Le due tigri Le due tigri

Le due tigri

Letteratura italiana

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«I due avversati si guardarono per qualche secondo, provocandosi con gli sguardi, poi la Tigre della Malesia vedendo che l'avversario non accennava ad assalire, si slanciò tentando di colpirlo alla gola. Suyodhana con un balzo si sottrasse al contatto, parò il colpo con la punta del pugnale, poi abbassatosi si fece sotto a Sandokan cercando di squarciargli il ventre...» Ha inizio così lo scontro finale fra le due Tigri: Suyodhana, la Tigre dell'India, e Sandokan, la Tigre della Malesia. Suyodhana, il «figlio delle sacre acque del Gange», è il capo della setta dei thugs, fanatici sanguinati seguaci della dea Kali. Egli rapisce la piccola Darma, figlia di Tremal-Naik e di Ada, per farne (come già lo era stata la madre) la nuova Vergine della Pagoda, cioè la sacerdotessa del tempio di Kalì. Sandokan allora attacca il rapitore sul suo stesso terreno: le Sunderbunds, foreste paludose del delta del Gange. L'inseguimento prosegue a Calcutta e a Delhi, sconvolta dalla repressione delle armi inglesi, nel romanzo salgariano più mosso e ricco di colpi di scena.



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Le due tigri 2018-11-27 19:22:31 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    27 Novembre, 2018
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La sfida finale

Maturata nel romanzo precedente, l’idea di far convergere le tracce narrative malese e indiana in un solo flusso di racconto perviene a compimento in questo possente volume in cui le due Tigri infine si sfidano a duello. Il libro è complesso e ricco di personaggi delineati con cura, sia nelle fila dei buoni, sia in quelle dei cattivi, e parecchi non arrivano a vedere il sole dell’ultima pagina pure fra i primi: ci sono agguati nei vicoli, strani sacerdoti e ancor più stravaganti riti nelle strade di Calcutta, un lungo inseguimento nella giungla corroborato da corse di elefanti e tigri anziane avvezze alla carne umana nonché una specie di grand tour dell’India sullo sfondo di una rivolta contro gli inglesi che si rivela impietosa su entrambi i fronti. Eppure non tutto funziona perché, dopo un avvio senza momenti di pausa, Salgari inizia a proporre inserti non connessi con la trama principale: quale che ne sia il motivo (rimpolpare il numero di pagine o desiderio di raccontare l’esotico) si tratta di passaggi ingombranti, come si nota in special modo in quello che descrive l’organizzazione e la realizzazione della battuta di caccia non appena i nostri giungono nella giungla. Più interessanti sono i sussulti da romanzo storico – la ribellione di cui sopra è un episodio reale e il sacco di Dehli un brutto capitolo dell’impero britannico – ma non è proprio quello che si chiede a un avventura di Sandokan: il ritmo ne risente, spingendo ad accelerare la lettura per reincontrare al più presto il corso degli eventi. Che è subito detto: il perfido Suyodhana rapisce la figlia di Tremal-Naik – la figura meno interessante, tutta fremiti e pianti - per farne la nuova Vergine della Pagoda (Ada è morta di parto, anche lei tolta dai piedi come Marianna): Sandokan, Yanez e un gruppo di Tigrotti partono da Mompracem per andare a salvarla e dopo millanta avventure - con un solo praho mettono fuori uso due navi cariche di arrabbiatissimi thugs, le mille trappole vengono evitate per miracolo grazie all’intervento del fato o di inattesi alleati (la bajadera Surama, Remy de Lussac, il thug pentito ed ex bramino Sirdar, il cipay Bedar) – riescono prima a distruggere il quartier generale nemico di Rajmangal e poi raggiungere l’arcinemico a Dehli. Sullo sfondo della città in fiamme avviene infine il duello che, a dir la verità, viene risolto in maniera sbrigativa (una coltellata e via), quasi che, a quel punto, la vicenda avesse detto tutto e il suo autore fosse più interessato al tragico destino della città. Nel mezzo di tanta azione, si va completando la maturazione del personaggio di Sandokan, via via più riflessivo e centrato, tanto che spesso è il suo controbilanciamento ironico, ovvero Yanez, a risultare più prevedibile.

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