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Francois Hollande ha appena terminato il suo secondo mandato all'Eliseo, dopo aver battuto nel 2017 la leader di estrema destra Marine Le Pen, e la Francia deve tornare alle urne per scegliere il nuovo presidente. Arrivata di nuovo al ballottaggio, la leader del Front National deve confrontarsi questa volta con Mohammed Ben Abbes, leader di 'Fraternité musulmane', un partito islamico. Le elezioni presidenziali francesi del 2022 vengono vinte da un partito islamico, che salirà al governo grazie all'alleanza repubblicana con i socialisti e la destra liberale Ump. Il narratore della vicenda è Francois, 44 anni, sessualmente frustrato e infelice, professore universitario specialista dei testi dello scrittore decadente Joris-Karl Huysmans. Quasi non si accorge del cambiamento in atto. Alla fine si limita a sottomettersi e a convertirsi.



Recensione della Redazione QLibri

 
Sottomissione 2015-01-23 08:29:54 Maso
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Maso Opinione inserita da Maso    23 Gennaio, 2015
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Ostriche e libertà di astensione

Che casualità. Proprio l’atra sera, seduto a gambe incrociate su un plaid, vedevo lo sguardo di un caro amico che si fissava su di me mentre sillabavo per l’ennesima volta, neanche fosse una profezia azteca: “perle ai porci!”. Perle. Perle come simbolo di una preziosità che non può essere compresa. Perle, tante altre volte, come simbolo di un’ambiguità che può essere travisata, deformata, decontestualizzata, mascherata e definitivamente utilizzata da un mammifero con capacità decisamente superiori a quelle di un suino, ma certamente con meno buonsenso. L’ominide, ahinoi, sa servirsi della perla-ambiguità per scopi ben diversi rispetto a quelli previsti da chi ha aperto l’ostrica.
Nel nostro caso, il pescatore di ostriche, o meglio di huîtres, si occupa di letteratura. È uno scrittore, si chiama Michel e sembra avere una predilezione per quel filone letterario che dagli inizi del Novecento proietta e inchioda il genere umano in un tempo a lui prossimo, degenerato e irrecuperabile. Tale predilezione non impedisce di mettere in luce l’acquisita competenza di genere del signor Houellebecq. Ma l’acquisizione di una cultura letteraria specifica, come del resto anche quella sull’opera di Huysmans e degli autori francesi del XIX secolo, non può, a parer mio, dirsi tale se da essa non si sono tratti e messi in pratica i principi fondativi del genere stesso. Uno dei fondamenti strutturali che accomuna una fetta sostanziosa della letteratura distopica è quello che riguarda l’ambientazione socio-politica della vicenda narrata. Il fatto che i maestri del genere non si siano quasi mai cimentati nella narrazione di avvicendamenti contestualizzati su scenario reale (e per reale si intende esistente, con persone esistenti) non ha creato il minimo dubbio al signor Houellebecq. Dubbio che invece, a parer mio, si sarebbe dovuto porre ad ogni battuta della prima stesura del suo romanzo. I maestri del genere, come i maestri -indiscutibili fiaccole di sapienza e competenza- di ogni altro genere, sono tali perché a loro sono riconosciuti meriti incontestabili, perché non compiono errori nella pratica del loro mestiere. Perché sanno attenersi a un buon gusto che, in casi specifici come questo, si sarebbe dovuto esprimere nella scelta di un quadro sociale, geografico e antropologico non politicizzato, non veridico, non travisabile, non utilizzabile per altri fini. Il signor Houellebecq fa letteratura, scrive di letteratura, ma dimostra, nella mia personalissima opinione, di aver imparato ben poco da essa e da chi prima di lui l’ha fatta senza compiere errori così grossolani.
Scrivere di un popolo e della sua sottomissione ad un altro popolo, porre l’accento su diversità, tradizioni vissute come restrizioni, buttare nella mischia qualsiasi cosa faccia polverone, non importa a quale prezzo, non importa a quale deformazione siano costrette le fonti. Tutto un’insieme di azioni che sono consentite da quella che viene definita “libertà di espressione”, la più sacrosanta, la più millantata, la più sventolata. Lo spauracchio più radicato e verbalmente ineccepibile, la lapide conficcata nel terreno e mai più smossa. Parlare della Francia sarebbe troppo facile, e sarebbe troppo sbagliato. E sarebbe troppo pretenzioso da parte mia, che, invece, mi limito ad esaminare la bordura, la linea sfrangiata di una situazione nazionale ed extranazionale che presenta un quadro di una complessità incommensurabile, e per questo solo ipoteticamente dissertabile. La passamaneria che cinge tutto, come accennavo, riguarda la libertà di esprimersi. In questa rientra tutto, un tutto che prevede anche la negazione. Se la libertà di esprimersi è tale, allora essa contiene anche la libertà di non esprimersi. Una libertà che, per quanto paradossale, può essere esercitata nel medesimo modo. Non un’autocensura, non una mortificazione della propria opinione. Solo un semplice ragionamento che verte su quanto sia opportuna, in nome di una libertà che è possibile esercitare in quanto diritto inalienabile, la divulgazione di una tematica sufficientemente ambigua da poter essere fraintesa da una percentuale di audience priva delle competenze necessarie per discernere la fantasia dall’istigazione all’emarginazione e all’odio razziale. Anteporre la propria libertà di parola (ribadisco, incontestabile) alle conseguenze cui quest’ultima può portare, conseguenze tangibili, fisiche in quanto indiscriminatamente violente nei confronti di quella che nel 2015, nel mondo reale, è ancora una minoranza; fomentare involontariamente la diffidenza verso ideologie la cui credibilità è già gravemente minata.
Tutto questo, pur sembrandomi lampante, non è ovviamente esplicito. Tutto questo riguarda la libertà. Libertà che, nella mia opinione e nel’opinione di chi me l’ha inculcata, è mia fino a che non incontra quella dell’altro. Libertà che è rispetto, il cui esercizio non deve ledere l’altrui incolumità. In questo, nella giustificazione in cui si sa di potersi rifugiare, nella certezza di una tutela costituzionale e democratica, mi sembra si annidi la gravità e la leggerezza con cui viene utilizzato il mezzo letterario, di una potenza incontenibile se lanciato nel mezzo di un grumo di tensioni contrapposte e in via di cedimento. Sono certo che nessuna delle mie elucubrazioni, niente di simile e similmente polemico fosse nelle intenzioni dell’autore. Ma scrivere significa anche questo, significa sviluppare una coscienza del mezzo letterario stesso e di ciò che esso è in grado di fare qualora non fossimo in grado di controllarlo o di presumerne le conseguenze. Significa, inoltre, assunzione di responsabilità. Significa saper essere opportuni, possedere un’onestà intellettuale e una coscienza che abbiano potere su di noi e che regolino le nostre scelte, le nostre azioni, le parole che escono dalla bocca con troppa velocità. La parola leggera, la più esecrabile, la parola senza peso, la parola che esce senza che le si attribuisca un portato oculatamente soppesato. Le parole leggere si possono dire a gambe incrociate su un plaid mentre si fuma qualche sigaretta; non, certamente, all’interno di un medium di rilevanza globale che si prevede di lanciare in un lago di benzina.


Mi sembra opportuno, vista la preponderanza di argomentazioni personali, scusarmi sia con chi avrebbe necessitato un approfondimento maggiore degli elementi formali del romanzo di Michel Houellebecq, sia con chi si senta urtato dalla trattazione di tematiche sensibili. Ribadisco il carattere personale delle mie affermazioni e la mia più serena apertura al dialogo.

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Sottomissione 2023-02-25 07:13:40 Clangi89
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Clangi89 Opinione inserita da Clangi89    25 Febbraio, 2023
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Società e cosa ne resta

Era da diversi anni che volevo leggere Sottomissione. Ricordo lo scalpore che fece in occasione della sua edizione, vicina all'attenzione a Charlie Ebdo.
Il romanzo intende  provocare il lettore che si ritrova in Framcia, epoca contemporanea, sotto le elezioni del nuovo presidente della Repubblica. Francois Hollande ha infatti ultimato il mandato.
La prima tornata delle elezioni è bruscamente interrotta da una guerriglia civile delle forze estreme che disseminato sangue e terrore bloccando i seggi. Ma forze di destra? Forze di sinistra? Forze dei fratelli mussulmani che concorrono a piena voce alle elezioni? Nessuno sa dirlo.
I giornali sono un tripudio di inutile qualunquismo mascherato da finta etica, la politica gioca senza vere e proprie opposizioni in campo.
Nel caos che si diffonde viene tutto messo a tacere per procedere alla seconda tornata delle elezioni, in sicurezza. I sondaggi danno esiti incerti sui pronostici, 50% a ciascuno dei due schieramenti. A pieno titolo vince Ben Abbes, leader dei fratelli mussulmani. L'opposizione in realtà non esiste.
Gli eventi di fantapolitica sono filtrati dalla voce del professor Francois. Esperto letterato di Joris Karl Huysmans, docente di letteratura presso la Sorbona di Parigi. Ultraquarantenne si trova all'apice della carriera, intento a scrivere un'opera su Huysmans, fondamentalmente solo, passa da un'avventura ad un'altra con le studentesse ammiccanti. Avventure che si interrompo caso strano con le elezioni!
Accompagnati dal protagonista che parla in prima persona si assiste al cambiamento ineluttabile della società. I costumi, i vestiti delle donne cambiano sotto il nuovo schieramento politico e l'educazione subisce un brusco ribaltamento. Francois viene rimosso dalla cattedra, a meno che non si converta all'Islam, è implicito.
La decadenza del protagonista, la sua solitudine e l'individuazione pregnante della società che crolla vanno di pari passo con la politica di stampo islamica.
Una politica che riprende concetti, valori e strutture gerarchiche che la società aveva lasciato dietro le spalle. La famiglia, l'economia, le donne: tutto sta cambiando nell'ottica della sottomissione ai diversi livelli.
Una trama con un intreccio degli eventi che ho trovato molto interessante, l'autore vuole provocare e le sue parole secondo me ci riescono.
È interessante notare quanto la società nel racconto risulta ciclica, i valori dimenticati del passato, la decadenza dell'occidente sono temi pregnanti nel libro. Non mancano infine numerosi riferimenti ad autori letterali, opere e luoghi francesi. Un viaggio nella fantapolitica che va letto, anche se non si condivide quella versione, la lettura serve al confronto.
La conclusione del romanzo che ho letteralmente divorato, è ineluttabile.
Consiglio un libro che riprende il tema della ineluttabilità, Fiorirá l'aspidistra di George Orwell. Consiglio anche il Grande Gasby, la decadenza di un ideale.

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un libro che riprende il tema della ineluttabilità, Fiorirá l'aspidistra di George Orwell. Consiglio anche il Grande Gasby, la decadenza di un ideale.
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Sottomissione 2023-02-13 17:17:01 Valepepi
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Valepepi Opinione inserita da Valepepi    13 Febbraio, 2023
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FRANCIA O SPAGNA PURCHE' SE MAGNA

L’opera si preannuncia profetica e teorizza l’imminente caduta dell’impero occidentale, debosciato e agonizzante, ad opera di un esercito islamico numericamente più imponente e qualitativamente meglio corazzato.
Forte di valori sociali e culturali che si richiamano a “leggi naturali di ordine universale” quali la poligamia maschile, l’Islam ha saputo resistere e proliferare urbi et orbi.
Dall’altro lato, l’Europa, passata sotto la scure degli illuministi e dei relativisti, non combatte più in nome di una religione, ma contro la religione. Che non è solo oppio dei popoli, ma anche collante identitario e sociale, venuto meno il quale, resta una comunità disgregata in una moltitudine di individui isolati, alienati, in crisi di identità.
Queste le premesse. Dopo poche pagine, però, la penna di Houellebecq abbandona il grande respiro storico-politico e la narrazione si ripiega sul punto di vista maschio-accademico-centrico del protagonista, un venerabile professore della Sorbona, oltre che in crisi di identità, anche di mezza età.
Dopo anni di fatiche letterarie che gli sono valse una buona posizione accademica e un parterre di giovani studentesse sempre disponibili, ha perso slancio e vigore e, ridimensionati gli obiettivi, vorrebbe ora sistemarsi, e invece si ritrova a desinare solo e triste nel suo appartamento parigino, con monoporzioni preconfezionate comprate al supermercato sotto casa.
Di tanto in tanto, fa capolino la sua ultima fiamma Myriam che lo solleva da grigiore quotidiano, ma allorquando il sovvertimento politico è alle porte, la ragazza toglie le tende e torna nella natia terra di Israele con la sua famiglia e senza troppi rimpianti.
Anche il nostro, per la verità, si dà ad una breve fuga in una cittadina di provincia, in attesa che passi la buriana. Ma la buriana non arriva, il cambiamento si consuma solo nelle sfere dei palazzi (come da tradizione) e così il nostro decide di far ritorno a Parigi. Qui cede alle lusinghe del nuovo rettore della Sorbona, il filo-musulmano Robert Rediger, e si adagia senza troppi sussulti e tentennamenti al nuovo ordine costituito, foriero di buon cibo, amabile vino e giovani donne a sazietà.
Un classico evergreen: Francia o Spagna purché se magna.

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Sottomissione 2020-01-15 09:34:32 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    15 Gennaio, 2020
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Scandalo per benpensanti

Il clamore mediatico che questo libro ha suscitato deve aver divertito molto Houellebecq, se è vero che il chiasso maggiore è stato fatto da quegli intellettuali o pseudotali che scrivono da blog e giornali e che, fanatici di un’impostazione critica del tutto avulsa dalla realtà storica attuale, tirano fuori marxisti in lotta con le destre, fascisti in lotta con le sinistre, musulmani agguerriti e conquistatori, cristiani effeminati e sottomessi, e tutta un’altra serie di categorie politico-estetico-religiose che, confesso, urtano quanto di urtabile esiste in me. Eppure sono quegli stessi intellettuali non già radical-chic, ma spenti e consumati nelle logiche più claustrofobiche del loro studio iperspecialistico, che Houellebecq bersaglia per tutto il romanzo, specie nei punti più riusciti. Per questo, devo riconoscerglielo, il libro, a posteriori, funziona.

Tre storie si intreccino e richiamano: la parabola religiosa di Huysmans, celebre autore di “À rebours”, manifesto dell’estetismo, la storia del protagonista, esimio studioso dello stesso e docente universitario e l’ascesa dei Fratelli musulmani che prenderanno il potere in un Francia pronta a cedere su ogni piano della cultura. Questo tre filoni, non sempre ben intrecciati e sufficientemente fluidi nel passaggio l’uno nell’altro, condividono in realtà un tema in comune, che è quello della fuga dal mondo. Come Des Esseintes, il protagonista del romanzo di Huysmans, anche il personaggio di Houellebecq consuma una vita spenta circondato dall’estetismo più esotico, alla ricerca di un senso da trovare forse nella fede; ma anche la Francia cerca una fuga dal mondo in un altro equilibrio, in un’altra cultura. C’è tanto, troppo fumo in questo romanzo, così eccessivo a volte da aver indotto in tentazione più di qualche critico e sviato diversi lettori; credo che fosse in fondo questo lo scopo di Houellebecq, realizzare nel reale quello che descrive nel libro. Eppure la qualità puramente letteraria di “Sottomissione” risente di tutti questi depistaggi, di tutta questa fumosa sovrabbondanza, perché il punto, zigzagando continuamente, rischia più volte di perdersi. Ecco bisogna scollare la struttura dalla sovrastruttura e cercare, in fondo, il tema più proprio del libro, che mi sembra essere, molto più prosaicamente, la ricerca di una pacificazione, di una garbata tranquillità, di una quiete magari borghese ma non borghesizzata. Tutto il resto è critica sociale, ironia politica, scandalo per i benpensanti.
Non a caso la scena più riuscita del romanzo (riuscita proprio perché silenziosamente vera), è quando molto prima della presa del potere dei musulmani, il protagonista discute di massimi sistemi con il marito di una sua collega di università. Mentre sono impegnati in voli pindarici e arguzie geopolitiche, lascia il segno l’immagine di questa donna che non viene mai fatta parlare (nonostante sia appunto una docente universitaria), ma che semplicemente porta piatti a tavola, con le lodi delle figure maschili. È in questo vuoto di parole assordante che Houellebecq si dimostra un bravo scrittore, nel realizzare che la distopia è avvenuta prima ancora della distopia, prima ancora dei musulmani; è che quello che segue è già nell’animo di ognuno.

Un romanzo che sconta il suo voler essere provocatorio e che soffre di uno stile non all’altezza (stendo un velo sulle scene di sesso che sono scritte davvero male e penso più per goffaggine che non per precisa volontà), che avrebbe potuto fare a meno anche dei musulmani in effetti, ma che raggiunge, oltre il valore del libro, lo scopo: deridere chi trova finto lavoro nella chiacchiera, gli opinionisti, chi non ha niente di meglio da fare. Croce deleteria di un sapere sempre più frammentato, sempre più gelido, sempre più masturbazione dell’ego.

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Sottomissione 2019-02-01 09:31:34 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    01 Febbraio, 2019
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Una possibilità per uscire dal tunnel

*Di cosa parla?*
Credo che sia la domanda che non bisogna mai porre quando si legge un romanzo come _Serotonina_ o _Sottomissione_ di Houellebecq (quanto agli altri non posso pronunciarmi, non avendoli ancora letti). È difficile parlare di un romanzo come questi, gli spunti di riflessione, la complessità che li caratterizza, impediscono di dare una risposta immediata, che si esaurisca in poche righe.
Ho iniziato questo romanzo, _Sottomissione_ , pubblicato nel 2015, subito dopo aver terminato _Serotonina_ e posso dire che, se i precedenti romanzi dello scrittore francese si avvicinano di più al secondo, do in parte ragione a coloro che sostengono che _Sottomissione_ non li ha coinvolti come si aspettavano. Ragione in parte, dicevo, perché ho trovato un bellissimo romanzo, che ha sicuramente una vena sarcastica, ironica e una carica dissacratoria meno forti che nell’ultimo romanzo e, probabilmente nei precedenti, ma che si presenta come un’opera complessa, di qualità che spinge chi lo legge a riflettere.
Riflettere...ma su cosa?
Innanzitutto non è un libro islamofobo, come vorrebbe fuori da una lettura non attenta e superficiale, e così come è stato definito subito, alla pubblicazione, avvenuta a ridosso della tragedia di Charlie Hebdo.

Nella finzione del romanzo, siamo nel 2022 circa, in una Francia dove ormai la rilassatezza dei costumi e la perdita di tempra politica padroneggiano, ascende alla presidenza della repubblica ...un musulmano.
Un uomo colto, forte politicamente e circondato da un team ben organizzato e con le idee chiare.
Il titolo è un falso programma, è un titolo “civetta” , per provocare e far discutere e in questo Houellebecq è un indiscusso maestro.
Sottomissione ad Allah. I Muslim sono letteralmente i sottomessi.
Il protagonista, François, alla fine del libro, si converte all’Islam, sottomettendosi, come a suo tempo (ma senza sottomettersi) aveva fatto il grande autore francese che tanto ha influenzato il nostro D’Annunzio, Jori Karl Huysmans . François è professore alla Sorbona ed è uno specialista proprio di Huysmans, sul quale aveva scritto una tesi di dottorato dal titolo “Huysmans o dell’uscita dal tunnel”che sintetizza alla perfezione lo slancio, lo sforzo dell’autore di _À rebours_ di trovare una via di uscita alla sua vita inconcludente e la trova nella conversione al cattolicesimo, che avviene con sincera apertura e convinzione.
François, come ogni protagonista houellebechiano che si rispetti, è di un cinismo e di un opportunismo davvero estremi, e nulla fa per risultare simpatico al lettore: si converte per puro opportunismo e non con convinzione solo per continuare ad avere una vita sessuale appagante, con mogli molto più giovani di lui, opportunamente “selezionate” da una mezzana per i gusti più esigenti e per continuare a lavorare alla Sorbona.

Sono ben due gli intellettuali interessanti vissuti il secolo scorso in questa storia: Huysmans, oggetto della tesi di dottorato di François e René Guénon, poco conosciuto in Italia che da cattolico si poi era convertito all’Islam ed aveva passato il resto della propria vita in Egitto.
Quest’ultimo intellettuale è autore di un ricca produzione in cui la conversione all’Islam appare come una naturale continuazione della tradizione primordiale, non un rigetto della fede di origine (vedi l’opera del musulmano italiano Shayck ‘Abd al Wahid Pallavicini, _L’islam interiore_ ).
René Guénon, guarda caso, è stato oggetto della tesi di dottorato del nuovo rettore della Sorbona islamizzata, un certo Robert Rediger.
Cito un passo interessante che riporta parte del discorso di quest’ultimo:

“Tale battaglia, necessaria per l’instaurazione di una nuova fase organica di civiltà, ormai non poteva più essere condotta in nome del cristianesimo; era l’islam, religione sorella, più recente, più semplice e più vera (perché, infatti, Guénon si era convertito all’islam? Guénon era innanzitutto una mente scientifica, e aveva scelto l’islam da scienziato, per economia di concetti; e altresì per evitare certe marginali credenze irrazionali, come la presenza reale nell’eucaristia), era dunque l’islam, oggi, ad aver preso il testimone. A furia di moine, smancerie e vergognosi strofinamenti dei progressisti, la chiesa cattolica era diventata incapace di opporsi alla decadenza dei costumi. Di rifiutare decisamente ed energicamente il matrimonio omosessuale, il diritto all’aborto e il lavoro delle donne. Bisognava arrendersi all’evidenza: giunta a un livello di decomposizione ripugnante, l’Europa occidentale non era più in grado di salvare se stessa –non più di quanto lo fosse stata la Roma del V secolo della nostra era.”

Alla luce di ciò non si può assolutamente dire che il romanzo di Houellebecq sia islamofobo come già ho detto prima, anzi l’autore sta tentando di farci affacciare da una finestra su un mondo possibile.
Attraverso il protagonista di cui non conosciamo neppure il cognome, ma solo il nome di battesimo, l’età (44 anni, la stessa di quando Huysmans si converte al cattolicesimo) e l’occupazione, Houellebecq non solo dá prova di erudizione, ma ci spinge a riflettere sull’uomo occidentale, sul sua decadenza, sui suoi limiti.
Un protagonista tipicamente houellebechiano, più colto della media, umanamente superficiale, “sentimentalmente” si presenta come il tipico maschio dei suoi romanzi, capace quindi di provare amore, dolore solo quando ha perso la donna più preziosa, quella cioè che prima scatena intenso piacere fisico e poi l’amore, per cui la sua assenza diventa per lui impensabile per continuare a vivere.






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Sottomissione 2019-01-13 03:36:44 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    13 Gennaio, 2019
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Noi siamo gli indigeni d’Europa

Attraverso la figura di un professore della Sorbona, intellettuale gaudente e decadente (“Ancora una volta mi ritrovavo da solo”) come l’Huysmans oggetto degli studi, Michel Houellebecq con il romanzo Sottomissione provoca i lettori costringendoli a riflettere su tendenze e rischi in atto nella nostra civiltà.

L’immigrazione e la progressiva islamizzazione della società occidentale rendono sempre più concreta l’ipotesi di una prevalenza quantitativa che mina la cultura occidentale. Nella fiction letteraria ciò induce la politica francese a radicalizzarsi in due tendenze: l’affermazione di una sinistra compiacente (“La Fratellanza mussulmana si era preoccupata di esprimere una posizione moderata, sostenendo la causa palestinese solo con moderazione…”), la contrapposizione dell’estrema destra xenofoba.

Houellebecq cerca forse di suscitare reazioni di orgoglio (“Noi siamo gli indigeni d’Europa, i primi occupanti di questa terra e rifiutiamo la colonizzazione mussulmana”) e lo fa provocando: immagina una Sorbona completamente islamizzata (“Un principe saudita… era il principale finanziatore della nuova università Parigi-Sorbona”) e proietta – come elemento di complicità passiva - la compiacenza di maschi occidentali che si lasciano blandire dalla poligamia e da una religione che decreta la sottomissione della donna…

Giudizio finale: provocatorio, incendiario, machista.

Bruno Elpis

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Sottomissione 2017-07-11 15:46:04 GPC36
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GPC36 Opinione inserita da GPC36    11 Luglio, 2017
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Macron vs Ben Abbes

Potrebbe sembrare tardivo riprendere questo romanzo due anni dopo la sua pubblicazione e l’estinguersi delle fiammate polemiche che ne erano conseguite; ritengo, invece, particolarmente interessanti le considerazioni stimolate dalla sua lettura subito dopo le ultime elezioni in Francia, poiché le vicende più recenti consentono di valutare meglio la capacità di analisi politica di Houellebecq.
Credo sia ben noto il filo conduttore del romanzo, considerato il clamore suscitato a suo tempo: alle elezioni politiche del 2022 la situazione di crisi, di devitalizzazione dei due partiti che si sono alternati al potere dopo la costituzione, nel 1958, della Quinta repubblica, il loro contrasto con le posizioni del Fronte Nazionale di Marie Le Pen, aprono la strada ad un partito islamista che porta il leader Ben Abbes alla presidenza della Repubblica. Una società che ha perso la consapevolezza dei valori su cui è fondata, priva di idealità e indifferente al ruolo storico della Francia cede gradualmente, senza resistenze ad un’operazione di abile islamizzazione, condotta con scelte moderate, ma incisive, soprattutto nei confronti del mondo dell’istruzione e della cultura..
Vi sono, quindi, due fili conduttori consecutivi, in rapporto di causa – effetto: la perdita della capacità di mobilitazione e di coinvolgimento del sistema politico francese e il rischio di una potenziale islamizzazione. È sulla seconda tematica, sviluppata sino a configurare un modello distopico di società, che si è concentrata l’attenzione della critica e dei recensori, subito dopo la pubblicazione..
Oggi, dopo le ultime elezioni politiche, sembra invece giusto riportare in primo piano quello che Houellebecq considera fattore causale della ipotetica affermazione del partito islamista. La vittoria di Macron e di un partito creato dal nulla ha messo in evidenza le debolezze del sistema politico e la possibilità che vi si potesse aprire un varco per nuove aggregazioni. Così se Houellebecq descrive ironicamente la depressione di un noto editorialista politico, dopo la vittoria di Ben Abbes, perché “incapace di commentare una mutazione storica che non aveva previsto, che nessuno, a dire la verità, aveva previsto”, lo stesso stato d’animo dovrebbe valere per chi alle recenti elezioni non aveva intuito le possibilità di successo del nuovo protagonista della politica francese.
Lo scrittore coglie perfettamente il rischio di implosione del sistema binario centro destra – centro sinistra su cui è retto il sistema politico francese, con la sola differenza che tale implosione, anche per il concorso di situazioni particolari,si è verificata cinque anni prima del previsto. Appare, quindi, valida e ben centrata l’analisi di Houellebecq sulla crisi dei rapporti fra elettori e Stato, comprovata anche dall’elevata percentuale di astensioni e, di conseguenza, appaiono giuste le analisi di chi aveva visto in “Sottomissione” non tanto il timore di una deriva islamista, quanto la denuncia delle precarie condizioni di salute delle istituzioni democratiche francesi, storicamente fondate su una cultura laica ed illuminista.
La figura del protagonista è un ritratto della crisi di identità che Houellebecq vede nella società francese in generale, ma soprattutto nel mondo dell’istruzione e negli intellettuali. Francois è un docente universitario di letteratura che vive di rendita su una tesi di dottorato su Huysmans, esponente del decadentismo francese. É interessato più alle studentesse che alla comprensione delle tensioni intellettuali di un autore di cui, lui ateo, non riesce a cogliere le motivazioni che lo portarono alla conversione al cattolicesimo; solo alla fine ritiene di avere un'illuminazione, con una interpretazione guarda caso funzionale allo spirito del nuovo corso politico. Abulico, asociale e frustrato, buongustaio ed erotomane, disinteressato alla politica non esita, per qualche vantaggio che ne appaghi l’individualismo e il desiderio di prestigio ad accettare,con la conversione, quella sottomissione che potrebbe rappresentare “il culmine della felicità umana”.
Non è credibile che Houellebecq, ottimo conoscitore dei meccanismi elettorali e della realtà francesi, potesse nutrire un timore reale dell’affermazione di un partito islamista. “Sottomissione” è, essenzialmente, una forte provocazione che avrebbe dovuto stimolare una presa di coscienza del logoramento dei valori, politici e religiosi, fondativi della cultura occidentale. A futura verifica la valutazione se la vittoria di Macron significhi un reale ripensamento culturale della società francese.
Nella tradizione del pamphlet volterriano il libro offre una serie di frecciate, anche pesanti, nei confronti del mondo politico ed intellettuale. Tuttavia il suo interesse appare a questo punto superato; anche per molte cadute di stile la sua lettura mi sembra consigliabile solo a chi abbia piacere a fare una immersione nella realtà francese o a riflettere sui parallelismi fra la nostra realtà e quella dei cugini d’oltralpe.

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Sottomissione 2016-11-23 16:31:59 ant
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ant Opinione inserita da ant    23 Novembre, 2016
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La Francia islamizzata

Un romanzo profetico, con tanti spunti più che attuali, sorprende per fantasia abbinata a realtà. Ambientato in Francia nel 2022, dopo elezioni politiche che sanciscono la fine degli ideali di democrazia laica, soppiantati da pensieri religiosi radicali. Notevoli le digressioni sulle cause che , secondo l'autore, han portato la patria degli ideali illuministi a stravolgersi e preferire pensieri di tutt'altro tenore. L'accusa maggiore, di non aver saputo trasmettere ai giovani le basi del pensiero francese, è rivolta innanzitutto al mondo universitario, poi a ruota l'incapacità delle elitè culturali di pensiero di attirare consensi. Concludo estrapolando un passaggio in cui il protagonista parla di programmi del ministero delle pubblica istruzione francese adeguati alle richieste della gente(p95): Ma non si poteva negare, prosegui', che i tempi erano cambiati . Sempre più spesso, le famiglie-che fossero ebree, cristiane o musulmane-desideravano per i propri figli un'educazione che non si limitasse alla trasmissione delle conoscenze, e che piuttosto integrasse una formazione spirituale corrispondente alla loro tradizione. Questo ritorno alla religione era una tendenza profonda, che attraversava le nostre società, e il ministro della pubblica istruzione non poteva non tenerne conto. Si trattava dunque di allargare il quadro della scuola repubblicana , di renderlo capace di coesistere armoniosamente con le grandi tradizioni spirituali- musulmane, cristiane e ebree-del nostro paese
Profetico

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Sottomissione 2015-09-07 08:49:57 f.martinuz
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f.martinuz Opinione inserita da f.martinuz    07 Settembre, 2015
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Quale distopia?

Un libro carico di aspettative, sicuramente accresciute dal contesto storico-politico in cui è stato pubblicato e dalla nomea dell’autore che l’hanno innalzato a presunto successo editoriale. Un romanzo che, da osservatore esterno, pareva richiamare e affiancare il fortunato genere del dystopic novel che ha avuto in Huxley e soprattutto nel formidabile George Orwell i suoi padri letterari.
Ebbene, se nello stile e nel lessico Houllebecq appare forse un gradino superiore o comunque pari grado ai due sopra citati, nella sezione “forza allegorica” il testo del francese viene completamente annientato; ne è quasi totalmente privo. Personaggi come il “Grande Fratello” o i maiali di Animal Farm nel testo di Houllebecq sono assenti, latitanti. Al contrario ci viene proposto un personaggio al limite del banale, del noioso e del fastidioso.

Il suo nome è François, studioso di Huysmans, seduttore incallito e metodico di studentesse, docente universitario annoiato, apatico e totalmente depoliticizzato. Una mancanza di attenzione da parte del protagonista verso uno dei temi centrali del romanzo, gli stravolgimenti politico-sociali appunto, è una contraddizione che stride.
François, nome comune per un personaggio banale, assume a più riprese, soprattutto nelle prime fasi del romanzo, la fisionomia dell’autore. Houllebecq scivola nel corpo e nella mente di François per poter dire la sua, intervenire come un deus ex machina. I suoi interventi sono peraltro malcelati ed evidenti.
È Houllebecq che parla quando lancia frecciate esplicite alla società moderna che nel romanzo ambientato nei futuri anni ’20 assume lo statuto di passato; infatti è lui che critica i genitori “baby-boomer”, tacciati di egoismo ed elevati ad icone negative di consumismo sfrenato, tara maledetta di un’intera generazione.

“I due baby-boomer mi avevano sempre dato prova di un egoismo implacabile, e niente mi faceva credere che potessero accogliermi con piacere”

È sempre Houllebecq che si lancia in considerazioni, più o meno condivisibili, sulla dicotomia illusione beata/disillusione sistematica sul tema dell’amore; inoltre non risparmia nemmeno la democrazia. Parla di un’ alternanza democratica simile alla spartizione di potere tra gang rivali, le quali a loro volta con la violenza cercano di imporre il loro regime ad altri paesi nel nome del miglior sistema possibile. I riferimenti sono quanto mai espliciti e questo concetto di alternanza democratica è uno dei pochi slanci interessanti dell’intero scritto.

Ciò che tuttavia ritengo poco attendibile e plausibile è l’intero impianto storico che Houllebecq crea attorno all’apatico professore huysmaniano. L’idea che un partito musulmano possa prendere il potere è, in un futuro più remoto che imminente, oggettivamente plausibile; tuttavia le reazioni sociali a tale stravolgimento superano il limite di tolleranza e accettabile verosimiglianza.
Infatti il governo di Ben Abbes, che alle presidenziali surclassa una sinistra letteralmente evanescente e la destra combattiva e nazionalista di Marine Le Pen, rivolta come un calzino l’intero sistema Francia. Lo scuote sin dalle sue fondamenta. La terra di Robespierre e della Rivoluzione francese lascia il terreno ad un nuovo ordine sociale, di fatto alla sottomissione.

Ben Abbes impone un nuovo sistema economico in linea con i principi dell’islam, il distributivismo che si prefigge lo scopo di mandare in pensione il capitalismo. Le università chiudono da un giorno all’altro e riaprono dopo aver escluso le donne dall’insegnamento, aver dato vita ad un nuovo corpo docente (da cui il protagonista è escluso) e dopo aver riformato la ripartizione dei fondi alle diverse università. In soldoni, più soldi agli istituti musulmani e meno denari a quelli di altre religioni o semplicemente statali.
In aggiunta Ben Abbes e il suo esecutivo operano nel giro di una notte una rivoluzione dei costumi che impone alle donne di coprirsi. In pochi attimi decenni di lotte sindacali, operaie e femminili vengono stracciate e cestinate senza il minimo batter di ciglio.
Non contento Houllebecq cerca di giustificare il progetto politico di Ben Abbes, che mira a esportare in lungo e in largo questo modello, inserendolo in un quadro internazionale al limite del surreale, in cui l’Unione Europea accetta con serenità gli stravolgimenti economici di una delle nazioni fondanti dell’istituzione stessa. Un quadro in cui le democrazie del Nord hanno già ceduto il passo all’avanzata politica musulmana.

Considerato tutto ciò, come può aspettarsi l’autore che il lettore non si chieda: come possono donne in carriera essere letteralmente espulse dal proprio lavoro, relegate a meri oggetti secondo una visione medievale (dalla quale l’islam non sembra staccarsi) senza reagire o quanto meno provare a modificare il corso degli eventi. E come fa François stesso a non avere il benché minimo rigurgito di orgoglio nell’apprendere che per motivi squisitamente discriminatori è stato buttato fuori a calci da una delle università più prestigiose al mondo, ovvero la Sorbona? Perché un intero popolo rinuncia alla libertà in favore di una più tranquilla e rassicurante sottomissione?

Nel frattempo, in questo marasma politico-sociale che parrebbe una polveriera pronta ad esplodere ma che al contrario si configura come il più placido mare d’estate, il protagonista vaga come uno spettro tra bordelli del XXI secolo, escort, monasteri e avvenimenti mondani legati al mondo accademico senza la minima indignazione verso il mondo esterno. Un apatico fatto e finito che imparerà ad adattarsi come l’ultima pecora del gregge.

Il romanzo nel suo complesso offre spunti di riflessione di per sé interessanti (l’individualismo del mondo moderno, le pecche e le storture del sistema democratico, il progressivo distacco dei cittadini dalla partecipazione democratica attiva) che però vengono schiacciati da un malriuscito tentativo di nuovo romanzo distopico e dalla struttura precaria dell’impianto storico su cui la vicenda si fonda.

FM

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Sottomissione 2015-07-08 08:27:55 mia77
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mia77 Opinione inserita da mia77    08 Luglio, 2015
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Sottomissione di Michel Houellebecq

Primo libro di questo arguto scrittore, che mi ha colpita e coinvolta. Non voglio prendere parte a polemiche politiche o disquisizioni destra-sinistra: mi voglio limitare a dire la mia su questo, secondo me, intelligentissimo romanzo. Troppo spesso siamo circondati da politici e intellettuali "tutto fumo e niente arrosto", qui invece, a mio avviso, l'arrosto è proprio succulento (a prescindere dall'appartenenza politica di ciascun lettore). L'autore ha il grande pregio di costringere il lettore a "pensare" e secondo me il lettore che affronta attentamente fino alla fine un testo come questo, ha anche l'intelligenza e la profondità di andare a vedere "cosa c'è dietro". Non riesco a pensare a un popolo talmente becero da non saper valutare: non posso e non voglio. Questo romanzo di Houellebecq ha il merito di costringerci a fare i conti con la profondità della degenerazione della borghesia laica e l'autore intende farci percepire quanta angoscia e quanto disagio l’essere umano provi di fronte al peso della libertà, dove la variabile politica è solo una delle sfaccettature, e forse neanche quella più importante.
Il fallimento è quello del laicismo: senza regole, senza morale, senza principi. La laicità, secondo l'autore, non può competere con il cattolico che è capace di avere fede o con il musulmano che è disposto a sottomettersi alla volontà divina. In questo romanzo si parla di "sottomissione" e non di "sconfitta" proprio perché essa avviene volontariamente: è l'esito di una scelta perfino democratica. L'uomo europeo baratta una parte della sua libertà in cambio di un'idolatrata tranquillità. La scelta di conversione non è religiosa, ma si riferisce all’incapacità di gestire il proprio libero arbitrio e di conseguenza la scelta di abbandonarsi a un sistema sociale che si farà carico di tutti i cittadini e che provvederà al benessere e alla serenità dei propri sudditi.
Uno dei motivi che lo hanno spinto il pessimista Houellebecq a scrivere questo romanzo è il fatto che inizia a essergli insopportabile essere ateo. L'autore sembra molto attratto dalla potenza della fede, qualunque fede, che attraversa l'Uomo e lo spinge a convertirsi, o meglio a "sottomettersi" per ritrovare un po' di felicità e un senso alla propria esistenza, che altrimenti sarebbe vuota, come una società allo sbando. Egli non crede in Dio ma afferma che nessuna società possa sopravvivere senza la religione, pena il suo stesso suicidio perché, con la famiglia, la religione risponde a una necessità sociologica essenziale che è di legare tra loro gli uomini e di dare senso alla loro esistenza.
In questo romanzo c'è la constatazione che ogni vero desiderio è scomparso. L'uomo colto, l'europeo dei nostri giorni, è intossicato dalla sazietà: non desidera più. E in assenza di desiderio, ogni sottomissione è già instradata. E poiché nella cultura dell’edonismo materialistico e nichilista l’unico piacere rimasto è solo quello dei sensi e della carne, l’unica possibilità di amare è quella legata al corpo. Ma qui l'autore ci mostra anche un corpo che non risponde, decade e si ammala, man mano la vecchiaia si avvicina.
In questo romanzo fanta-politico la civiltà occidentale lascia il campo alla nuova Europa islamico-liberista perché non ha nulla da offrire se non solitudine e aridità, persino a cittadini una volta privilegiati, come dei docenti universitari. Nel romanzo la svolta politica è accolta nell’indifferenza, perfino dal ceto intellettuale progressista, che accantona il proprio feroce laicismo per conformarsi o per farsi da parte silenziosamente. "Niente da rimpiangere", dice l'ultima frase. Non c'è niente da rimpiangere, quando non c'è mai stato niente che valesse la pena di tradire. In tutto questo la polemica anti-islamista, secondo me passa in secondo piano e non è assolutamente la parte più importante del romanzo.
L’intelligenza di questo scrittore è affilata e la scrittura profonda e mai banale. È un testo profondo e intelligente e lo consiglio a tutti!

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Sottomissione 2015-06-13 14:05:08 Filippo1998
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    13 Giugno, 2015
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Sull'orlo del precipizio, tra utopia e distopia




Siamo in un futuro prossimo datato 2022. La storia si trova di fronte a uno snodo cruciale, un avvenimento memorabile, da un certo punto di vista quasi inspiegabile poiché apparentemente rifiutato dalla maggioranza. Infatti, la Francia è testimone di una “rivoluzione” che ben presto coinvolge l’Occidente tutto, contro ogni pronostico e ogni logica, a dimostrazione del fatto che, in fin dei conti, il tanto discusso “libero arbitrio” umano resta un qualcosa di molto fragile. Ma in “Sottomissione”, la bilancia non si pronuncia tanto a favore del meccanicismo cosmologico, in termini democritei ,ossia una totale casualità degli avvenimenti, quanto a una volontà superiore, quella di un’entità che noi umani definiamo “Dio”.
In questo romanzo di Michael Houellebecq il Dio in questione, e unico, è Allah che ha finalmente deciso di imporre la propria egemonia.
Il suo portavoce è Ben Abbes, leader di un nuovo partito francese denominato Fratellanza musulmana, che in seguito a una crescita esponenziale di assensi, si ritrova a capo del Paese sostituendo l’ormai logora e fallimentare repubblica.
Ben Abbes non è lo stereotipo del musulmano chiuso mentalmente, unicamente interessato a imporre la propria religione e magari disposto anche a ricorrere alla violenza pur di raggiungere i propri obiettivi. E’, piuttosto, intelligente, diplomatico, accattivante e MODERATO, caratteristica raramente accostata a un fedele della shari’a; un mix di novità e conservatorismo che gli permette di farsi strada tra le menti dei francesi, che riversano in uno stato di totale inerzia in seguito a quella che pare più una visone onirica che mera realtà.
Michael Houellebcq, costruisce attraverso una lingua chiara e impeccabile un romanzo che può essere spunto di riflessioni profonde su un tema centrale come quello della convivenza tra le religioni. Si diverte a ritrarre- e lo fa in modo magistrale-, grazie alla sua fantasia –o semplicemente al suo senso storico -una realtà politica fittizia ma al contempo estremamente plausibile immaginandone l’impatto sulla gente comune.
Francois, protagonista e narratore, effettivamente è “un uomo di una normalità assoluta”, un individuo incapace di adattarsi alla sua grigia vita da docente universitario sprovvisto di vocazione, che più di una volta ha seriamente preso in considerazione l’idea del suicidio.
Solamente grazie alla via della conversione riuscirà a ritrovare l’orientamento, a testimonianza del fatto che la “sottomissione” è ciò di cui l’uomo realmente ha bisogno.

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