Poesia Poesia italiana Canti celtici
 

Canti celtici Canti celtici

Canti celtici

Letteratura italiana

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Il volume contiene una prefazione di Patrizia Garofalo. Davanti ad un mondo tramontato, la dolorosa meraviglia dell'autore trova un originale riequilibrio nel sogno e nella sua permanenza sostenendo con intensità empatica l'irrazionalità del vagheggiamento come unica soluzione al vivere. Profondamente attaccato alla sua terra solitaria, estesa, nebbiosa, percorsa da canneti e barene e stagni e alberi secolari, l'autore la ripercorre nelle sue liriche con la precisione di una memoria che non stacca mai sia nella ritmica del canto, sia dalla luce, elementi dominanti della silloge (dalla prefazione di Patrizia Garofalo).



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Canti celtici 2008-08-31 18:58:22 Mela Mondì
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Opinione inserita da Mela Mondì    31 Agosto, 2008

Quando è poesia

“Se quando leggo un libro,ho l’impressione che mi si scoperchi il cranio,allora so che quella è poesia. E’ l’unico modo che io conosca di avvertirne la presenza.” Così diceva Emily Dickinson e questa è l’impressione che ha suscitato in me la lettura dei “Canti Celtici” di Renzo Montagnoli

Poesia istintiva ed immediata,grappoli di parole scritte quasi con la segreta speranza di trovarne un giorno alcune magiche in cui fondere versi come

”solo silenzio,”nel buio assoluto”, “nel tempo ormai finito.” per ascendere alle vette del’arte.



Non si può in tale contesto affermare che Montagnoli neghi alla sua poesia la concretezza ,quella concretezza che richiama alla mente il mito di Anteo, invincibile fino a quando rimaneva a contatto con sua madre,la Terra.

“zoccoli di cavalli”,”mantelli di ragnatele”,”un piccolo scavo”….

Questo contatto con la Terra permette al poeta di comunicare la profondità del suo sentire, il senso di appartenenza alle radici che non è sprovveduta intuizione dei sensi ma un dare all’esperienza quotidiana, nell’ambito del binomio kantiano spazio tempo,una passionale consistenza corporea.



“Sciolti i capelli,

scosso il capo,

in riflessi ondulati di luce.”



Il poeta si muove sempre entro i limiti della sua anima nella quale il passato ed il futuro,la memoria e la curiosità si fanno domanda ”come sarà….fra mille anni?” diventando i poli di una dialettica infinita, a volte corrosiva del presente, dello “esistere qui e ora”, se “in mezzo” non scorresse “lento il fiume” eracliteo che trascina le sue acque verso il luogo del riposo.

Così egli gioca con il tempo facendo della memoria quel serbatoio di eternità che spiega il futuro e non si accorge che il suo presente è nei disegni della poesia celtica,nei ricordi che si fanno pensieri mentre il cuore si gonfia di nostalgia.

Cuore e mente si ergono a testimoni del presente. Ed allora i versi diventano inni alla vita che pulsa nell’amore.

L’amore non ha orologio ,né calendario. Esso può anche svanire al canto del gallo lasciando al fondo dell’acqua che scorre “uno spesso strato di limo”,la “ninfa” può svanire come nebulosa illusione ma l’amore resta l’unico eterno presente perché esso è un “sentimento senza tempo”,”un incontro che non vuol terminare”.

In questo sillogistico gioco con il tempo forse il poeta vuole dirci che il presente è amore, ma se l’amore è eterno ,il presente è l’eternità.

Tra “fatti d’arme”, “barbe irsute”, “occhi iniettati di sangue”, tra l’autenticità dell’ispirazione e l’incanto della nostalgia il poeta cerca qualcosa che lo obbliga ad analizzare le azioni compiute con uno”esprit de finesse” che andando “oltre ogni logica” suscitano l’inquietudine della ricerca che ci costringe a pensare con lui”come sarà il futuro?” la cui risposta il poeta la trova soltanto nel passato. Forse il poeta,come l’uomo di oggi,cerca nel passato una risposta alle domande su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo



Se la ricerca di Montagnoli, tra elegia e riflessione, potrà farci ricordare che il “vello d’oro” ha la sua sede nel passato quando gli Dei si sono umiliati fino a farsi creature terrene che soffrono,sognano,si illudono credo che i “Canti Celtici” abbiano realizzato la loro mission.

Ma il presente? E’ forse il luogo ed il tempo dell’esilio, delle chitarre mute?

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Canti celtici 2008-08-31 04:24:48 Laura et Lory
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Opinione inserita da Laura et Lory    31 Agosto, 2008

Un monito forte

…s’affacciano nella nebbia che si dirada



Per un ultimo sguardo a un mondo



Che non è più loro.



A una terra dal futuro senza memoria (Canto celtico)







…avanzano a riconquistare il ricordo di un’epoca passata,



che solo il sogno sa vedere e capire (Guerrieri sull’acqua)







Corre l’uomo senza avvedersi del presente,



dimentico del passato, orfano del futuro (I segni del tempo)







Erano uomini vissuti prima di noi,



il seme di queste piante



che troppo presto dimenticano le radici



e vogliono correre verso il nulla (Il mormorio del vento)







Leggere Canti Celtici è un’esperienza particolare soprattutto per chi, come noi, ha frequentato poco la poesia, fermandosi all’esperienza di tanti anni tra liceo ed università dove il componimento poetico era studio e riflessione su un autore, un’epoca, un particolare momento storico. La silloge di Renzo Montagnoli rappresenta un percorso che, non diversamente da un’opera di narrativa, ci racconta il buio del presente attraverso una serie di inquadrature piene di suggestione. E di rimpianto.



Nebbie, brume, fiabesche apparizioni, il suono distante di cornamuse, quello più vicino della cetra e lo sciabordio delle acque del Po veicolano una denuncia forte, amara, mai rassegnata. La denuncia di un mondo, il nostro, che nell’ansia di correre in avanti ha dimenticato l’importanza di guardarsi indietro. Un mondo che ha rinunciato alle proprie radici percependole come intralcio ad un progresso eletto a totem unico ed indiscusso. Un totem senza memoria.



Ognuna delle ventidue poesie composte da Renzo è un’invocazione a riappropriarsi di quella memoria, la sola in grado di farci comprendere ciò che siamo oggi, ciò che diventeremo domani.



Un monito forte che passa attraverso le strofe di Il futuro nel passato:



Chi ignora il passato, chi non s’accorge del presente,



passa senza lasciar traccia.



Ma quelle genti



Che già calpestarono il verde di questi prati,



se pur nel sogno, rivivono.



La memoria di chi fu



Traccia la strada del futuro.



Per noi che amiamo la storia e che abbiamo dedicato molte delle nostre pagine a raccontare il passato, Canti Celtici è stata una lettura incoraggiante. Come scoprire che un amico tanto più saggio di noi condivide i timori per un’epoca, questa, che corre verso il crepuscolo invece di cercare una nuova alba.

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Canti celtici 2008-04-30 21:44:47 Sabrina Campolongo
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Opinione inserita da Sabrina Campolongo    30 Aprile, 2008

Fra passato e presente

Squarci di luce nel buio della notte,



zoccoli di cavalli al galoppo,



mantelli di ragnatele tessute dal tempo,



rivivono leggende sepolte nella terra nera.







(da Il futuro nel passato)







Fermo restando ciò che ho detto più di una volta, e che continuo a sostenere, cioè che le poesie vanno lette, meglio se recitate ad alta voce – in modo da permettere alle parole di infilzarsi come spilli nella pelle, o di accarezzarci, ora leggere, ora decise, imperiose – che le poesie ci devono parlare, e non siamo noi che dobbiamo parlare di loro, mi sembra di aver colto, in questi versi che ho trascritto, lo spirito della silloge Canti celtici dell’amico Renzo Montagnoli.



Una poetica “classica”, direi, la sua, il cui punto di forza, – o meglio, quello che io ho apprezzato maggiormente e che mi è arrivato con maggior forza – sta nel legame stretto, immediato, concreto, che Montagnoli riesce a tessere tra passato e presente, e lo fa restando saldamente ancorato ai luoghi.



I luoghi che rimangono, alcuni quasi immutati, testimoni muti di passate vite, passati amori, errori e orrori anche, ciclici come ciclica è la vita, la terra che da sempre beve il sangue, che si nutre delle ossa dei morti e che ci restituisce i suoi frutti.



I luoghi che ritornano, luoghi liquidi (di fiumi ma anche di nebbie), verdi di canneti, neri di terra grassa, dorati di grano.



Ho apprezzato anche le foto, inserite tra le pagine: brumose, elegiache, senza tempo come lo spirito di questi versi. Di più non voglio metterci di mio. Vi regalo un altro passaggio, che io ho trovato particolarmente evocativo e denso.







Morti ormai tutti gli dei,



dimenticati per uno solo,



resta lui a scorrere silente,



tranne il mormorio dell’acqua



contro le rive verdeggianti.



(da Il fiume)

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Canti celtici 2008-02-11 12:56:17 Carlo54
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Carlo54 Opinione inserita da Carlo54    11 Febbraio, 2008
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Statico e involuto

Una scrittura di sentimenti pregevoli ma questo non basta a farla diventare poesia. La poesia è ben altro e non penso sia giusto far credere il contrario. Per questo non mi sento onestamente di consigliare il libro nonostante provi una forte simpatia per l'autore. Se avessi scritto un libro io preferirei una brutta verità ad una bella bugia.

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Canti celtici 2007-10-22 13:09:54 Fattore
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Fattore Opinione inserita da Fattore    22 Ottobre, 2007
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Passato e presente

Il respiro è pagano. I versi s’aggirano nostalgici intorno alle statue degli antichi dei, ne blandiscono le sembianze umane, gonfi di rimpianto per l’umanità che accendeva quelle forme divine. Nella poesia-preghiera AL DIO MORENTE i versi enumerano i contrasti tra i Dei e l’unico Dio: “Scivolavi, allora, nel letto d’argilla, / riposavi le ore del buio, / ti assopivi insieme a noi.” Mentre il Dio che verrà è “un’immagine vuota / di cui non udirò il respiro, / né potrò toccare.” L’intangibilità divina è un postulato che soddisfa il filosofo o il teologo, il poeta, divinatore d’altri mondi, sente il bisogno d’un contatto carnale col creatore.

Ogni poesia ha la forza di ricreare mondi in cui il lettore può trovare suggestive sensazioni evocatrici di propri latenti stati d’animo. Queste poesie fanno rivivere i riti, i costumi e le divinità di un popolo dedito alla caccia più che alla pastorizia: i Celti, abitanti la pianura padana, terra del poeta. Risaltano nei versi i guerrieri orgogliosi, le scene di battaglie, la cruenta ferocia: “Scendevano la valle, / un’orda selvaggia, / le barbe irsute, / gli occhi iniettati di sangue.” (Da LA GUERRA). Ma anche l’intimo incanto di famiglie raccolte “Fra le ombre del fuoco / che lento si spegne nel camino / l’ascolto della voce del nonno / che racconta storie e leggende / di un tempo che fu.” (Da LA FAMIGLIA). Riviviamo usanze ed esistenze, come in un’epopea, che tuttavia predilige atmosfere brumose ed umide penombre. C’è poco sole in queste poesie, pochi svolazzi d’uccelli; abbondano invece le acque col loro scorrere notturno fra salici e canneti agitati da un vento “che scende dal nord”, fra “voci smorzate, / il tono sommesso, / quasi una preghiera / rivolta a Dei ormai sordi.”

La poesia che qui si legge ha toni smorzati, per ripetere le parole del poeta, evocatrice di un mondo perduto, rivisitato con quieto rimpianto e sentito in contrasto col mondo moderno rumoroso e caotico, “senza memoria”. E’ una poesia da godere così come si gode lo scorrere placido di un fiume in una notte di luna, fra canneti e armonie soffuse.



Luigi Panzardi

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Canti celtici 2007-10-22 08:48:37 Carlo Alzani
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Opinione inserita da Carlo Alzani    22 Ottobre, 2007

Un poema stupendo

Un viaggio nel sogno, fra presente e passato, con visioni che sembrano quadri dei grandi della pittura. E' un'emozione continua, verso dopo verso. Non ho mai letto niente di simile, così bello che alla fine ti viene voglia di ricominciare dalla prima pagina.

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Canti celtici 2007-10-18 18:55:04 Cristina Bove
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Cristina Bove Opinione inserita da Cristina Bove    18 Ottobre, 2007
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Un'opera sinfonica

Nel suono di un’ arpa ho letto i “Canti celtici” di Renzo Montagnoli, vibranti della stessa intensa musicalità.

E’ l’anima del poeta che risuona in una sorta di incantamento, attraverso le voci che Renzo riesce a dare ai personaggi di un antico mondo affascinante, pervaso di mistero.

Ciò che il poeta riesce a comunicare con i suoi versi ricchi di lirismo e carica emotiva, travalica lo spazio ed il tempo, trasporta su ali di pura poesia.

Già dal primo canto si viene catturati dagli arpeggi che sembrano provenire dalle parole…

“Guerrieri sull’ acqua” evoca un paese notturno popolato di elfi e silfidi.

“Il lungo fiume” con la sua malinconica rassegnazione all’oltraggio di questa nostra attuale, cosiddetta, civiltà, ci sorprende assorti nel suo fluire.

“La fonte amica” è una vera fonte di rapimento, quasi ci si può specchiare nella luce del plenilunio, quasi vi ci si può immergere.

E come non restare ammaliati da “In mezzo scorre il fiume”?, La figura risaltante, che parla in prima persona, partecipe della natura, consapevole del breve arco che si percorre vivendo. Bellissima la chiusa.

“Il mormorio del vento” così evocativa, “…erano genti che calcavano quest’ umida terra…Non uomini, oggi, ma spettri.” Anche qui splendida chiusa.

E che dire della suggestiva, in qualche maniera visiva, “La ninfa del lago”? Si rimane in attesa, sperando nella fantastica, possibile riapparizione all’alba…”che già si annunciava con frecce di luce”.

“Musica e polvere”, qui Renzo riesce letteralmente a trascinarci nello scorrere del tempo, che tutto sgretola fino alla chiusa, formidabile, come tutte le altre di questo immaginifico poeta.

“Posteri già nati senza memoria” è addirittura una raffica che coglie in pieno petto. E un senso di smarrimento pervade, con rassegnata malinconia, di fronte alla ineluttabile cancellazione delle umane radici.

“Eternità“ senza memoria, riflesso di un pensiero che abbraccia secoli e che, malgrado la polvere di ogni fine, non può che arrendersi alla forza dell’ amore che supera anche il tempo.

“Al Dio morente”, è una descrizione precisa e dolente di quella perdita di numi che, secoli addietro, erano percepiti vicini, a fare da tramite fra gli uomini e la natura, nei cicli ricorrenti e ineludibili della vita sulla terra, mentre oggi ci vede sempre più distanti, proni davanti a un Dio che abita i cieli ma nemmeno sa della nostra esistenza.

”Il Testamento” è un’ altra sentita e sottile interpretazione del poeta, è quasi scandita con i tempi del teatro tragico greco, immette nel monologo interiore dell’ uomo smarrito e impotente rispetto al mistero.

“Polvere”, e “Il futuro nel passato”, offrono, nell’ ossimorica visione, una scia di sogno, di nostalgica memoria.

La musica continua, con “Il sogno del vecchio”, per

“…Una cavalcata, l’ ultima, per un saluto,

un definitivo commiato,

mentre cessa del tutto il vento del tempo.

Ancor domani sorgerà il sole,

per altri riprenderà il cammino

per dove il vecchio è alfine arrivato.”

Qui finisce la musica e la lettura, ma si è ancora rapiti dalle pagine appena finite di leggere, non si riesce ad abbandonare la fatata atmosfera lunare, stillante di parole che fluiscono con l’ acqua.

La poesia di Renzo Montagnoli è contagiosa, ci si ammala di voglia di leggerne ancora, e se ne porta dentro, per sempre, l’ eco sospesa e sognante.

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