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Il mito di Sisifo
 
Il mito di Sisifo 2017-04-21 06:53:34 abby
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abby Opinione inserita da abby    21 Aprile, 2017
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L'assurdo (e come comprenderlo)

Camus viene da molti considerato un filosofo, e lo è, sebbene non potremmo definirlo "a tutto tondo". Intuisce molte cose interessanti, le analizza e le rende chiare. Ma spesso si avventura alla ricerca di una via di uscita, ricadendo nei pressi del punto dal quale era partito. Ma la cosa non è senza beneficio per il lettore che lo segue.
Ne Il mito di Sisifo, Camus affronta il tema dell’assurdo. Lo identifica e lo illustra utilizzando immagini e pensieri propri di personaggi di altre opere e dei loro autori.
Questo volo su paesaggi realizzati da altri autori, dei quali si evidenziano gli aspetti che contribuiscono ad una migliore comprensione dell’assurdo, è in sé di una piacevolezza unica, per quanto la materia non sia leggera.
Ma cos’è l’assurdo?
L’assurdo è l’incapacità dell’uomo di comprendere la vita, il non riuscire a darle un senso che non ricada in una qualche fede dogmatica.
L’assurdo si fa avanti nel momento in cui si inizia a pensare e più si vuole comprenderlo, per scacciarlo, più questo acquista forza.
Camus parte subito offrendo la soluzione che i matematici definirebbero banale: il suicidio. Lui stesso, però, non crede nell'utilità di questa soluzione la quale, comunque, ritorna utile per iniziare un excursus nelle stanze buie della vita.
Perché Sisifo?
Sisifo è il padre della presa di coscienza che porta alla comprensione dell’assurdo. Viene condannato dagli déi, per il suo comportamento in vita, ad una pena eterna che prevede lo spingere su per una montagna un grande macigno, che in cima dovrà lasciare affinché ritorni a valle, in modo che il tutto ricominci. Senza possibilità di posa o variazione. Camus lo sceglie come emblema della condizione umana per questo ripetere di operazioni senza alcuno scopo, né come fine esterno né come capacità di crescita personale.
La scena riporta alla mente quello che accade nel IV cerchio dell’inferno dantesco, dove gli avari e i prodighi sono costretti per l’eternità, a spingere massi. Anche qui non v’è redenzione, anche qui non v’è comprensione per chi compie il gesto che le azioni della vita sono inutili. Ma Dante non vuole che i dannati comprendano, vuole che a comprendere siano i lettori.
Camus si spinge oltre, rispetto a Dante. Il suo Sisifo è cosciente, durante la sua attività, comprende l’inutilità di quel che fa, l’assurdo di quel suo esistere. Mentre scende per la montagna può pensare. I dannati di Dante non pensano, non comprendono e lo spirito che li anima è lo stesso che li animava in vita.
Sisifo non è monito per il lettore, bensì emblema della vita che il lettore conduce e àncora cui aggrapparsi per iniziare a muoversi verso la lucidità.
Camus dona a Sisifo, e quindi al lettore, una via di uscita. Espone la sua idea a fine libro, quando chiede al lettore di soffermarsi sulla fase in cui Sisifo ridiscende lungo il fianco della montagna e, durante questo tempo, pensa a come uscirne. L’accettazione della sua condizione è la soluzione proposta, una scelta che è una ribellione contro gli déi, quasi un voler privare loro della soddisfazione di vederlo soffrire, un privarli della loro vendetta.
Ma la soluzione non ha alcun effetto su Sisifo e sulla sua pena, ma solo sul suo rapporto con chi gli ha inflitto quella pena, senza che il pensiero della controparte venga analizzato.
Questa soluzione non è banale come poteva esserlo il suicidio, ma è sostanzialmente assurda, come la vita che Camus ci racconta in queste pagine – ed è questo che conferisce valore all’opera. Altri professionisti del pensiero si sono soffermati sull’analisi della vita, evidenziando le pieghe dove il dolore tende ad accumularsi. Ma il voler trovare una soluzione è, spesso, il sintomo dell’incapacità di sopportare il peso della verità, non volendo ricorrere né al suicidio e non potendo ritornare ad una soluzione dogmatica, sia essa fede o filosofia di vita, dalle quali ci si era distaccati.

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