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I giorni di scuola di Gesù
 
I giorni di scuola di Gesù 2017-08-18 14:50:24 Vincenzo1972
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Stile 
 
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    18 Agosto, 2017
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Un altro Gesù

Meglio chiarirlo subito: Gesù non è il protagonista di questo nuovo romanzo di J.M. Coetzee, o perlomeno non direttamente.
Come già nel precedente romanzo dello stesso autore, L'infanzia di Gesù, il bambino che ritroviamo ora in età scolare si chiama David, mentre Simon ed Ines sono i suoi genitori o, meglio, i suoi tutori poichè David non è nato dalla loro unione: 'Ma io sono nato dalla pancia di Ines?'
Tuttavia, credo che proprio nel titolo, in particolar modo nel riferimento al nome di Gesù, sia la chiave di lettura di questo romanzo che definire sibillino sarebbe poco: se si leggesse d'un fiato, senza ragionare, senza soffermarsi sui dialoghi cercando di scovare possibili allusioni, questo libro potrebbe deludere tante aspettative.
E probabilmente se non fosse stato scritto da Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003, sarebbe passato inosservato e pochi avrebbero tentato lo sforzo mentale necessario per cogliere un messaggio, un significato più profondo tra le pagine del libro.
Ammesso che esso esista, poichè nessuno potrà confermare se esatta o meno la personale interpretazione che ciascun lettore potrà costruirsi (se non l'autore che dubito, però, potrà mai intervenire in soccorso).
A coloro che decidessero di intraprendere questa lettura suggerisco, quindi, di non lasciarsi sopraffare dalla sensazione di smarrimento, confusione e incertezza che vi attanaglierà dalla prima pagina sino all'ultima: a fronte di uno stile di scrittura essenziale, ridotto ai minimi termini ma assolutamente limpido, pulito, si percepisce sin da subito e quasi a contrasto la presenza, seppur sfuggevole, di un contenuto rilevante e di maggior spessore, mascherato da allegorie la cui esegesi è comunque soggettiva e non sempre immediata.
In quest'ottica, allora, la lettura del romanzo di Coetzee può risultare più interessante.
Personalmente, come accennato prima, ritengo fondamentale il suggerimento presente nel titolo, ossia il binomo Gesù-David che aleggia per tutto il romanzo.
D'altro canto, afferma Simon a proposito del piccolo David: 'i nomi non sono importanti, sono semplicemente una comodità, proprio come i numeri sono una comodità. Non c'è nulla di misterioso. Il ragazzo di cui stiamo parlando potrebbe anche chiamarsi sessantasei ed io novantanove. Sessantasei e novantanove avrebbero funzionato altrettanto bene, come David e Simon, una volta che ci fossimo abituati. Non ho mai capito perchè il bambino che ora chiamo David trovi i nomi tanto importanti, il suo nome in particolare'.
Il bambino, infatti, sa con certezza che David non è il suo vero nome e lo rimarca sempre ogni qual volta si presenta a qualcuno: 'Non è il mio vero nome'. Così come sottolinea sempre che Simon e Ines non sono i suoi veri genitori.
Simon infatti aveva conosciuto il piccolo David su una nave mentre sbarcava nella città ignota di Novilla e, pensando che si fosse smarrito, lo aveva accompagnato e guidato alla ricerca della madre, incrociando poi sulla propria strada Ines che a parere di Simon poteva essere la madre del bambino, pur non avendola mai vista.
Quindi un padre ed una madre per David scelti per caso e dal caso a Novilla. Come a Betlemme.
E nessuno di loro ricorda esattamente chi fosse e cosa facesse prima di giungere a Novilla su quella barca, hanno coscienza di una vita precedente a quella attuale, un'esistenza di cui però non portano alcuna memoria, se non la certezza che ci sia stata e che sia terminata prima del loro arrivo in barca in quella città:
"Varcare l'oceano su una barca lava via ogni ricordo e tu cominci una vita tutta nuova. E' così. Non c'è passato. Non c'è storia. La barca attracca al molo e noi scendiamo giù per la passerella e ci troviamo immersi nel qui e ora. Comincia il tempo. Cominciano a ticchettare gli orologi."
In un certo senso, David diventa un altro Gesù, profeta di una filosofia, di una teoria sull'esistenza umana che non può essere dimostrata ma solo accettata, come fosse una nuova fede religiosa.
Le analogie sono tante: come infatti non riconoscere nella spiccata intelligenza di David, nel suo acume fuori dal comune che lo porta a rifiutare i metodi di insegnamento classici della scuola pubblica, la stessa straordinarietà di Gesù quando dibatteva con i dotti del tempio? E lo stupore di Maria e Giuseppe dinanzi a quel comportamento così anomalo per un bambino non è forse lo stesso provato da Simon e Ines?
O come non riconoscere in Simon e Ines, quando decidono di abbandonare Novilla per evitare che David sia rinchiuso in un centro correzionale, la stessa premura di Giuseppe e Maria quando portano in salvo Gesù appena nato dalle ire di Erode?
E infine l'atteggiamento pietoso e comprensivo di David verso Dmitri, inserviente presso l'Accademia di danza e colpevole dell'assassinio della splendida maestra Ana Magdalena di cui era follemente innamorato, non è simile al comportamento così poco convenzionale e rivoluzionario di Gesù quando parla e porta conforto alla donna peccatrice e samaritana, facendo emergere un'ideale di giustizia e un metro di giudizio ben lontano da quello degli uomini?
Ma allora cosa vuole dirci Coetzee? Qual è il suo messaggio? La mia risposta è: ci chiede un atto di fede, un altro atto di fede, coraggioso e radicale come quello richiesto da Gesù ai suoi discepoli, quando ha proposto loro di dimenticare il passato, abbandonare tutto e tutti, anche la famiglia, per seguire lui iniziando una nuova vita in Dio.
E se siamo capaci di credere al Vangelo, se siamo capaci di interpretare le sacre scritture ed affidarci alla visione cristiana del mondo, perchè non accettarne un'altra, diversa ma forse simile nella sua astrattezza?
"Dal giorno in cui arriviamo in questa vita, ci lasciamo alle spalle l'esistenza precedente. La dimentichiamo ma non del tutto. Della nostra esistenza prededente ci rimangono delle tracce, non ricordi nel senso comune della parola ma quelle che potremmo chiamare ombre di ricordi. Poi, man mano che ci abituiamo alla nostra nuova vita, anche quelle ombre svaniscono fino a che non dimentichiamo del tutto da dove veniamo e accettiamo quella che vedono i nostri occhi come l'unica vita esistente. Il bambino, però, il bambino piccolo, porta ancora in sè l'impressione profonda di una vita precedente, ricordi di ombre che non ha parole per dire. E le parole gli mancano perchè, insieme al mondo che abbiamo perso, abbiamo perso anche la lingua capace di rievocarlo."

Questa concezione trascendente dell'esistenza umana, di ispirazione neoplatonica, che si pone come obiettivo il raggiungimento di un più alto livello di spiritualità per l'uomo, anche grazie alla pratica di arti nobili come la musica e la danza, viene enfatizzata dall'atmosfera quasi surreale che permea tra le pagine del romanzo.
Molte sono le domande, i dubbi sollevati dal piccolo David che coinvolgono ad ampio spettro vari aspetti della vita umana, la nascita, la famiglia, l'amore, la giustizia, la morte.
Tanti perchè a cui Simon, la sua guida, ancorato ad una visione sensibile e razionale della realtà, fornisce una risposta spesso evasiva e comunque insoddisfacente che l'autore rende ancor più misera e poco apprezzabile riferendosi a Simon sempre con un 'lui' - dice lui, Simon - accentuando così l'incertezza e la pochezza delle sue affermazioni.
Un monito, quasi, per chi si avvicina a questo romanzo rigido nelle proprie idee e con una mentalità poco aperta a nuovi orizzonti; occorre elevare la propria anima per entrare in sintonia con la musica dell'universo, e danzarla, come farà Simon:
'Lui obbedisce. Fa fresco nella sala; lui sente lo spazio, alto sopra la sua testa. C'è solo la musica. Braccia tese, occhi chiusi, ondeggia in un lento cerchio. All'orizzonte comincia a sorgere la prima stella.'

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