Tristana Tristana

Tristana

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Tristana (1892) è una delle punte più felici nella vasta opera di Pérez Galdós, da molti giudicato il più grande narratore spagnolo dopo Cervantes, eppure fino a oggi scarsamente conosciuto presso di noi. Tristana, la protagonista di questo libro, fa parte a buon diritto della grandiosa galleria ottocentesca delle donne che scelgono di distruggersi – e pochi altri esempi ne eguagliano l’intensità. Accanto a lei, indissolubilmente congiunto, il gentiluomo Don Lope, stupenda figura di Don Giovanni invecchiato, aristocratico accantonato dal corso dei tempi, padre adottivo e soggiogatore di Tristana, la sua più preziosa e impossibile conquista. Il terzo personaggio, il pittore Horacio, che si innamora di Tristana e tenta invano di sottrarla al suo cerchio magico, diventa invece piuttosto una pedina nel vizioso gioco fra l’anziano gentiluomo e la giovane Tristana.



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Tristana 2020-01-05 14:55:58 siti
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siti Opinione inserita da siti    05 Gennaio, 2020
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Don Giovanni in pantofole

Benito Pérez Galdós è sicuramente lo scrittore più importante della letteratura spagnola dell’Ottocento, e anche se generalmente viene considerato il narratore iberico più significativo dopo Miguel de Cervantes, in Italia gode di scarsa fortuna. L’ editoria nostrana, quella illuminata dei fratelli Treves o di Bemporad pubblicò, lui vivente, una quindicina di titoli della sua vasta produzione composta da una settantina di titoli, fra romanzi e drammi, poi ci fu un silenzio che durò fino agli anni sessanta quando la produzione filmica di Luis Buñuel riaccese l’interesse per alcune sue opere, compresa questa “Tristana”.
Fatto sta che se oggi volessimo leggere le sue opere in traduzione, ne troveremmo ben poche ed è dunque necessario un monito verso le case editrici che non cavalcano questo filone mentre i titoli oggi in circolazione sono stati curati da piccoli editori di nicchia con genuino interesse letterario.
È stata una mia recente visita, del tutto casuale, alla mostra allestita sull’autore presso la Biblioteca Nazionale di Madrid, a far in primo luogo riemergere dalla mia libreria “Tristana”, titolo che avevo letto ma di cui non ricordavo nulla per poi farmi interessare alla sua bibliografia e arrivare a scoprire amaramente quanto su esposto.
Siamo di fronte ad un grande autore che nella sua Spagna al limite dell’Europa e in pieno passaggio dalla monarchia alla prima repubblica è perfettamente in linea con la produzione letteraria del periodo: sperimenta infatti moduli realisti anticipando quelli che saranno poi quelli tipici del romanzo psicologico.
Fa apparentemente protagonista della sua opera il destino di una ragazza e la sua triste involuzione mentre in realtà congeda, a mio parere, tutta la tradizione letteraria spagnola richiamandone i suoi protagonisti maggiori : autori e personaggi. Per chi ha dimestichezza con la storia della letteratura spagnola, qui non sarà difficile ritrovare Tirso da Molina e il suo Don Juan Tenorio, Lazarillo de Tormes, La Celestina di Fernando de Rojas o per risalire all’archetipo primario il Don Qujote di Cervantes. Questa è forse la caratteristica più pregnante del romanzo che, se si andasse a valutare per l’esile trama, avrebbe ben poco da restituire. È più un gioco meta letterario, un’ evoluzione di tipi noti per raccontare i destini umani. Sorprendente per me è stata la giustapposizione, anch’essa del tutto casuale, nelle mie letture di Tristana a Emma di Madame Bovary. Ma aprirei infiniti parallelismi se volessi dilungarmi nell’analisi delle loro comunanze.
Tristana è infatti una ragazza che viene ospitata da un vecchio dongiovanni, Don Lope in seguito alla morte dei suoi genitori, suoi cari amici. La sua filantropia muta presto in una sorta di pseudo menage coniugale che fa di Tristana l’ennesima vittima di un infinito catalogo, l’ultima, in realtà, perché stavolta Don Lope si innamora e ne fa la sua prigioniera. Nel frattempo assistiamo alla crescita spirituale della giovane che brama libertà e riesce a sfuggire al dispotismo di cui è vittima innamorandosi di un giovane pittore. Scoprirà ben presto che forse anche il giovane Horacio ambisce ad una donna “subordinata all’uomo in intelligenza e volontà”…
Varie e mutevoli saranno le stagioni della vita per Tristana e da un’evoluzione all’altra ripiegherà in una triste involuzione mentre Don Lope farà trionfare, suo malgrado, una rilassata visione borghese. Morti con lui Don Chisciotte e Don Giovanni.


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Madame Bovary
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Tristana 2017-01-14 20:03:40 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    14 Gennaio, 2017
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Idealismo e caduta delle illusioni

Bellissimo il modo di raccontare di Galdos, un narratore realista e un tantino cinico che guarda il mondo, le passioni, l'amore romantico con divertito e ironico disincanto. La storia gli dà ragione: un vecchio libertino, Don Lope, vicino ai sessanta anche se meravigliosamente portati, prende in casa la figlia di un amico con il quale si è comportato da grande gentiluomo. La cavalleria e la generosità di don Lope però hanno dei limiti e don Lope davanti a una bella donna è solito deporre ogni scrupolo morale. La ragazzina, Tristana, diventa l'amante del vecchio che è per lei padre, amante e padrone. La mia schiava, la chiama lui. Questo dice tutto sulla condizione della poverina. La ragazza si innamora perdutamente di un pittore. L'amore risveglia in lei il genio e il desiderio di dipingere. L'arte è per la ragazza soprattutto un modo di comunicare e di avvicinarsi all'amato. Immagina di avere trovato con lui quella profonda comunione di anime che quasi potrebbe escludere il corpo. Vuole dunque parlare la sua lingua da sua pari in modo di spingere la reciproca intesa su un piano altamente spirituale. Infatti è di quel tipo d'intesa che sente la profonda mancanza dato il rapporto con don Lope. Dopo un periodo di separazione, Tristana si ammala e il suo fisico subisce delle trasformazioni. Arriva la prova del nove per la relazione spirituale e per Horatio. L'amore ideale vacilla e così con il tramonto dell'amore anche la passione di Tristana per la pittura non ha più motivo di esistere. La ragazza si appassiona per un periodo alla musica ma anche lì, dimostra uno straordinario talento eppure le manca il motivo di usare quel linguaggio. Non desidera più comunicare con alcun essere umano. Tristana ha per sua fortuna uno splendido carattere, forza e spirito di adattamento e riesce a sopravvivere alla sventura senza mostrarsi abbattuta. Alla fine la vita le concederà piccole gioie dopo averle negato le grandi. Rinuncerà alle grandi ambizioni, alla presunzione, alle aspettative che poteva riporre su altri esseri umani. Rinuncerà all'idolo rappresentato dal pittore Horatio e all'amore romantico. Le resta come al vecchio don Lope la soddisfazione per l'albero che cresce, per le galline, per i pulcini e per l'uovo che trova la mattina nel pollaio e il gusto di una torta fatta in casa. Ultima ambizione a essere deposta sarà la sua aspirazione a una onorata libertà. E questo è un po' triste. Alla fine il vecchio don Lope, grande donnaiolo e conoscitore del mondo, avrà ragione su tutto compresa la natura di Horatio e di quell'amore molto più fisico di quanto la povera ingenua credesse. Il vecchio don Lope si dimostra più tenero dell'uomo ideale e disposto per l'amata al sacrificio. Cosa resta alla povera ragazza se la persona più buona con lei è anche il suo carceriere? Solo Dio è all'altezza dello sfrenato idealismo di Tristana: nessun uomo può amare come intende lei l'amore. Tra l'altro anche se lei non si fosse ammalata la storia avrebbe avuto un andamento analogo perchè la grande passione di Horatio non sono le donne ma l'arte. La malattia di Tristana è altamente simbolica della condizione della ragazza e della donna. Il finale è tenero, realista ma anche malinconico perchè il lettore ha sempre presente il più grande desiderio di Tristana: cioè di non essere più schiava.

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Tristana 2015-05-04 09:53:05 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    04 Mag, 2015
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Ambiguità troppo forti anche per Buñuel

**ATTENZIONE - ANTICIPAZIONI SULLA TRAMA**

Questo romanzo di Benito Pérez Galdós, scritto nel 1892, è stato poco conosciuto in Italia sino al 1970, anno in cui Luis Buñuel realizzò l’omonimo film con protagonisti Catherine Deneuve e Fernando Rey. Ancora oggi, anche grazie all’importanza del regista, credo che il film sia molto più conosciuto del romanzo, e che in un certo qual senso si possa dire che, almeno nel nostro paese, il film abbia cannibalizzato il libro. Dopo aver letto il libro ho quindi rivisto il film, per confrontare le due opere che, su piani diversi, possono essere sicuramente considerati dei capolavori.
Il libro di Pérez Galdós è infatti un romanzo notevole, che pur essendo stato scritto in un contesto culturale periferico come la Spagna di fine ottocento, anticipa tematiche che saranno assi portanti della letteratura decadente europea del primo novecento. E’ infatti un romanzo fortemente intriso di elementi psicologici, che affronta il tema dell’ambiguità e dell’inadeguatezza del comportamento umano utilizzando elementi fortemente simbolici, che possono essere letti anche in chiave psicanalitica (credo sia stato questo uno degli elementi che ha affascinato Buñuel) e ricorrendo ad un’atmosfera morbosa ma al tempo stesso rarefatta.
Tre sono i personaggi chiave del romanzo: Don Lope Garrido, anziano caballero, libertino e miscredente, disprezzatore del denaro, insofferente delle convenzioni sociali e sentimentali; Tristana Reluz, giovanissima e innocente figlia di una vecchia amante di Don Lope, che gli viene affidata dalla madre in punto di morte e che Don Lope seduce recludendola in casa; Horacio Díaz, pittore di belle speranze, di cui Tristana si innamora e che sembrerebbe poter sottrarre la protagonista alla tirannia di Don Lope.
Ciascuno dei personaggi si rivela, con modalità diverse, carico di ambiguità e inadeguato ad affrontare le situazioni e le questioni poste dalla vicenda.
Don Lope è, come detto, un libero pensatore, ma riversa su Tristana le ansie della sua decadenza fisica, ne fa la vittima sacrificale del suo denegato crepuscolo. Non accetta la voglia di libertà della giovane e giunge persino a minacciarla di ucciderla nel caso avesse un’altra storia, ma favorisce il suo riavvicinamento a Horacio. Alla fine del romanzo sposa in chiesa Tristana avviandosi alla fine della vita avendo rinnegato tutti i suoi principi.
Del tutto inadeguato e ambiguo è Horacio, che appare nella storia come l’artista bohemièn pronto a strappare Tristana dal suo destino di reclusa ma a cui basta una breve lontananza per imborghesirsi e dimenticare il suo grande amore.
Ma inadeguata è anche Tristana, che vagheggia volta a volta future glorie da pianista, da pittrice, da scrittrice, senza avere né l’applicazione né il talento per combinare qualcosa. E’ anche ambigua nel suo rapporto con Don Lope, che vede sia come suo tiranno sia come un padre affettuoso.
C’è un punto centrale attorno a cui ruota la storia: è quello della malattia di Tristana, cui viene amputata una gamba. E’ l’avvenimento simbolico dopo il quale nulla sarà più come prima e le accennate ambiguità dei personaggi emergeranno in tutta la loro contraddittoria forza.
Al romanzo sono estranee tematiche e finanche accenni di carattere esplicitamente sociali, ma la forza di questo libro (come di tutti i grandi libri) è anche quella di poter interpretare le storie individuali come storie universali. Così, ciascuno dei tre personaggi è fortemente caratterizzato per rappresentare un tipo, e la loro storia può anche essere letta come una grande parabola delle tare della società spagnola di fine ‘800.
In questa chiave Don Lope rappresenta la Spagna cavalleresca e tirannica ancorata ai valori e ai disvalori della hidalgìa, che chiaramente sta morendo e lasciando il posto ad una Spagna in cui conta solo il vile metallo. Horacio è l’artista, che dovrebbe incarnare i valori della cultura anche in chiave di rinnovamento sociale ma che si asservisce presto alla cultura dominante. Tristana è la gioventù, la nuova generazione che si affaccia alla vita e potrebbe avere la forza per ribellarsi ma non ne ha le capacità, anche perché viene presto amputata nelle sue ambizioni.
Il finale è senza speranza: di Horacio si viene a sapere che si è sposato, i due si sposano in chiesa, come detto, e Tristana si dedica all’arte… della pasticceria: "Una maestra molto abile le insegnò due o tre tipi di dolci, e lei li faceva così bene, così bene, che Don Lope, dopo averli assaggiati, si leccava le dita, e non smetteva di lodare Dio. Erano felici, l’uno e l’altra…? Forse."
Rispetto alla forza del libro, il cui unico momento di relativa caduta è secondo me la sezione epistolare tra Horacio e Tristana, il film delude leggermente. La figura di Horacio (Franco Nero) non emerge nella sua contraddittorietà, anche perché nel film i due fuggono insieme, ed è Tristana di fatto a decidere di abbandonarlo. Buñuel aggiunge poi un seguito al geniale "forse" del libro, nel quale Tristana tiranneggia Don Lope ed alla fine lo lascia morire. Insomma, Buñuel attribuisce a Tristana una forza che nel libro non c’è, affidandole un ruolo di riscatto, sia pure in negativo, rispetto alle sue sofferenze fisiche e morali: in questo modo, a mio avviso, tradisce il libro, consegnandoci un messaggio sostanzialmente diverso e soprattutto sminuendo il senso di ambiguità e di inadeguatezza che caratterizza il romanzo.

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