Addio a Berlino Addio a Berlino

Addio a Berlino

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Nella Repubblica di Weimar che si avvia al suo fosco tramonto, tra cabaret e caffè, tra case signorili e squallide pensioni, tra il puzzo delle cucine e quello delle latrine, tra file per il pane e manifestazioni di piazza, tra crisi economica e cupa euforia – da nulla dettata e in bilico sul Nulla –, Isherwood mette in scena «la prova generale di una catastrofe» e ci fa assistere alla resistibile ascesa del nazismo. Non solo: cogliendo con ironia corrosiva i presaghi rintocchi che accompagnano la grandeur di un mondo «inutilmente solido, insolitamente pesante», ci consegna una purissima, scabra narrazione che ci ricorda come la Storia – e ogni storia – sia sempre contemporanea.



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Addio a Berlino 2019-12-13 21:00:24 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    13 Dicembre, 2019
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Un obiettivo puntato sulla Berlino anni '30

“Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa”. Con queste parole il narratore, alter ego di Christopher Isherwood (ed omonimo dell’autore), fin dalle prime righe di questo libro svela al lettore il suo interesse primario: raccontare la Berlino degli anni ’30 del secolo scorso nella quale aveva deciso di vivere insegnando inglese e descrivendo contemporaneamente l’umanità varia” con la quale era entrato in contatto. Isherwood ci parla di una Berlino tumultuosa, irrequieta, terreno fertile per i sempre più numerosi simpatizzanti del Partito Nazista in forte ascesa. La folla inneggia a Hitler ed i gruppuscoli delle SA si cimentano in libere scorribande contro ebrei o comunisti, senza trovare una vera opposizione. Sullo sfondo di questa città dai forti contrasti, con il gelido inverno incombente, in cui è possibile sentire “…il dolore acuto che il ghiaccio infligge alle travi della sopraelevata, al ferro delle ringhiere dei balconi, ai ponti, alle rotaie dei tram..”, si muovono una serie di personaggi, un sottobosco di amicizie e conoscenze che Isherwood ci introduce amabilmente, quasi come se volesse presentarci a loro, dedicando ad ognuno di essi un capitolo del libro.

Ecco che diventa così possibile fare la conoscenza di Sally Bowles, giovane attrice dal fascino certo e ammaliante, fortemente motivata a entrare “nella cerchia” giusta per emergere e fare carriera nel mondo dello spettacolo, ma allo stesso tempo piuttosto ingenua e preda di perditempo e faccendieri che frequentano abitualmente locali notturni. E ancora oltre a Sally, il narratore, che ad un certo punto decide di allontanarsi da Berlino e prendersi un periodo di vacanza sul mare Baltico, fa la conoscenza di una coppia omosessuale piuttosto litigiosa nella quale il giovane e squattrinato scansafatiche Otto Nowak seduce il facoltoso Peter, con l’intenzione di spillargli denaro. Una volta tornato a Berlino, Isherwood conoscerà i bassifondi popolari della città trovando alloggio proprio presso la casa della famiglia di Otto, del quale era diventato amico. Infine l’autore sposta il “suo obiettivo” parlando dei Landauer, ricca famiglia di origine ebraica dedita al commercio con la quale entra in contatto, soffermandosi in particolare sulla figura della giovane Natalia (che sembra avere un debole per lui). Non casuale la scelta di raccontare la vita di una famiglia ebraica in un momento storico cruciale, nel quale gli ebrei in Germania cominciavano a essere oggetto di forte dileggio prima e di azioni minatorie in seguito.

Più che un romanzo questo di Isherwood è un libro di racconti che a tratti diventa una cronaca di avvenimenti e che vale sicuramente la pena di leggere, nel quale si fondono le vite private dei personaggi con il tema politico. Forse più noto al pubblico considerando che dallo stesso sono stati tratti film ed il celebre musical “Cabaret”.

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Addio a Berlino 2016-05-07 14:05:30 Bookaholic
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Bookaholic Opinione inserita da Bookaholic    07 Mag, 2016
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Goodbye to Berlin

Immagino Isherwood che ogni sera prima di coricarsi appunta su un consunto quaderno dalla copertina di pelle nera gli avvenimenti della giornata. Che sia una dignitosa camera in affitto o una brandina a un respiro da un giovanotto dalla sessualità libera, un cottage all'inglese sul fiume o una casa al mare, il bisogno di imprimere sulla carta lampi di vita vissuta è inderogabile.
Nasce così “Addio a Berlino”, una fotografia a parole di una società che si appresta ad accogliere in sé un male indelebile la cui macchia ancora non siamo riusciti a pulire del tutto. Isherwood, o Herr Issyvoo, interpreta se stesso nel ruolo di giovane inglese alla ricerca della storia della vita, si mantiene dando lezioni di inglese e non si fa scappare l’occasione di incontrare personaggi dal fascino irresistibile. La società berlinese da cui l’autore è circondato, le amicizie che gli capita di allacciare nelle sue scorribande notturne, sono macchiette straordinarie che tratteggiano una quotidianità banale, l’avvicendarsi di vite inconsapevoli del terrore che stanno per accogliere. Si possono cogliere tra le righe le avvisaglie di una situazione politica che sta per rovesciare non il solo Paese ma il mondo intero, eppure dalle parole di Isherwood non trasuda nulla di ciò che poi sarà. La consapevolezza non ha ancora contaminato il ricordo delle serate al pub, delle gite in barca, della povertà che costringe a dividere un letto.

Ho letto “Goodbye to Berlin” in lingua inglese e la naturalezza dello stile di Isherwood mi ha accompagnato per tutta la lettura, una prosa immediata, senza fronzoli in cui l’ambiente si tratteggia attraverso le conversazioni in tu per tu con una Berlino che fa sentire la sua vivacità.

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Addio a Berlino 2013-11-18 05:13:42 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    18 Novembre, 2013
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Sally Bowles, Liza Minnelli

Christopher, scrittore in cerca di fortuna, si reca a Berlino e lì insegna l’inglese. Soggiornando nella capitale tedesca dall’autunno del 1930 all’inverno 1932-33, Chris conosce la città e intreccia relazioni respirando le atmosfere minacciose che preludono alla tragedia europea che sta per scoppiare (“Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto; non penso, accumulo passivamente impressioni”).
Chris alloggia nella pensione di Frl. Schroeder e i suoi primi contatti sono con i coinquilini: la prostituta Frl. Kost, la soubrette Frl. Mayr, Bobby il barman della Troika (Diario berlinese – autunno 1930). Intanto impartisce le sue prime lezioni (“Anche fingere d’insegnare qualcosa a Frl. Hippi è uno spreco di tempo”) e frequenta i locali di Berlino con l’amico di sempre, Fritz Wendel.
Ben presto irrompe sulla scena Sally Bowles, attrice e cantante di cabaret (“Cantava male, senza espressione, con le braccia penzoloni, eppure il suo numero faceva un certo effetto per via del suo aspetto sconcertante e della sua aria d’infischiarsi di quello che il pubblico pensava di lei”) in cerca di successo, una ragazza dalla personalità prepotente e volubile. Presente in un solo capitolo e in un richiamo successivo, Sally domina il romanzo in modo centrale ed energico. Sempre sopra le righe, enfatizza le sue espressioni utilizzando avverbi a iosa (“Muoio letteralmente di sete”), esagerata di natura (“Sei stato un angelo a venire! Mi sentivo spaventosamente sola”), vorrebbe scandalizzare (“Anche se andassi a letto con tutti gli uomini di Berlino…” “Non credo che una donna che non abbia avuto molti love-affairs possa diventare una grande attrice”) con i suoi discorsi e uno stile di vita disinvolto (“Sono una di quelle che portano via i mariti alle mogli, ma non sono mai riuscita a trattenerli a lungo”), è bugiarda (“Sally snocciolò alcune bugie davvero enormi”), insieme e senza Chris trascorre le sue notti brave (“Chris, tu le capisci meravigliosamente, le donne: più di tutti gli uomini che ho conosciuto”), con Chris sogna (“Chissà cosa direbbero se sapessero che due cenciosi come noi diventeranno il più grande romanziere e la più grande attrice del mondo”) e ride, lo domina (“Tu, per esempio, sei spaventosamente poetico, non te ne intendi un corno di affari e tutti credono di poterti mettere nel sacco”), con lui frequenta il ricco Clive (“Clive ci aveva completamente corrotti”) e a lui si appoggia in un’esperienza dolorosa che camuffa sotto la consueta finta superficialità (“Oggi una ragazza non può permettersi di far aspettare un uomo. Se rifiuta un’offerta, può essere facilmente soppiantata. Le donne sono in tale soprannumero…”): così come è piombata nella vita di Chris, Sally se ne andrà via e sparirà nel nulla.
Negli altri capitoli vengono narrate una vacanza che Chris trascorre con il borderline Peter e Otto (“Sull’isola di Ruegen”), il successivo soggiorno presso la famiglia di quest’ultimo (“I Nowak”) per fronteggiare un periodo di ristrettezze economiche, il ritorno alla pensione di Frl. Schroeder, la frequentazione di una ricca famiglia di imprenditori ebrei (“I Landauer”), soprattutto nelle persone di Natalia (in questo capitolo, in flash back, si racconta dell’incontro tra Natalia e Sally: “Sally con la sua eterna sciocca pornografia e Natalia col suo arcigno puritanesimo”) e del cerebrale Bernhard.
Sullo sfondo intanto si intensificano eventi (“la sparatoria della Bulowplatz”) e violenze (pestaggi agli ebrei, retate, “gli avventori dei negozi ebrei venivano pubblicamente svergognati stampigliandoli con un timbro sulla fronte e le guance”) che testimoniano il dilagare del nazismo, mentre (“Diario berlinese – Inverno 1932-33”) “Berlino è uno scheletro che rabbrividisce di freddo; è il mio scheletro indolenzito”.

Il romanzo offre uno spaccato sulla Germania dei primi anni trenta, su “quella che Brecht avrebbe chiamato la resistibile ascesa del nazismo”.
Da “Addio a Berlino” venne tratto “Cabaret”, il film musicale di Bob Fosse che nel 1973 vinse una pioggia di premi Oscar. Leggendo il romanzo, si apprezza ancor di più la bravura di Liza Minnelli, che ha visivamente reso con assoluta fedeltà il personaggio irresistibile di Sally Bowles.
La lettura dell’opera è impegnativa, il film è assolutamente da (ri)vedere.

Bruno Elpis

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