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L'amore ai tempi del colera
 
L'amore ai tempi del colera 2013-06-21 16:54:37 Maso
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Maso Opinione inserita da Maso    21 Giugno, 2013
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La rivincita della prosa

Il mio agonizzante Zanichelli del ’59, con la copertina sdrucita e ormai staccata, risponde ai miei quesiti con pittoresco zelo d’altri tempi.
Recita:
POESIA - Arte del poeta. Arte del comporre, spec. in versi, rappresentar le cose a parole con bellezza e con varietà, in modo da produrre l’illusione del vero e il diletto.
Segue:
Componimento, spec. lirico o di non grande dimensione.

Da qui parte il ragionamento. Postulata la definizione canonica di poesia, cosa accade se ad un certo punto, il 6 marzo del 1927, nasce uno scrittore capace di sovvertire la natura di questo strumento espressivo tanto utilizzato dagli eruditi di ogni tempo? Il mio benevolo dizionario tace in merito, china la testa cartacea e mi lascia con le mie riflessioni, redivive dopo la lettura del mio secondo romanzo di Marquez, poiché naturalmente di lui si tratta.
Se penso che il mio rapporto con lo scrittore nasce da un fallimento non posso non ringraziare la Dea Bendata, e non quella “Incoronata” che vive attraverso questo romanzo, per avermi donato il necessario stoicismo nello scoprire un piccolo mondo parallelo in cui mi augurerei di poter metter piede almeno una volta nella vita. Questo primo fallimento, che dopo alcuni anni divenne un successo, fu “Cent’anni di solitudine”. Il secondo approccio è stato inevitabilmente migliore con “L’amore ai tempi del colera”. Ed è con questo che per la seconda volta mi sono fatto spezzare il cuore, senza il minimo dubbio che per mille altre volte lo porgerei senza indugio in attesa di vederlo lacerato dall’incontenibile flusso di poetiche evocazioni che solo questo autore è in grado di costruire. Non credo ci siano esempi appropriati cui paragonare l’abilità di Marquez in tutto il panorama della letteratura del Novecento, come non credo ci siano possibili definizioni per inquadrare la sua figura, l’unica, a mio avviso, che sia stata in grado di utilizzare la prosa per esprimere concetti e immagini esprimibili solo tramite la poesia. L’unico autore che sia riuscito a superare con il testo scritto il lirismo proprio della composizione in versi, con i propri schemi e i propri astrattismi. E’ dopo essermi accorto di questo che mi sono reso conto di quanto la letteratura proposta da Marquez sia, per certi versi, sovversiva. Sovversiva perché ribalta dei canoni, elimina alla radice dei luoghi comuni che esistono solo a causa della nostra incredulità di fronte a qualcuno che entra nella casa dell’invincibile, blasonato avversario e lo sconfigge nel suo stesso campo, in ciò che sa fare meglio e con una squadra meno prestigiosa. Se si parlasse in termini calcistici tutto ciò farebbe storia.
Come se non bastasse la maestria linguistica che, credo e spero, faccia scuola da più di mezzo secolo alle nuove generazioni di scrittori, è necessario rincarare la dose di idolatria sottolineando la bellezza delle trame che vengono narrate nei romanzi di Marquez. L’originalità dell’intreccio narrativo, con i soliti escamotage dal carattere onirico e immaginifico che non ne intralciano la verosimiglianza, è sicuramente un altro dei punti inossidabili che assicurano immortalità e piacevolezza alla lettura. Nel caso de “L’amore ai tempi del colera” nulla di più commovente si sarebbe potuto scegliere per raccontare il potere illimitato che l’amore esercita sulla natura umana. Se è vero che il numero 3 è quello che racchiude in sé la perfezione, allora è vero anche che questo è un romanzo perfetto, con il suo triangolo amoroso che dura il tempo di un’esistenza e incanta il lettore da altrettanti anni. Se in “Cent’anni di solitudine” era Ursula Buendìa l’incarnazione della potenza granitica femminile, qua occupa lo stesso ruolo la bellissima Fermina Daza, che, dopo un breve intrallazzo sentimentale con il timido spasimante Florentino Ariza, anacronistico giovanotto con una cultura di mediocri romanzi d’amore, decide di passare la propria esistenza al fianco di un uomo maggiormente benvoluto dal padre, l’emergente dottore Juvenal Urbino. Egli diventerà una personalità molto in vista nella comunità del Caribe, sarà fautore di una rinascita a tutto campo del territorio, traghettandolo verso la modernità del secolo appena sorto, e portando al proprio fianco la propria inseparabile moglie. Fermina Daza, però, non sa che alla morte del marito, tanto amato senza saperne i motivi, dopo cinquant’anni di matrimonio si presenterà a casa sua un uomo che tenterà di violare la nuova condizione di vedova. Quell’uomo è Florentino Ariza, che dopo mezzo secolo è riuscito a mantenere intatto, se non maggiorato, il primitivo amore che avrebbe voluto condividere con quella diciottenne ormai anziana. La distanza tra queste due realtà temporali viene colmata da Marquez con tutto il trascorso dei tre personaggi, che, nella buona tradizione tipica dell’autore, conducono vite meravigliosamente varie sotto il cocente sole del sud-america. Lì dove tutto profuma degli umori dell’estate, lì dove i mandorli in fiore sono testimoni di biglietti d’amore celati, lì dove la Compagnia Fluviale del Caribe manda i propri battelli a solcare le acque placide in cui prolifera in colera. Una delle più grandi storie d’amore mai raccontate ci viene messa a disposizione per rafforzare la nostra fiducia nel sentimento che, sebbene contaminato dalle necessità del corpo che chiedono di essere soddisfatte, riesce ad emendarsi e a mantenersi puro per raggiungere il traguardo tanto bramato.
Marquez questa volta è andato oltre, ha superato le architetture formali delle letterature e non solo si è affermato, a detta di molti, come il più grande scrittore vivente, ma lascia ai posteri una simbolica, ineguagliabile accademia di “arte del narrare”.

P.S. Caro Zingarelli, forse ti sbagli. Forse POESIA è la capacità di evocare il sentimento, poco importa che si tratti di versi o di prosa.

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