Narrativa straniera Romanzi autobiografici Io sono un'arma. Memorie di un marine
 

Io sono un'arma. Memorie di un marine Io sono un'arma. Memorie di un marine

Io sono un'arma. Memorie di un marine

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È notte fonda quando il diciottenne David Tell scende dall’autobus che l’ha portato a Parris Island, la base militare dove avviene la prima, estenuante e selettiva fase dell’addestramento dei marines. David è sempre stato idealista e patriottico, ma niente poteva prepararlo a quello che lo aspetta: un addestramento massacrante, un incubo fatto di soprusi, vessazioni, vere e proprie torture, dal quale David riesce a uscire soltanto quando tocca il fondo dentro di sé e scopre di poter resistere. Tanto che nei mesi successivi David terminerà l’addestramento – rischiando la vita più volte – e apprenderà le tecniche di combattimento più avanzate e i suoi risultati saranno tanto eccellenti che verrà selezionato per entrare a far parte della Fast Co (Fleet Anti-Terrorism Security Team Company): un’unità speciale all’interno dei marine, un’élite composta da uomini scelti diventati vere e proprie armi viventi.



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Io sono un'arma. Memorie di un marine 2015-01-08 15:57:46 pirata miope
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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    08 Gennaio, 2015
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TERRITORI DI CONFINE

Si hanno mille curiosità, quando si prendono in mano le corpose memorie del marine David Tell: si vorrebbe capire cosa spinge una persona normale a votarsi anima e corpo al grottesco teatro dell’assurdo, illustrato con tanta crudele efficacia da Kubrick in Full Metal Jacket, film del 1987. Si potrebbe pensare infatti che alla radici di una tale scelta vi siano ignoranza, patriottismo, povertà, volontà di autoaffermazione, desiderio di fuga dalla società, culto della virilità, sublimato dalla vita in caserma, e infine il mito eterno del soldato invincibile. Io sono un’arma non vuole essere né un romanzo né un film, quanto piuttosto un documento preciso nei minimi dettagli su cosa possa significare fare parte del corpo scelto dei Marines e su chi sono coloro che ne fanno parte. La persona che dice io usa per evidenti ragioni uno pseudonimo, ma il suo racconto di una chiarezza e semplicità disarmanti non consente dubbi sulla sua veridicità. In primo luogo sorprende il fatto che la maggior parte dei marines riveli un’istruzione e un’intelligenza superiori alla media, e non provenga dalla arretrate zone rurali del Paese né dalle classi povere. Da questo punto di vista David è figura esemplare. Ma per quale motivo un giovane del tutto normale, accetta di rinunciare alla propria individualità per un’ideale che lo costringe a un’esistenza di duri sacrifici senza affetti? David ripercorrendo con il senno di poi le tappe della sua formazione riconosce l’irrilevanza dei motivi che lo portano a diciotto anni su una strada senza ritorno: condividere il destino di un gruppo di amici del liceo, sentirsi puntare contro da un teppista una pistola in un vicolo, sono sufficiente a convincerlo. L’esperienza di David spiega poi come la riduzione a robot/ macchina di morte consenta di accettare una situazione incompatibile con l’essere umano: il confine fra il soldato e l’uomo è l’arma a marcarlo. Il protagonista vive gli estenuanti addestramenti dei corpi speciali e le crudeltà gratuite a cui viene sottoposto dai superiori senza superare mai quei confini: egli infatti sopprime il guerriero automa per restare essere umano, quando sente il rimpianto degli affetti lasciati a casa, quando in cuor suo condanna le ingiustizie subite da sé e dagli altri. Poi a un certo punto entra nel territorio accessibile esclusivamente a chi è diventato arma e solo allora, nella sua ultima missione in un luogo imprecisato, vedendo gli effetti del trauma irreversibile sul volto di un compagno, si accorge di aver perso con la coscienza se stesso a 22 anni. Ed è l’urgenza di riappropriarsene a ispirargli la lunga confessione/ testimonianza di Io sono un’arma.

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