattarsi perfettamente alla nuova realtà e continuarono a proporre il loro lavoro a fini meramente commerciali. Se la risposta di JTC, sorta di Kurz artistico, è ritirarsi nella natura, il solo Picasso cerca di reinventare ancora la pittura, dopo il grande fallimento.
Bellissimi, assolutamente da non perdere, i due colloqui finali tra JTC e Aub: sono di una attualità sconvolgente e portano alla conclusione, perfettamente condivisibile, che ormai non ha più senso fare arte.

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