Narrativa straniera Gialli, Thriller, Horror Il profumo della dama in nero
 

Il profumo della dama in nero Il profumo della dama in nero

Il profumo della dama in nero

Letteratura straniera

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Robert Darzac, da poco sposato con Mathilde Stangerson, invia un drammatico messaggio a Rouletabille, il giornalista investigatore, genio della deduzione scientifica, pregandolo di raggiungerlo subito, e con la massima discrezione. Perché dal passato è emerso un vero e proprio genio del male che vuole distruggere la felicità dei due sposi. In questo romanzo, giudicato tra i migliori della sua produzione, Gaston Leroux ricorre a tutte le armi dello scrittore: intreccio, suspense, colpi di scena. Rouletabille dovrà impegnarsi a fondo per giungere a capo della vicenda, che alla fine lo lascerà sì vincitore, ma non senza amarezza.



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Il profumo della dama in nero 2021-04-25 13:39:36 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    25 Aprile, 2021
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Il lezzo stantio d'un giallo fin de siècle

Gaston Leroux è stato uno dei più acclamati autori di “gialli” e “noir” della letteratura francese dei primi del ‘900. In particolare è noto al pubblico per il romanzo “Il fantasma dell’Opera” e per aver inventato il più giovane investigatore della storia: il reporter Joseph Josephin, soprannominato Rouletabille, per la sua testa rotonda, protagonista di una serie di romanzi a lui dedicata.
“Il profumo della dama in nero” è pensato come la continuazione de “Il mistero della camera gialla” e, per l’appunto, il primo capitolo di questo romanzo inizia proprio dov’era finito l’altro: Mathilde Stangerson, ripresasi dalle terribili prove che aveva dovuto sopportare nella precedente vicenda e, soprattutto, certa che Frédéric Larsan, il feroce genio del crimine al quale s’era imprudentemente unita in matrimonio quando costui si faceva passare per Jean Roussel Balmeyer, sia morto in un naufragio, può finalmente convolare a nozze con l’amato Robert Darzac. Però, il giorno stesso della cerimonia cominciano ad addensarsi cupe nubi sui neo-sposi. Durante il viaggio che dovrebbe portarli nel Midì per la luna di miele, Darzac crede di intravedere la figura minacciosa di Larsan. Telegrafa al geniale reporter Rouletabille per chiedere aiuto e questi, assieme all’amico avv. Sinclair (il narratore della storia), raggiunge la coppia al Castello d’Ercole, pochi chilometri entro il confine italiano, dove i due si sono rifugiati per unirsi al padre di lei, il professor Stangerson, e ai coniugi Rance, amici di famiglia, proprietari della magione e in parte protagonisti delle precedenti vicende.
Qui i personaggi, guidati dal piccolo reporter, si trincereranno entro l’antico maniero nella vana speranza di sfuggire agli attacchi del perfido Larsan, il quale, peraltro, sfacciatamente, si mostrerà sul mare davanti al castello. Ovviamente e a dispetto di ogni cautela, il morto ci scapperà ugualmente. Sarà compito di Rouletabille scoprire cos’è avvenuto realmente e come l’assassino si sia potuto infiltrare nel fortilizio, per giunta in una stanza che, all’apparenza, doveva essere vuota ed ermeticamente chiusa.

Leroux secondo i contemporanei, era il contraltare francese di Conan Doyle: geniale inventore di trame poliziesche, specialista nell’architettare enigmi da “camera chiusa”, melodrammatico, colto e poliedrico tanto da spaziare su svariati generi letterari.
Purtroppo io non ho percepito le vantate qualità dell’autore leggendo questo romanzo che vorrebbe miscelare un classico enigma da camera chiusa con l’altrettanto tipico mistero del doppio. A mio avviso l’opera non è neppure lontanamente paragonabile a quelle del geniale scrittore britannico. Mentre Conan Doyle è ancora attuale (anzi, moderno) e piacevole, Leroux ha uno stile terribilmente datato e “polveroso”. Le descrizioni sono pompose, arcaiche e ridondanti. La costruzione della storia è ondivaga e dispersiva. Le lunghe (inutili?) premesse sfiancano il lettore. C’è troppa retorica ed eccessiva ricerca del sensazionalismo quando nulla di sensazionale concretamente si verifica. Anche i personaggi sono poco credibili: ansiosi, svenevoli ed emotivi al limite della comicità involontaria. Tengono comportamenti teatrali ed esasperati. La trama è inutilmente intricata e barocca, senza, peraltro, riuscire a catturare l’attenzione del lettore. L’epilogo, poi, è tutto dedicato a riannodare i troppi capi pendenti della trama con una continua arrampicata sugli specchi. In definitiva la lettura di questo romanzo risulta deludente se non, addirittura, irritante e sfiancante.
Ammetto, peraltro, un mio errore di partenza: ritenevo che questa fosse una storia autoconsistente e autoconclusiva, invece dipende pesantemente da quanto accaduto ne “Il mistero della camera gialla”: per i personaggi, già tutti ben delineati il quel libro, l’A. non spreca energie per descriverceli ulteriormente. Le vicende s’innestano, così, senza soluzione di continuità, nelle precedenti e i rinvii sono acritici, senza soverchie spiegazioni. Il neofita fatica moltissimo a farsi un’idea (peraltro vaga) della situazione generale e la presunzione che ben si conoscano tutti gli antefatti risulta alquanto sgradevole e supponente.
Ma questo non è il difetto maggiore del romanzo. La storia e decisamente improbabile e incredibile. L’idea di base (quella del doppio) è di per sé molto interessante (sarà sfruttata magistralmente, ad esempio, da Agatha Christie ne “Se morisse mio marito” e “Non c’è più scampo”), ma che il camaleontico Frédéric Larsan possa camuffarsi da uno qualunque degli altri protagonisti, ingannando, per giorni e giorni, non solo gli estranei, ma pure le persone più intime, appare pretestuosa se non addirittura ridicola. I comportamenti di tutti, ivi compreso del “geniale” Rouletabille, appaiono illogici e incomprensibili, e solo il cosiddetto “spiegone finale” giustifica (con una serie di spericolati equilibrismi dialettici) molti comportamenti altrimenti del tutto assurdi.
Non aiuta la fruibilità del testo l’aver legato indissolubilmente la narrazione alla mappa dei luoghi. È, questa, pratica comune, soprattutto nei romanzi della prima metà del novecento. In genere appare accettabile e pure piacevole perché permette al lettore di orientarsi meglio e di “giocare” al detective in parallelo con l’A.. In questo caso, però, c’è un continuo, pedissequo riandare a dette mappe, così si costringe il malcapitato a un continuo andirivieni tra le pagine per potersi raccapezzare. Visto che un romanzo non è un quesito illustrato da “Settimana enigmistica”, penso che ciò denoti solo un’incapacità espressiva dell’A., non in grado di spiegarsi con le sole parole.
In definitiva è un'opera della quale si può fare a meno senza rimpianti.

Sono stato cattivo, lo ammetto, e io non amo fare l’iconoclasta. Tendenzialmente non mi viene spontaneo (o peggio, piacevole) stroncare il lavoro altrui, ma questa volta non ho saputo resistere: la fatica per portare a termine questa lettura in qualche modo mi ha chiesto questa rivalsa. Scusatemi.

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Lettura consigliata
no
Consigliato a chi ha letto...
... al massimo a chi, avendo letto "Il mistero della camera gialla", fosse curioso di scoprire cosa sia accaduto, in seguito, ai protagonisti di quella storia.
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