Quo vadis? Quo vadis?

Quo vadis?

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Le vicende sentimentali del patrizio Vinicio e di Licia, figlia di un re svevo, sullo sfondo della Roma imperiale all'epoca delle persecuzioni neroniane contro i cristiani. Un magistrale affresco storico, il romanzo che fruttò allo scrittore polacco Sienkiewicz (1846-1916) fama mondiale e il premio Nobel (1905).



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Quo vadis? 2013-08-20 12:53:27 Todaoda
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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    20 Agosto, 2013
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Petronio e il massacro

Petronio e il massacro dei cristiani, queste in realtà le uniche due cose che si salvano di un romanzo talmente famoso d’aver fatto epoca ma talmente impregnato del gusto proprio di quell’epoca d’aver fatto ormai, irrimediabilmente, il suo tempo.
Impossibile infatti oggi giorno lasciar correre di fronte a quella ridondante retorica che sembra permeare ogni pagina dello scritto, impossibile chiudere un’ occhio di fronte a quell’ingombrante e predominate estremismo religioso che relega i Cristiani a non più savi portatori del “Verbo”, o per dirla più laicamente a: indiscutibili fautori di un processo di civilizzazione grazie al quale la società moderna ora può identificarsi come tale, ma a fanatici seguaci di un culto per il quale son disposti a subire pene inimmaginabili fino a giungere al sacrificio estremo, fino alla morte. Certo Senkievicz scrive di un'altra età, talmente lontana che sarebbe totalmente ingenuo pensare di paragonarla a quella attuale, e neppure a quella in cui fu creato il libro, tuttavia alcuni principi naturali, alcuni processi chimici e fisiologici, alcuni istinti, tipici della nostra specie, anzi di tutte le specie, di tutti gli esseri che si suole definir vivi, per forza di cose devono essere rimasti uguali negli anni, devono essere rimasti invariati, altrimenti l’uomo come alcuni degli altri animali si sarebbe estinto: parlo dell’ istinto di conservazione, parlo della capacità dell’essere umano di provare piacere e dolore, felicità e tristezza, paura e coraggio… Davvero all’epoca la vita, quella del singolo, dell’essere umano, dell’uno dei tanti, aveva minor importanza? Davvero il dolore, quello fisico e quello mentale del sapere che tempo un paio di giorni e si cesserà di esistere attraverso pene indicibili, valevano meno di un idea, un concetto, un credo? Certo a tutt’oggi si è testimoni di atti di grande eroismo o talvolta di grande pazzia (vedasi i terroristi che si fanno saltare) , ma sono gesta isolate di pochi e per questo son degne di nota, per queste sono degne di lode (o biasimo), ma qui si sta parlando di masse intere di comuni individui che accecati da un culto vanno ad immolarsi convinti della giustizia e della correttezza del proprio gesto! Senza dubbio in quell’epoca sarà avvenuto così, ma possibile che non ci fosse tra le migliaia di anime al patibolo qualche ripensamento, qualche dubbio, qualche incertezza? Possibile che siano bastate le parole di un uomo ispirato (Pietro o Paolo di Tarso) ad annullare ogni individualità, a dipanare ogni dubbio e a far sì che ognuno si gettasse tra le fauci delle belve, tranquillo, contento e felice? Poiché così li descrive Senkievicz i cristiani subito prima della carneficina.
Poco realistico, troppo romanzato, e ancora una volta troppo retorico. Non metto in dubbio la veridicità dei fatti (per quanto diversi storici abbiano più volte posato l’accento sulla poca congruenza delle date a cui si vuole far risalire i suddetti fatti e alla erronea collocazione geografica di certi personaggi) ma le modalità con cui si sono svolti, poiché se davvero all’epoca tutti gli uomini erano disposti a soccombere alle prime parole di qualcuno, vere ed ispirate che fossero, la nostra specie non si sarebbe perpetuata nei secoli e oggi giorno la terra non conterebbe i sei o sette miliardi (ammetto di aver perso il conto qualche anno fa) di persone che la popolano.
No, davvero eccessivo, troppo romanzato e troppo poco realistico, troppo prostituito alla moda dell’epoca, moda che evidentemente aveva bisogno di puri ed immacolati eroi, che aveva bisogno di assoluti, di nette divisioni tra bene e male, e, tra queste due opposte file, di trovare paladini a cui ispirarsi e sordide nemesi contro cui scagliarsi.
Nemesi per altro così altrettanto nette nella loro brutalità da assumere le sembianze di veri e propri demoni! Nella fattispecie i romani, la maggioranza di loro, almeno fino a quella sorta di conversione della loro coscienza che pare avvenire in ultimo allorché si stancano degli spettacoli circensi tra belve e cristiani. Come prima: possibile che i romani tranne pochi illuminati (tra questi Petronio) fossero tutti così avvezzi alla violenza, allo sterminio, e ai vizi di ogni sorta? Probabilmente sì, ma non c’era nemmeno un ripensamento? Non c’era nemmeno un ragionamento? Poiché se Sienkivicz ci dipinge i Cristiani come una sorta di ciechi seguaci del Vero e del Giusto, allo stesso modo ci dipinge i romani come il loro opposto: dei seguaci del falso e dello sbagliato, come delle insulse macchiette pronte a sterminare le masse pur di concedersi qualche stupido vizietto. Nerone su tutti. D’accordo la storia vuole che fosse un potente criminale egocentrico (perfino ai giorni nostri se ne trovano ancora di questi uomini) ma possibile che fosse così innamorato di se stesso e della sua presunta arte oratoria da bruciare la propria città e con essa il proprio popolo (e molte delle sue fonti di reddito quindi) solo per poter declamare qualche verso poco ispirato. Ok, sarà stato anche lui che aveva ordito la distruzione di Roma ma è davvero così credibile quella edonistica motivazione che lo vuole carnefice e piromane solo per dar nutrimento alle proprie corde vocali? Non ci sarà stato qualche altro interesse sotto, qualcosa che lo riguardava da più vicino, qualcosa che implicava magari anche il suo “stato maggiore”, i suoi collaboratori? Roma che brucia e Nerone che canta, vero, ce lo ripetono fin da bambini, ma chiunque con un po’ di buon senso capisce che è un’ estremizzazione, una sorta di parabola, riportarlo testuale, come se fosse la più pura delle verità nel libro non solo è mancanza di obbiettività, ma anche eccessiva faciloneria.
Superficiale, banale, poco obbiettivo, estremista, questo è in realtà Quo Vadis. E allora cosa si salva di questo libro? Quale fu il motivo che valse a Senkievicz il premio nobel?
Come si diceva all’inizio si salvano solo Petronio e il massacro dei cristiani. Il primo, l’esteta, perché Senkievicz con lui ha creato una figura meravigliosa, il primo e unico uomo moderno: intelligente, savio, scaltro, furbo, che si concede ai piccoli vizi ma in maniera misurata, che non diniega qualche mezzuccio pur di ottenere qualche vantaggio, senza mai cadere però nella subdola codardia; anzi al momento cruciale dimostra di essere il più coraggioso di tutti, persino dei cristiani, poiché loro sono confortati/accecati dalla fede mentre lui è solo, niente e nessuno lo rassicura e nella sua moderna individualità va incontro al proprio destino da vero uomo, consapevole di aver fatto tutto ciò che poteva fare, consapevole di aver vissuto a suo modo una vita senza rimpianti e di averla vissuta degnamente. Il primo dunque è lui poiché ogni volta che compare è una sana boccata d’aria nella latente pazzia generale di un mondo fittizio, il secondo è invece il massacro dei cristiani, poiché qui Senkievicz da il meglio di sé e pur infarcendolo di retorica e asfittico eroismo riesce ad essere talmente realistico, talmente crudo, violento e vivo da riuscire ancora oggi ad impressionare, a smuovere qualcosa nell’animo dei lettori che, empaticamente, leggendo delle pene che devono subire quei poveracci, ne rimangono coinvolti e addirittura infastiditi. Riuscire in una simile impresa al giorno d’oggi, quando sia su carta stampata che su pellicola (e ahimè talvolta anche nella realtà) siamo sommersi da sangue e violenza, è assolutamente una cosa degna di nota.
Petronio e il massacro quindi, purtroppo però oltre a questo non c’è molto altro sia sul piano dei contenuti che dello stile. Certo non va dimenticato che recensendo Quo Vadis non si può trascendere dal gusto dell’epoca e che collocato nel proprio ambito storico si è di fronte alla prima opera di questo genere, un’ opera che come si è già detto valse all’autore il premio Nobel per la letteratura, un’ opera che a suo modo ha contribuito a plasmare l’immaginario collettivo di generazioni di persone: oggi giorno senza la romantica e retorica ingenuità di Quo Vadis non avremmo molti dei colossal del cinema antico e moderno e neppure alcune delle più gettonate serie televisive, tuttavia il dubbio rimane: l’opera di Senkievicz ha plasmato l’immaginario di migliaia di lettori, spettatori e persone comuni, forse dell’intera umanità, ma così facendo non l’avrà anche per caso ingannato, non l’avrà per caso illuso?
Forse è così, forse no, non sta al sottoscritto stabilirlo, considerato quanto scritto finora sorge comunque spontanea una riflessione, anche se sarebbe meglio chiamarla una rivelazione: piatto, ingenuo, retorico, ma anche incalzante, romantico e audace, Quo Vadis, di Senkievicz, è senza dubbio il primo romanzo commerciale della storia.
Ognuno ne tragga le conclusioni che vuole…

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...altri romanzi storici, poichè comunque Quo Vadis è l'archetipo dell'intero genere.
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