Poesia Poesia italiana Le nuvole non hanno lacrime
 

Le nuvole non hanno lacrime Le nuvole non hanno lacrime

Le nuvole non hanno lacrime

Letteratura italiana

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Un viaggio poetico dell'uomo che vive le angosce quotidiane, si domanda, domanda alla poesia quale strada, quale risposta dare. Una scrittura della maturità che affronta tematiche personali ma universali. Un lavoro concepito come breviario dell'anima che si trova a vivere immersa nella modernità, nella globalizzazione che aliena e quindi cerca nei versi un'ancora di salvezza e nel libro Puggioni offre ai lettori appigli saldi. Giulio Maffii



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Le nuvole non hanno lacrime 2011-02-19 06:44:26 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    19 Febbraio, 2011
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Il disagio esistenziale

Già il titolo sembra esulare dalla visione poetica che hanno le nuvole. Nei versi di tantissimi autori, a parte le forme e i colori, ricorrono le lacrime delle nubi, che quasi sembrano sciogliersi vedendo dall'alto le miserie, materiali, ma soprattutto morali, degli uomini.
E invece troviamo poesie che denotano un sottofondo di amarezza esistenziale, come meno larvatamente in “Polvere di stelle”, una metafora piuttosto esplicita delle auto illusioni degli uomini, o come anche in “Fermare la luce”, quasi uno sfogo nella constatazione della freddezza dei sentimenti e della sostanziale solitudine che accompagna il cammino terreno.
A volte questo stato di disagio prorompe in un urlo metafisico che vorrebbe essere liberatorio e che invece è un ulteriore affondo nella piaga che all'interno accompagna il poeta (...Di paura/urlo/la mia innocenza/che mi trascina/che non mi vuole/) E così anche l'aspetto più reale della natura finisce con l'essere il riflesso di un'azione umana devastatrice ed impietosa, con quella terra che tutto accetta, anche di essere parte di una apocalisse provocata dai suoi abitanti.
Le voci, suoni che dovrebbero essere normali, diventano urla soffocate, in uno sgomento che tanto richiama l'opera pittorica di Munch.
In una visione disincantata e profondamente caustica la vita diventa un palcoscenico su cui nessuno è se stesso, ma tutti recitano un copione, suonano uno spartito disarticolato da quello degli altri, in una confusione e stridore di note che sancisce - ancora una metafora - l'innata incomunicabilità, fonte e frutto di una solitudine egoistica a cui lasciarsi andare pur di continuare a essere parti della rappresentazione.
Nemmeno il sogno è una fuga, perché si rivela sempre un incubo, un riflesso mentale della desolazione del giorno, né è possibile dimenticare, poiché la vita di questa umanità è la nostra vita, una miseria interiore di giorno, una tragica visone onirica di notte.
E non è che i “Pensieri”, silloge nella silloge, abbiano una fonte d'ispirazione diversa, perché, se pur affrontando il tema dell'esistenza in altro modo, resta forte e inscindibile quella consapevolezza di vuoto a cui si è tuttavia del tutto incapaci di porre rimedio.
Nella visione del mondo che ha Gavino Puggioni non c'è spazio per la speranza, non c'è un tentativo di trovare soluzioni, perché l'uomo, sembra dirci, non ha vita se non nella vita stessa, comunque essa sia, ed accettarla vuol anche dire viverla, in tono rancoroso, dimesso, gracidante, ma pur sempre vita è, insoddisfacente, incongruente, illogica.
E' un'amarezza anche al vetriolo, ma è comunque e sempre il segno che l'insoddisfazione, se è la misura della nostra sconfitta, è anche il sintomo che testimonia chi siamo.

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