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E le altre sere verrai?
 
E le altre sere verrai? 2014-01-22 21:19:49 drysdale
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drysdale Opinione inserita da drysdale    22 Gennaio, 2014
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Un quadro e un romanzo.

La trama.
Chatham, Cape Cod, cento chilometri da Boston, Massachusset. E’ una domenica sera di settembre. La stagione turistica è trascorsa e il “Phillies” è deserto.
“Phillies” è un bar con vista sull’oceano, piuttosto decentrato rispetto ai luoghi più elitari della zona. Ha preso il suo nome da quello dell’ormai anziana proprietaria e lo gestisce, di fatto, Ben, il barman.
La domenica sera, il “Phillies” può contare, comunque, su un cliente fisso. Louise ha 35 anni, un passato fallimentare di attrice e un presente di successo come scrittrice di opere teatrali. Ben e Louise si conoscono da nove anni: lo stesso giorno in cui lui prese servizio nel locale, lei vi mise piede per la prima volta. Da allora, il barman è diventato riservato testimone degli amori della ragazza e appassionato fan delle sue opere teatrali.
Questa domenica sera, Louise ha indossato il vestito rosso che più ama e che, come Ben sa, sceglie solo per particolari circostanze. E la circostanza è davvero speciale: Louise ha appuntamento con Norman, il suo amante, che le comunicherà, finalmente, di aver lasciato moglie e figli per vivere con lei.
Norman è sempre molto impegnato ed è un ritardatario cronico; tarda anche a questo appuntamento ma è consuetudine e non desta allarmi. Mentre Ben serve a Louise il consueto Martini, però, ecco fare il suo ingresso nel bar un cliente tanto noto quanto inatteso. Stephen Townsend è stato fidanzato di Louise per cinque anni, prima di tradirla con la sua migliore amica. I due si sono, quindi, lasciati; Stephen si è sposato e ha avuto due figli; Louise e Stephen non si sono mai più incontrati; sono passati, da allora, quattro anni.
Lui non è capitato, quella sera e in quel bar, per caso. Il suo matrimonio è fallito e spera di far resuscitare il rapporto con la sua ex.
L’apparizione di Stephen crea in Louise imbarazzo e nervosismo. Troppe ferite non rimarginate, troppo dolore perché l’incontro non risulti traumatizzante. Poche frasi; tanti ricordi.
Squilla il telefono di Louise. Norman ha parlato con la moglie; ci sono state scenate; questa sera non potrà venire all’appuntamento. “E le altre sere verrai?”.
(Con la trama, per ovvi motivi, finisco qui).

Qualche osservazione.
Come evidenziato dalla casa editrice, e rappresentato nella copertina del libro, Philippe Besson ha tratto ispirazione per questo suo racconto da un noto quadro di Edward Hooper, “The nighthawks”.
Il quadro è molto bello. Poiché, però, qui in commento c’è il racconto di Besson e non il quadro, devo dire che dal racconto non sono rimasto affascinato.
La storia, che si svolge interamente tra le quattro mura del bar e nell’arco temporale di poche ore, sembrerebbe ideale per una sceneggiatura teatrale. In realtà non si adatterebbe minimamente ad essa per il semplice motivo che nelle 158 pagine di testo sono presenti si e no una trentina di frasi virgolettate, tutto il romanzo essendo impostato sui ricordi e sulle sensazioni (inespresse) dei suoi tre protagonisti, Louise, Stephen e Ben. E le poche frasi presenti nel testo, quand’anche assumano la forma della domanda e della risposta, sono inframezzate da tante pagine che bisogna tornare indietro per ricordarsi l’oggetto di esse.
L’atmosfera è certo calda e, diciamolo, sofisticata. I due, poi, sono entrambi giovani, belli e affermati. Ma le loro elucubrazioni, “che dovrebbero far pensare”, sono talvolta discutibili, talaltra contraddittorie. Louise, p. 62, “E’ in questo che, talora, gli uomini sono più forti delle donne. Quando decidono di giocare con il loro desiderio, quando vengono colti dall’idea di costringerle ad accettarlo, quel desiderio, non c’è nessuno che sia bravo quanto loro. E’ una forza ineguagliabile degli uomini in simili casi”. Bah! Vogliamo parlarne?
E il rapporto extraconiugale, rispetto al quale l’autore non ha certo ecceduto in originalità? Sono storie sulle quali ognuno è libero di pensarla come crede, cercando di conservare, però, un minimo di coerenza. Che ne è della coerenza di Louise che dopo aver condannato come del tutto imperdonabile il peccato di “menzogna” (da parte di Stephen), non si pone minimamente il problema con riferimento al proprio rapporto con Carter, e tanto meno alle sue conseguenze. P. 90: ”Louise non crede minimamente al bel quadro prospettato da Norman: sa che ci saranno urla, ribellioni, implorazioni, grida, silenzi di rimprovero, occhiate di volta in volta cupe o seducenti, preghiere, bestemmie…”.
Però lei è al bar ad attendere la lieta novella.
Ma senza ulteriori interventi sul merito della storia, vorrei esprimere una personalissima opinione sullo stile narrativo di Besson. Io l’ho trovato di una lentezza tremenda, in certi momenti insopportabile. Le continue digressioni mentali dei personaggi, che si sovrappongono pagina dopo pagina, tolgono continuità al racconto e danno la sensazione di ricercati obiettivi cerebrali che, sinceramente, non ho rinvenuto.
E’ uno stile che può piacere o non piacere e non sto certo scoprendo, con la lettura di questo romanzo, che in sede letteraria, come in qualsiasi altra, l’oggettivo non esiste.

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