Narrativa straniera Romanzi Zazie nel metrò
 

Zazie nel metrò Zazie nel metrò

Zazie nel metrò

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Zazie, una ragazzina ribelle e insolente, arriva nella Parigi degli anni '50 dalla provincia. Il suo sogno è vedere il metro; ma se uno sciopero glielo impedisce, nessuno può trattenerla dal salire su quella giostra vorticosa che per lei diviene Parigi. Fugge disinvolta dall'olezzo dello zio, ballerino travestito, per incontrare, grazie alla sua vitalità straripante, una galleria eterogenea di personaggi: un conducente di taxi, diabolici flic, la dolce Marceline, una vedova consolabile, un calzolaio malinconico e un querulo pappagallo.



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Zazie nel metrò 2018-04-11 17:40:14 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    11 Aprile, 2018
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Un grosso, gigantesco boh!

Premetto che è molto probabile che sia colpa mia se questo romanzo non mi è proprio piaciuto, dunque mi scuso con chi lo ha amato o apprezzato. Tuttavia, non posso fare altro che esprimere quella che è la mia opinione personale che, in quanto tale, è perfettamente opinabile, ma che non adatto in nessun modo per accontentare le masse.
Non so se mi sarei mai approcciato a questo libro, se non fosse che avevo da leggerlo come lettura condivisa, al circolo di lettura. Magari sì, magari no; sta' di fatto che ho trovato questa lettura assolutamente insopportabile.
Partiamo dallo stile: è evidente che quella di Queneau è una sfida alla lingua, alla letteratura tradizionale, e forse in francese la sua opera rende di più, ma personalmente non ho trovato nulla di entusiasmante in queste scelte lessicali. Ci sono un'infinità di vocaboli storpiati o inventati di sana pianta che, magari, se inseriti in una narrazione fatta in prima persona dalla protagonista (la piccola Zazie), avrebbero avuto più un senso, come accade in Arancia Meccanica o ne Il giovane Holden. In quei casi, la scelta lessicale è un veicolo fondamentale per la caratterizzazione dei protagonisti; in questo caso, invece, non fa altro che appesantire una lettura che dovrebbe essere leggera; perchè è chiaro che tutto il romanzo abbia un'impronta umoristica, che a quanto ho capito vuole proporre uno spaccato ironico della società parigina del tempo. Tutte le intenzioni dell'autore, almeno per quanto riguarda il mio caso, rimangono tali e non riescono veramente a coinvolgere, a far riflettere, o a far ridere. Basti pensare che il personaggio che mi ha fatto più ridere è un pappagallo che ripete sempre la stessa frase fino allo sfinimento.
Passiamo alla protagonista, Zazie: insopportabile e volgare fino all'inverosimile. Non che la cosa mi turbi, sia chiaro, ma non è null'altro che un ricettacolo di oscenità e poco più.
Per concludere, la trama non è altro che un susseguirsi di eventi e di incontri senza niente di speciale né di memorabile, alcuni addirittura ai limiti del surreale; per carità, non ho nulla contro il surreale, ma che almeno mi trasmetta qualcosa!
Insomma, per concludere, l'unico commento che sono riuscito a fare chiudendo il libro è stato: "Ma cosa ho appena letto? Boh!"

"Laggiù, oltre, un po' oltre, Place de la République, si accatastano le tombe dei parigini che furono, che salirono e scesero le scale, andarono e vennero per le vie e tanto fecero che alla fine sparirono. Un forcipe li introdusse, un carro funebre li porta via e la torre si arruginisce e il Pànteon si screpola più presto di quanto le ossa dei morti fin troppo presenti non si dissolvano nell'humus della città tutto impregnato di affanni."

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Zazie nel metrò 2017-05-11 18:27:58 Mane
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Mane Opinione inserita da Mane    11 Mag, 2017
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La piccola impertinente

Poca Parigi, tanti scambi di battute in questo piccolo chiassosissimo romanzo, dove, in un turbinio che non concede ambientamento, si alternano brevi istanti descrittivi di una scrittura briosa ed elaborata carica di ironia (implacabile col perbenismo) e prolungate sequenze dialogiche dove spadroneggia una lingua licenziosa e colorita spesso veicolata dalla voce della (piccola?) Zazie.

Quello di Zazie è un personaggio particolare: in teoria una bambina, nei fatti una signorina smaliziata, capricciosa ed impertinente, protagonista con la sua curiosa ma disincantata vista “dal basso”, costante irriverente del libro. Sufficientemente antipatica anche.

Ad esser franco queste pagine non mi hanno rapito, nonostante i non infrequenti stralci che danno saggio delle ottime doti di scrittore sicuramente tributabili all’autore.

“Una folla spessa e violacea colava un po’ dappertutto. Una venditrice ambulante di palloncini, una musichetta da luna park aggiungevano il loro carattere discreto alla virulenza dell’esposizione. Stupita, Zazie, ci mise un po’ di tempo prima di accorgersi che, non lontano da lei, un barocco lavoro di ferro battuto piantato sul marciapiede era coronato dalla scritta METRO’. Subito dimentica dello spettacolo della via Zazie si avvicinò al fiato dell’apertura, sentendosi mancare il proprio per l’emozione.”

Forse cercavo più Parigi e meno impertinenza, più riflessività e meno chiasso, più linearità e meno caos, più trama e meno ciarle...
Rimane comunque il mio modestissimo parere personale, da non conoscitore di Queneau.

“- Allora ti sei divertita?
- Così.
- L’hai visto il metrò?
- No.
- E allora che cosa hai fatto?
- Sono invecchiata.”

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Zazie nel metrò 2016-12-26 07:21:09 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    26 Dicembre, 2016
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Occhio alla penna

Surreale, sarcastico, imprevedibile, Queneau ci lancia all'inseguimento della piccola e impertinente Zazie, tra le strade e i locali di una Parigi anni '50 frizzante e carismatica, dove un falso ed apparente moralismo viene squarciato da un recondito libertinaggio. Affidata per un paio di giorni alle cure dello zio Gabriel da una madre sempre impegnata in nuove avventure erotiche, la giovane protagonista si caccia in situazioni paradossali vivendo delle ore indimenticabili al fianco di personaggi equivoci e bizzarri, tra avventure indimenticabili e dialoghi irriverenti. Ce n'è per tutti i gusti, dal poliziotto satiro alla vedova in cerca costante di consolazione, dal pappagallo assillante all'omaccione che si guadagna da vivere facendo la ballerina in un night club gay. Ci sono scazzottate e sparatorie, liti verbali e domande imbarazzanti, amicizie vecchie e nuove e ambigui misteri. C'è anche, in questa giostra vorticosa, il tempo per l'amore. Se ad un primo impatto quest'opera può sembrare leggera e superficiale, ad un'analisi più approfondita vengono fuori dei pregi inconfutabili che risiedono soprattutto nel coraggio e nella disinvoltura con cui l'autore tratta temi delicati come l'abuso sui minori, l'alcolismo, la violenza domestica e gli ipocriti e insensati pregiudizi che ruotano attorno al tema dell'omosessualità. Ma il pregio forse più grande sta nel linguaggio, vero e proprio protagonista dell'opera e, in generale, di tutta la letteratura dell'autore. Queneau usa una prosa fuori da ogni schema, irriverente, eccentrica e ai limiti della cattiva grammatica, inserendoci qualche volgarità senza mai spingerla agli eccessi e facendo largo uso di un gergo parigino che ha sicuramente creato grossi problemi al traduttore e che, trasformato in italiano, probabilmente non produce lo stesso effetto che ha invece in lingua originale. Un libro sicuramente diverso, strampalato, coraggioso, che proprio a causa di queste sue caratteristiche può risultare piacevole ed affascinante, ma che va letto "oltre le righe" per non arrivare a considerarlo un frivolo ed inconcludente fumetto in prosa. "Baie, balle e bibbie dei miei cogliomberi. Comunque ho unto la giuntura dei miei ginocchi col suddetto sudore della mia fronte e così, edenico e adamico, mi guadagno il pane. Fra pochi minuti mi vedrete in azione; ma, attenti! Non vi fate imbrogliare, quello che sto per presentarvi non è un semplice slip-tease, bensì arte! Arte coll’A maiuscola, occhio alla penna! Arte con quattro lettere e le parole di quattro lettere sono incontestabilmente superiori sia alle parole di tre lettere (che trascinano tante volgarità giù per la maestosa correntìa della lingua francese) sia alle parole di cinque lettere che altrettante ne menano".

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Zazie nel metrò 2015-12-19 15:53:00 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    19 Dicembre, 2015
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Ma Zazie non prende il metró

Recensendo 'I fiori blu' ho espresso l’opinione che il linguaggio di Queneau, così peculiare da determinare il significato che esprime, fosse una sorta di sovrastruttura volta comunque ad indirizzare il lettore verso il significato del libro. In effetti, leggendo questo autore si corre il rischio di essere eccessivamente affascinati da come Queneau scrive, piuttosto che da ciò che scrive . Nel caso de 'I fiori blu', tuttavia, il respiro storico delle vicende, il continuo alternarsi di episodi della storia di Francia con la descrizione di un’attualità (il 1964) ed il loro confronto serrato rende in qualche modo agevole al lettore avvertito individuare ciò che Queneau vuole esprimere con il suo pirotecnico linguaggio.
Leggendo 'Zazie nel metró', opera scritta qualche anno prima (1959), il rischio di fermarsi alla sovrastruttura linguistica, di cadere nella trappola, peraltro sapientemente ordita da Queneau stesso, di considerare il testo un divertentissimo esercizio di stile applicato ad un nulla narrativo, ad una serie di assurde e strampalate situazioni prive di alcun elemento che vada appunto oltre la loro assurdità, è altissimo. Ad una prima lettura potrebbe infatti sembrare che la due giorni parigina di Zazie, le situazioni in cui si trova coinvolta e le persone che incontra siano semplicemente dei pretesti che danno modo a Queneau di scatenare la sua furia demolitrice verso la lingua francese, e la sua conseguente 'ricostruzione traslata'.
Come dicevo è Queneau stesso che si diverte a depistarci, quando in una delle rare pagine del libro non dominata dai serratissimi linguaggi, fa pensare a Gabriel, lo zio di Zazie, questa sorta di confessione dell’autore: ”Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un’ombra, Zazie il sogno di un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l’ombra di un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota (oh! mi scusi).” Non vi è dubbio infatti che l’apparente assurdità di molte delle situazioni narrate può far pensare ad una sorta di farsa un po’ fine a sé stessa, nella quale appunto è solo il linguaggio, la struttura del testo a sorreggere un’impalcatura che ad un primo esame potrebbe essere definita fragile.
Il linguaggio è quindi anche in questo caso, direi soprattutto in questo caso, il mezzo con cui Queneau crea la storia di Zazie: sul ruolo del linguaggio in Queneau ed in particolare in Zazie l’edizione da me letta riporta un breve saggio di Roland Barthes, e di fronte a cotanto critico non posso che rinviare alla lettura. Tra l’altro, come nel caso de I fiori blu, anche qui ci troviamo di fronte alla disperata impresa di tradurre un testo che reinventa la lingua francese, ed anche in questo caso si può dire che l’impresa è riuscita grazie alle capacità di un grande intellettuale del dopoguerra, Franco Fortini.
Ma ci si può rendere conto che anche in questo caso il linguaggio, che crea la storia, non la esaurisce in sé stesso, anzi permette che la storia ci si presenti in tutta la sua forza corrosiva.
Partiamo dal personaggio di Zazie. E’ una ragazzina (9-10 anni?) di provincia che viene a passare due giorni a Parigi, affidata dalla madre (che passa due giorni d’amore con l’amante) allo zio Gabriel. Vuole assolutamente andare in metró, ma non ci riuscirà perché è in corso uno sciopero. La sua reazione alla notizia (Ah, porci,… ah, cialtroni, …. io che ero tanto felice, beata e tutto, di scarrozzarmi in metró. Eh, c…”) ci fa capire subito che non è una ragazzina compìta ma, si direbbe oggi, è un personaggio politicamente scorretto. Non solo usa spesso un linguaggio scurrile, ma questo linguaggio le serve in genere per chiosare le frasi degli adulti che le si rivolgono come si dovrebbe fare con una ragazzina della sua età: esemplare a questo proposito il dialogo tra lei e l’autista Charles che le accenna alla chiesa des Invalides: ”…se vuoi vedere davvero gli Invalidi e la tomba vera del vero Napoleone, ti ci accompagnerò. – Napoleone un c…, – replica Zazie” (nell’originale il più efficace Napoleon mon cul). Si verrà a sapere che Zazie ha subito un tentativo di violenza da parte del padre, ed in quel frangente la madre lo ha ucciso spaccandogli la testa con un’ascia. Questo antefatto potenzialmente devastante per la psiche di Zazie è però narrato dalla ragazzina con leggerezza, quasi con orgoglio per il suo ruolo e per le conseguenze giudiziarie di cui è stata protagonista, tanto da insinuare nel lettore il sospetto che sia una storia inventata per attirare l’attenzione. Questa incertezza, questa ambiguità delle situazioni narrate è, come vedremo, secondo me una delle chiavi di interpretazione del libro. Ancora, durante la sua fuga mattutina per le vie di Parigi Zazie non esita ad additare alla folla come pedofilo il buon Turandot che voleva riportarla a casa. Zazie è l’elemento disturbante, che con il suo modo di fare, con il suo porre domande dirette e chiedere sempre di vedere ciò che dicono gli adulti, con il suo servirsi dell’arma di una innocente spudoratezza smaschera le convenzioni del linguaggio e dei rapporti sociali, ridicolizza il mondo artefatto degli adulti, mettendoli a nudo per ciò che sono.
I principali personaggi adulti che appaiono nel romanzo sono infatti tutti caratterizzati da una qualche forma di ambiguità o di insufficienza rispetto al loro ruolo sociale. Lo zio Gabriel, che fa il danzatore in un locale per gay, è forse omosessuale, ma lo nega recisamente; Charles, il suo amico tassista, non conosce i principali monumenti di Parigi; Pedro / Trouscaillon (che si presenta nella storia anche con altri nomi e personalità) non si sa chi sia e cosa davvero faccia nella vita, (ad un tratto commenta disperato ”E’ me, è me che ho perduto”). La dolce Marceline, moglie di Gabriel, alla fine del libro diventerà Marcel; la vedova Mouaque è alla disperata ricerca di una purchessia storia sentimentale, e farà una assurda fine; la madre di Zazie ha forse ammazzato il marito.
Il microcosmo di relazioni costituito da Gabriel, Marceline e dai loro compari, a sua volta piccola parte del grande microcosmo umano costituito da Parigi, si regge sulla parola, ma su una parola che è codificata, artificiosa (metalinguaggio, dice Roland Barthes) che non esprime le cose, ma solamente le rappresenta, quando non rappresenta unicamente sé stesso. Le relazioni tra le persone non cercano di sciogliere le ambiguità di cui sono infarcite, ma si basano sulla chiacchiera (”Chiaccheri, chiaccheri (sic!), non sai far altro”, ripete monotono Laverdure, il pappagallo – filosofo del barista Turandot). E’ solo Zazie, che usa un altro linguaggio, che si incunea in questo microcosmo come un granellino di polvere in un ingranaggio apparentemente perfetto, che vuole sempre scoprire il significato vero delle parole, ad essere in grado (spesso con quel 'mon cul') di smascherare la convenzionalità e la superficialità della comunicazione; ne farà esplodere tutte le contraddizioni, sino all’assurdo (ma solo apparentemente) show-down finale, nel quale emerge chiaramente la repressione dell’ordine costituito rispetto ad ipotesi di sovvertimento dei codici di comunicazione. E’ infatti ad esempio solo dopo che il ciclone Zazie si è abbattuto su quel microcosmo che la dolce Marceline sarà riconosciuta per quello che è, per Marcel.
Ecco che quindi in 'Zazie nel metró' il il linguaggio, oltre che essere un modo per esprimere la storia narrata, è esso stesso oggetto della storia, mezzo attraverso cui passano i grandi enigmi che questa storia ci consegna. Queneau usa uno specifico mezzo espressivo (il suo linguaggio) per parlarci di costruzioni sociali e relazioni personali fondate sul linguaggio e sul suo uso sociale, e che attraverso un diverso uso del linguaggio possono essere analizzate e messe in discussione.
Zazie però non andrà nel metró: la messa a nudo delle ambiguità delle relazioni nel piccolo gruppo non è sufficiente per destrutturare la grande costruzione artificiale di rapporti sociali incarnata dalla grande città, che continuerà come sempre ad aggiungere artificialità ed ambiguità a sé stessa. La battuta finale di Zazie alla madre che le chiede cosa abbia fatto in quei due giorni: ”sono invecchiata”, sembra anzi volerci dire che non solo il moloch parigino ha già assorbito la sua irregolarità, ma che essa stessa sia stata inevitabilmente normalizzata da forze senza dubbio incommensurabili con la sua pur meravigliosa freschezza.

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Zazie nel metrò 2015-11-27 18:51:33 P.P.
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P.P. Opinione inserita da P.P.    27 Novembre, 2015
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Charles attend - charlatan

Sensationnel. Nel senso proprio del termine di «irretire i sensi», con parole che sono sensazioni, suoni, immagini.

Se mi aveste chiesto cosa avessi appena finito di leggere, dopo aver sfogliato l'ultima pagina, non avrei avuto idea di cosa rispondere. Bè certo è la storia di una bambina, che poi proprio bambina non è, diciamo che è la storia di Zazie nel metrò. Che poi Zazie nel metrò non ci entra affatto per colpa di uno stupido sciopero, però in fin dei conti la vita è un po' un metrò, sempre in corsa coi suoi binari e le sue stazioni, e i suoi passeggeri... ah i passeggeri, ce n'è d'ogni sorta, ognuno diretto da qualche parte o da nessuna parte, e Zazie ne incontra tanti di passeggeri della vita. Alcuni talmente strambi e originali, che non ce li si immaginerebbe nemmeno, tra improbabili "artisti" e tassisti un po' smarriti, turisti creduloni e ambigui questurini... eppure Queneau fa intendere che la realtà alle volte è stramba tanto quanto la finzione, se non più e che alla fine o l'una o l'altra, non c'è poi tutta questa differenza, e si possono mischiare e separare un po' a proprio piacimento. E' questo che credo di aver letto in fin dei conti.

Poi c'è lo stile. Ah, lo stile di Queneau è sorprendente, trasforma in inchiostro la realtà in tutte le sue forme, con espressioni colorite e disinibite ("Non c'è nulla di sconcio, è la vita"), parole altisonanti e sonanti ( dal "Quelkaidettòra" all'interrogativo "Checcè?"), che colorano in maniera inaspettata e vivace l'intera storia. E' l'applicazione di quanto lo stesso Queneau ha teorizzato negli "Exercices de Style", magistralmente tradotti in italiano da Umberto Eco: la lingua viene plasmata e modellata a piacimento dello scrittore e ogni espediente è lecito, che sia un neologismo, l'unione di più parole, una trascrizione fonetica un parabolico gioco di parole o checchessia!

In conclusione, un'opera originale e fenomenale, un vero e proprio esperimento letterario, senza dubbio andato a buon fine. Unico mio rimpianto è di non aver potuto gustare il testo originale in francese, per ovvie ragioni "glottiche", ma le traduzione è risultata ugualmente più che valida.

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Zazie nel metrò 2015-11-02 06:34:58 Natalizia Dagostino
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    02 Novembre, 2015
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Zazie e Parigi

“…perché non si dovrebbe sopportare la vita quando basta un nulla per togliervela? Un nulla la mena, un nulla l’emana, un nulla la mina, un nulla l’allontana. Chi altrimenti sopporterebbe i colpi della sorte e le umiliazioni d’una bella carriera, gli imbrogli dei droghieri, le tariffe dei macellai, l’acqua dei lattai, i nervi dei genitori, le furie dei professori, gli strilli dei sergenti, la turpitudine degli assicurati, i gemiti degli assassinati, il silenzio degli spazi infiniti, l’odore dei cavolfiori o la passività dei cavalli di legno, se non si sapesse che la malvagia e proliferante condotta di poche infime cellule (gesto) o la traiettoria di una pallottola tracciata da un anonimo involontario irresponsabile potrebbe venire inopinatamente a far sì che tutti quegli affanni svaporassero nell’azzurro del cielo?” p.89

A Parigi la prima volta, Zazi non salirà mai sulla métro ma volendo e tentando di prenderla incontrerà personaggi surreali e stravaganti. Due giorni veloci di impertinenze e parolacce mescolate ad adulti d’infanzia e a bambini di saggezza.

Con il linguaggio derisorio e le trascrizioni fonetiche, chi legge vive episodi surreali accanto a persone libere, gioiose e tristi che accolgono le ore con leggerezza e intensità. L’esistenza come una filastrocca: la rima l’aspettiamo e ugualmente sorprende sempre.

“L’essere o il nulla, ecco il problema. Salire, scendere, andare, venire; tanto fa l’uomo che alla fine sparisce. Un tassì lo reca, un metrò lo porta via, la torre non ci bada, e il Pànteon neppure. Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un’ombra (incantevole), Zazie il sogno d’un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota (oh! mi scusi)…” p.67

Alla scoperta delle varie espressioni di sé, i numerosi , ogni persona incontra la sua parte Zazie: irriverente, drammatica, ironica, scostumata e linguacciuta - ricordo il rimprovero paterno! –
- Allora, ti sei divertita?
- Così.
- L’hai visto, il métro?
- No.
- E allora, che cosa hai fatto?
- Sono invecchiata

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