Saggistica Arte e Spettacolo Il tenente di Inishmore
 

Il tenente di Inishmore Il tenente di Inishmore

Il tenente di Inishmore

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In una delle isole Aran, la morte di un gatto nero scatena una terribile resa dei conti all'interno del movimento terrorista irlandese. Da questo spunto paradossale, il giovane Martin McDonagh sortisce una commedia folle e inquietante, condotta dall'enfant prodige del teatro anglosassone con i toni della grande tradizione irlandese, nella quale l'influenza della drammaturgia di John M. Synge si coniuga con la tensione etica del cinema di John Ford, per sfociare a tratti nella violenza pulp di Quentin Tarantino.



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Il tenente di Inishmore 2019-12-02 07:21:05 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    02 Dicembre, 2019
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UN SANGUINOSO DIVERTISSEMENT

“Si avvisa il gentile pubblico che nel corso dello spettacolo verranno esplosi molti colpi di pistola e segate molte ossa. Buon divertimento!”. Con queste parole il lettore-spettatore viene introdotto a una delle più divertenti commedie teatrali degli ultimi anni, una farsa che coniuga la comicità demenziale e nonsense dei Monty Python e il gusto trash e splatter di Quentin Tarantino, ma che al contempo non rifiuta, e anzi affronta a pieno petto, sia pure in una prospettiva volutamente dissacrante e provocatoria, problematiche sociali di notevole impegno e di scottante attualità come il terrorismo. Usare la farsa e il grand guignol per parlare di tematiche drammatiche non deve né stupire né offendere, dal momento che essi non sono per nulla generi teatrali di seconda categoria (le commedie di Shakespeare, tanto per fare il paragone più illustre, abbondano di intermezzi comici e di sanguinose carneficine: basti pensare al “Tito Andronico” o all’”Amleto”), e inoltre bisogna dare atto che l’inverosimile assurdità delle situazioni, l’iperbolica gratuità della violenza e la stupidità dei personaggi e dei loro dialoghi turpiloquianti sono lo strumento migliore per mettere alla berlina l’assurdità, la gratuità e la stupidità stesse del fenomeno rappresentato. Cosa c’è di meglio che mettere in scena un idillio romantico alla Peynet, con i due innamorati che si baciano seduti a cavalcioni di un cadavere con una croce di legno conficcata in gola e i loro scagnozzi che sullo sfondo fanno a pezzi con sega e martello altri due uomini appena uccisi, per smitizzare e togliere ogni aura di eroismo a personaggi che in nome di un ideale politico uccidono senza pietà degli innocenti? E come non accorgersi che questa forsennata faida in cui uccidere fortuitamente un gatto appare un crimine più grave che fare attentati dinamitardi o assassinare il proprio padre e in cui torturare uno spacciatore è legittimo se questi distribuisce droga a ragazzi cattolici e non anche protestanti, come non accorgersi – dicevo - che tutto ciò rivela impietosamente l’assoluta mancanza di valori di chi si definisce ipocritamente un combattente per la liberazione della patria? Allora, se si tiene presente questo, è possibile anche ridere di gusto delle sanguinose stragi di McDonagh, dei suoi terroristi pazzi che scrivono la lista dei loro obiettivi strategici come se fosse la top ten di una classifica musicale, salvo poi perderla banalmente in un autobus, o che sparano negli occhi delle mucche per danneggiare il mercato della carne. Alla fine ci si riesce comunque a persuadere che un giudizio morale esiste in quest’opera, magari incarnato in quei due fools – in realtà gli unici veri savi in una compagnia di pazzi – che nell’ultima scena rinunciano a compiere l’ennesimo omicidio felino, perché proprio non riescono a trovarci un motivo.

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