Chi ha ucciso Sarah?
Letteratura italiana
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Gli indifferenti
La legge parla chiaro: in caso di omicidio sono ugualmente colpevoli sia l’esecutore materiale del delitto, sia i mandanti, i complici, i fiancheggiatori.
Benché non punibili, da un punto di vista etico sono ugualmente degni di biasimo e reprimenda, anche senza conseguenze giuridiche, finanche tutti coloro che, da una morte tanto violenta quanto improvvisa, sebbene non ne siano causa nelle intenzioni, e nemmeno minimamente coinvolti, ne ricavino indirettamente qualche vantaggio.
Ecco, “Chi ha ucciso Sarah?”, questo bel romanzo dello scrittore ischitano-napoletano Andrej Longo, è un testo che forse si potrebbe etichettare a prima vista, già dal titolo, come un ordinario poliziesco, e però non lo è. O almeno non è solo il racconto di un delitto e delle indagini che comportano: Longo rappresenta molto di più, e questa sua esigenza di dire mostrando, di far riflettere raccontando, è una costante nei suoi lavori. La sua è una iconografia stringata dei tempi che viviamo, resa vivida, nei suoi testi con una prosa semplice, asciutta, sintetica, tanto diretta quanto tanto chiara ed esaustiva.
Quella di Longo è una lettura scarna di parole ma ricca di sottesi, a tratti dura e spigolosa, ci mostra un costume dilagante come non mai prima nei nostri tempi. Andrej Longo non racconta di omicidi, relaziona di uno e un solo omicidio principe, forse l’assassinio più efferato perpetrato in larga scala ai nostri giorni. Con una pletora di esecutori, molti di questi killer neanche consci del delitto che consumano pressoché quotidianamente, neppure realizzano il crimine di cui sono diretti esecutori. Questo misfatto così svelato è la disumanità.
L’inedia ed il disinteressamento nei confronti dei propri simili, il menefreghismo, la noncuranza, l’impassibilità davanti alle miserie, ai dolori, alle sventure dei propri pari.
Viviamo un’epoca povera di valori positivi, e di quanti li esercitano; le tecnologie informatiche, che nelle intenzioni dovevano avvicinare gli uomini tra di loro, annullando distanze fisiche e differenze, farli sentire uguali sotto uno stesso cielo, fianco a fianco, uniti e solidali nel nome delle dimensioni e dei talenti a letterale misura d’uomo, come la bontà, la comprensione, la compartecipazione, la tolleranza e l’indulgenza, in realtà hanno creato una progenie di persone rinchiusa ciascuna egoisticamente in un proprio mondo fasullo.
Un alveo limitato dai propri personali interessi e tornaconti, persone incapaci di dialogare con i propri simili guardandoli direttamente negli occhi, parlano con una macchina e diventano essi stessi una macchina, e perciò per definizione freddi, aridi, senza cuore.
Un chip, un calcolatore al posto dell’anima, che computa cosa conviene e cosa no, emette valutazioni di proprio comodo, semina freddezza, insensibilità, cinismo, spinge a chiedersi:
ne vale la pena? chi me lo fa fare? perché impicciarmi? perché prendersi briga e fastidio?
Fatte tali premesse, allora “Chi ha ucciso Sarah?” è una domanda la cui risposta non è interesse di alcuno, se non forse dei congiunti stretti.
Semmai, i più si dilungano ad insinuare il dubbio, maligno e crudele, che la vittima, per essere stata assassinata, qualcosa avrà combinato, magari se la sarà cercata invece di farsi gli affaracci suoi.
Il sonno della ragione, l’allontanamento ed il distacco tra simili, il raffreddamento dei sentimenti di amore, vicinanza, solidarietà, unione, ha generato generazioni di indifferenti, a paragone dei quali “Gli indifferenti” di Moravia buonanima ci fanno una bella figura.
L’agente di polizia Acampora, in servizio presso la squadra mobile di Napoli, è il prototipo del bravo ragazzo, nato e cresciuto in provincia, pochi grilli per la testa, buono d’animo e volenteroso, svolge il suo lavoro con la pacatezza di chi è nativo dei luoghi dove esercita il suo mandato, sa quando necessita intervenire con decisione e quando invece mostrarsi tollerante, con equilibrio e buon senso.
La sua esistenza si svolge come una normale routine, piccoli interventi di pubblica sicurezza quando di turno in servizio di pattuglia, o a sbrigare lavori d’ufficio, con i colleghi con i quali si rapporta con sano e amichevole spirito collaborativo.
Finché in un giorno di agosto inoltrato e di straordinaria calura, la sua volante viene allertata per un intervento, e scopre così personalmente l’omicidio di una giovanissima studentessa, la Sarah del titolo. Trucidata forse con un colpo in testa con un corpo contundente, utilizzando come arma residui ferrosi di pregressi lavori edili in corso nel cortile del condominio dove viveva la giovane.
Il ragazzo Acampora diviene adulto e poliziotto, si scuote nel profondo, sia per la giovane età della vittima sua coetanea, sia perché, nel suo animo ancora intonso dall’umano menefreghismo, è vivo e palpitante il sentimento dell’innata giustizia.
La scoperta del colpevole è per il giovane agente un’impellenza vitale, ha connotati precisi di ricerca di un proprio equilibrio interiore, quasi il risveglio del tabù ancestrale per cui privare la vita di un proprio simile è sempre uno sfregio all’ordine morale naturale delle cose.
Ancor di più se trattasi di una giovane piena di vita, di interessi, di allegria e voglia di fare e di partecipare gioia dell’esistenza ai suoi simili con genuino candore, come si rivelerà essere dalle indagini. Questo omicidio per Acampora è un insulto, una crepa, un guasto etico che va assolutamente riparato, va restituita dignità alla vittima privata del suo vivere, e questo può avvenire solo indagando ed assicurando il colpevole a rendere ragione della sua colpa.
Supportato dal suo superiore, che rivede nel giovane il suo stesso entusiasmo di agire prima che le traversie e le brutture della professione ne inaridissero lo slancio, Acampora si rende conto che l’assassinio, occorso in un signorile condominio della zona bene della città, può avere come colpevole solo un residente dello stesso condominio. Si trova davanti, come dire, un po' come un delitto della camera chiusa, il colpevole è tra i presenti, e solo tra quelli, nessun altro poteva invadere la scena del crimine in quell’ora e in quelle circostanze. La cosa perciò si fa difficile, si tratta di indagare tra insospettabili, professionisti di specchiata moralità, persone dell’alta società, di ceto agiato, perbene e di alta educazione, lontanissimi da motivazioni e occasioni omicide: e però il colpevole può essere solo tra loro.
Il finale è a sorpresa, sconcerta, fa riflettere, tuttavia pur essendo una finezza letteraria è certo sorprendente ma logico insieme, se solo si tiene bene in mente quanto è nelle intenzioni di dire dello scrittore. Intenzioni chiarissime, come ben si deduce dalle riflessioni di Acampora, durante il funerale della giovane Sarah:
“…ero andato perché uno non può campare così, facendo finta di non vedere quello che capita attorno…che solo delle cose mie mi interessava. E il resto niente. Come se non esisteva.”
Fin quando esisteranno persone come l’agente Acampora, però, ci sarà speranza per l’umanità.
Ad onta degli indifferenti.
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Una conferma
Credo che questo libro sia una bellissima conferma del talento di Longo dopo la sorpresa di "Dieci".
Uno stile unico (forse un po' ostico per i non napoletani, ma assolutamente fedele allo "slang" parlato) che permette di ricreare delle atmosfere che lasciano il segno.
Molto evocativo, le frasi suggeriscono più di quello che non dicano in maniera esplicita. Il libro può anche essere letto in chiave metaforica, come un'immagine di quello che la società napoletana ed italiana in genere è diventata negli ultimi anni. Solitudini ed indifferenza.
Ogni tanto emergono dalla corrente della storia principale dei frammenti che sembrano usciti da "Dieci", ma si tratta di bellissime divagazioni, il filo conduttore resta sempre ben saldo nelle mani dell'autore. Non tutti i personaggi sono integrati a perfezione nella storia, ma si tratta di piccolezze.
Ottimo libro, da leggere assolutamente.
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La scuola partenopea fa centro.
Abbiamo ricordato a scuola il centenario della morte (ottobre 1909) di Cesare Lombroso con l’ottimo romanzo, di Andrej Longo, per rigettare la fisiognomica, disciplina antichissima, tanto cara allo scienziato Cesare Lombroso.
Il romanzo di Andrej Longo è costruito con prosa asciutta e ironico, piglio giornalistico, che ricorda la migliore scuola partenopea da: Anna Maria Ortese ad Antonella Cilento.