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La solitudine dei numeri primi
 
La solitudine dei numeri primi 2015-02-18 19:55:19 Daffadillies
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Daffadillies Opinione inserita da Daffadillies    18 Febbraio, 2015
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Troppo vicini e troppo distanti

Questo libro mi ha permesso di ritrovare fiducia nella letteratura moderna; dopo anni di letteratura classica ho trovato la profondità che cercavo.
Paolo Giordano, incredibilmente giovane tanto quanto sensibile, è una grande promessa. La Solitudine dei Numeri Primi è indubbiamente costruito su più livelli. Se vogliamo limitarci a vederne la superficie, troviamo innanzitutto la storia di due bambini che condividono inconsapevoli una solitudine così profonda da sfociare in comportamenti autodistruttivi: l'autolesionismo per Mattia e l'anoressia per Alice.
Purtroppo questi argomenti creano una spaccatura tra lettori che non conoscono né possono cogliere la difficoltà di queste problematiche e quelli che ne capiscono bene le dinamiche grazie alla conoscenza, diretta o indiretta, delle due questioni. Sarebbe opportuno, piuttosto che un atteggiamento difensivo, adottare l'accoglienza di fronte a questo libro: Giordano descrive i fatti non schermandosi ma da dentro. Questo può non essere immediato, non tutti sono tanto empatici da passare al livello più profondo di questo libro ove è possibile, quasi richiesto, il lasciarsi andare alle emozioni dei personaggi, parola dopo parola, e sentirle con il cuore.
Ancora più in fondo troviamo le dinamiche profonde di due famiglie con enormi lacune emotive, il silenzio, l'ignoranza dei genitori verso l'identità dei figli, è quasi tangibile. Dinamiche che non potranno che ritrovarsi nella relazione tra i due, Mattia e Alice, ormai diventati grandi. Due anime profondamente legate ma mai abbastanza vicine da toccarsi davvero; nessuno ha insegnato loro a sopportare la paura di perdersi, la grandezza del loro legame non basta quando la paura di sentirsi soli, insieme, è molto più grande.
Un libro, l'unico libro, che ho letto più volte, che mi ha toccato come nessun altro.
Giordano sa toccare corde diverse, quelle dell'incertezza, della paura, della sofferenza che nella nostra società sono spesso viste come demoni da evitare.
Questo libro resta nel cuore, c'è tanta verità, lasciatevi cullare.

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Commenti

6 risultati - visualizzati 1 - 6
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Rollo Tommasi
19 Febbraio, 2015
Ultimo aggiornamento:
19 Febbraio, 2015
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Ciao. Capisco e approvo il tuo sentimento positivo per questo libro, ma permettimi una riflessione.
La grandezza della letteratura è anche - vorrei dire: soprattutto - nel far immedesimare in un punto di vista chi quel punto di vista non condivide, o addirittura al quale non aveva mai pensato. Personalmente, non sono ebreo ma mi sono venuti i brividi per "Se questo è un uomo"; non sono deforme ma mi sono immedesimato nello struggimento del Quasimodo di Hugo o, se mi è permesso citare un film, del "The elephant man" di David Lynch; non sono un "sopravvissuto" (nè facilmente suggestionabile) eppure ho dovuto mettere mano ai fazzoletti mentre leggevo "La strada". Così come non sono autolesionista: eppure non ho capito qualcosa in più della problematica leggendo questo libro. Invece, pur non essendo nè un alcolizzato nè una prostituta, sono rimasto basito e commosso di fronte all'autolesionismo delle due sfortunate "anime gemelle" di "Via da Las Vegas" (perdonami: mi è venuto in mente ancora un film). Giordano è uno scrittore elegante, nulla da dire. Ma, quando dei libri non fanno totale breccia, oltre a pensare che i lettori non sanno immedesimarsi, bisogna domandarsi dell'altra possibilità: che sia l'autore che non ha saputo "spiegare". Tutto questo, lo ripeto, rispettando totalmente il tuo personale (e opposto) giudizio sul libro in commento. Però, forse, non è una questione di atteggiamento difensivo, come dici, ma solo l'essere di fronte ad un libro che spiega bene il problema a chi l'ha in tutto o in parte vissuto, e non a chi non l'ha fatto. Perlomeno anche questa è una possibilità.
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Daffadillies
19 Febbraio, 2015
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Ciao,
ti ringrazio per questa tua riflessione perché non è banale e, finalmente, posso confrontarmi con il "terzo" parere, fino a poco tempo fa non pervenuto. Mi spiego: su questo libro ho sempre sentito pareri opposti: è pessimo o è bellissimo... o bianco o nero.
Effettivamente mi ritrovo in quel che dici: è vero, la letteratura deve far immedesimare il più possibile ed è necessario un autore con grandi abilità per fare questo.
Ti do quindi ragione: Giordano non ha "spiegato" come avrebbe dovuto. Forse per la giovane età ha dato per scontate tante cose, come me, del resto, effettivamente svantaggiando quelle fortunate persone che non conoscono i sistemi del "farsi male", che sia fisico o mentale. Però devo dire che il mio parere rimane alto solo ed esclusivamente perché le parole sono coerenti con la problematica. Mi spiego meglio: questo tipo di problema appartiene spesso a persone evitanti, che hanno paura del mondo, che se potessero si nasconderebbero con tutte le loro forze e i filtri, la paura di dire di più, lo scegliere di tacere sono, a mio parere, IL sintomo più grande di queste problematiche.
Forse (qui faccio mea culpa) io sono oscurata dal mio percorso di studi in campo psicologico e per questo tendo a guardare la coerenza del contenuto con le scelte dell'autore.
Perciò ti dico che chi riesce a parlare dell'autolesionismo come viene fatto in "Via da Las Vegas" è già distaccato in qualche modo quel momento di vita. Ecco perché ho scritto che Giordano non scherma ma parla da dentro. Tu potrai dirmi "per forza parlano da dentro" e ti dico "sì, è vero" ma se io ti parlassi di me dieci anni fa, ci sarebbe molto più fuoco nelle parole OGGI che ho metabolizzato dieci anni di me.
Giordano invece, volente o nolente, riesce a parlare da autolesionista e da anoressico come se ce l'avessimo davanti nello studio a raccontarci della sua vita: tralasciando e silenziando un sacco di cose. La fuga perenne dal vivere è data dal non conoscersi per nulla, l'accettazione di sé è lontana anni luce, per questo la grandezza in questo libro la vedo nel fatto stesso per cui tu lo critichi (con grande sensibilità perché, per ora, sei la prima persona che mi fa questo appunto assolutamente corretto) ed è proprio l'abilità di esprimere quella grande emozione primaria quale è la PAURA.
Ti ringrazio ancora.
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Rollo Tommasi
19 Febbraio, 2015
Ultimo aggiornamento:
19 Febbraio, 2015
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Anche io ti ringrazio, Patrizia, visto che l'occasione per discorsi del genere su QLibri non capita tutti i giorni.
E' evidente che entrambi non mettiamo in dubbio l'importanza delle persone, la sensibilità di ciascuno, la paura e le paure, la... "diversità" (passami il termine, sempre molto delicato da pronunciare... ma a mio parere fondamentale), in qualunque modo essa si manifesti. E personalmente non metto in dubbio nemmeno la capacità di uno scrittore di raccontare di queste cose.
I miei dubbi riguardano piuttosto la capacità di... "tramandarle". Sono d'accordo sul fatto che Mike Figgis (regista di "Via da Las Vegas") racconti di due personaggi borderline dando un impressione di maggiore distacco (potrei spingermi a dire anche che il film è più superficiale, nel suo racconto, di quanto lo sia il libro di Giordano). Ma, anche ammettendo ciò, la mia domanda è: chi raggiunge il suo obiettivo? Chi prova a raccontare qualcosa dell'alcoolismo e della vita ai margini e fa passare una parte del suo messaggio? O chi prova a definire completamente l'anoressia e l'autolesionismo e non riesce a far passare alcunché?
Parlo da un punto di vista soggettivo, naturalmente, ma già so che la risposta è più che scontata: ciascuno di noi rimarrà della propria opinione, in quanto tu, dal tuo punto di vista (quindi, supportata dal tuo giudizio soggettivo) riterrai - giustamente, aggiungerei - di apprezzare un'opera nella quale ti sei "ritrovata" (se reputi che il termine non sia giusto, correggimi) rispetto ad altra che ti ha dato una sensazione di "distacco" dalla problematica trattata.
Il succo è proprio questo, secondo me: ognuno ha il suo giudizio.
Non migliorerà la situazione, per quanto mi riguarda, rileggere questo libro (che a suo tempo - un po' di tempo fa, a dire il vero) mi ha anche un po' irritato. Continuo a pensare che Giordano sia uno scrittore di buona eleganza e poca comunicatività; continuerò a preferire "Il nero e l'argento" (che ho anche recensito in precedenza) rispetto a "La solitudine dei numeri primi", sebbene nemmeno il primo mi sia sembrato un grandissimo libro.
Tutto ciò - mi permetto da aggiungere - da persona che ha avuto il suo periodo di buio ed è riuscita a farsi discretamente male (un male psicologico, però, non fisico come il protagonista maschile del libro di Giordano), in un periodo che (fortunatamente, devo dire) è stato abbastanza breve.
Ma, detto tra noi, chi non si è fatto del male entro i primi trent'anni della sua vita? Giorgio Bassani diceva (cito a memoria, ma, sono convinto, senza discostarmi troppo dal testo): "Bisogna morire almeno una volta nella vita. E allora meglio morire da giovani, quando si ha ancora tempo per recuperare". Ciao.
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Pia Sgarbossa
20 Febbraio, 2015
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Patrizia, a me questo libro aveva colpito per la profondità di sentimenti, ma , forse sarà stato il momento in cui l'ho letto, mi aveva trasmesso una gran tristezza e poca speranza, che , se non erro, ho intravisto solo alla fine...
Ciao, Pia
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Daffadillies
20 Febbraio, 2015
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Ti ringrazio di nuovo anche per questo commento.
Hai proprio ragione, hai interpretato bene le mie parole e l'opinione resta, davvero, sempre e comunque soggettiva. In base alle esperienze pregresse siamo più o meno vicini a un libro piuttosto che un altro. Ma anche questo è il bello, puoi dirla senza problemi la parola "diversità", se essa non esistesse... che mondo noioso sarebbe!
Anche io ho preferito "il nero e l'argento", molto più maturo e comunicativo, dunque ora penso di aver fatto bene a precisare che il legame a "la solitudine dei numeri primi" è sopratutto affettivo!!!
Meravigliosa la frase di Bassani che mi hai citato, non la conoscevo, incarna perfettamente uno dei miei pensieri, ed ecco come al mondo c'è sempre qualcuno che sa dire qualcosa che sappiamo in un modo che noi non sapremmo comunicare... tutto torna!
Buona serata
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Daffadillies
20 Febbraio, 2015
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Ciao Pia,
hai proprio ragione. E' un libro che io definisco molto "adolescenziale" perché rappresenta bene l'idea della tristezza e la mancanza di speranza di quelle persone che, abbandonate a se stesse, iniziano a conoscere la solitudine proprio in quel periodo così delicato e fragile delle nostre vite e... iniziano a combatterci. Poi le speranze tornano, come dici tu, verso la fine... come anche in questo libro!
Buona serata :)
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