Saggistica Scienze umane La persuasione e la rettorica
 

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La persuasione e la rettorica

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Carlo Michelstaedter traversò la vita con incauta rapidità: prese a pretesto una tesi di laurea per dare voce a una sua desolata certezza: stabilì, all’interno del suo ragionare, un filo tra Parmenide e una corrosiva critica della società che lo circondava: infine, nell’ottobre 1910, a ventitré anni, si uccise con un colpo di rivoltella. Percorso che ricorda quello di Otto Weininger, per l’intensità rovente dell’esperienza, per la tematica, per gli anni in cui si svolge. La persuasione e la rettorica doveva essere la tesi di laurea di un brillante studente goriziano a Firenze su questi due concetti in Platone e Aristotele. Divenne un testo anche formalmente inclassificabile.



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La persuasione e la rettorica 2015-07-30 15:15:06 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    30 Luglio, 2015
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Come una tesi di laurea può divenire...

... un testo fondamentale del pensiero novecentesco.

Carlo Michelstaedter si suicidò con un colpo di pistola nell’ottobre 1910, a ventitrè anni. Questo terribile dato anagrafico sembra quasi incompatibile con la profondità di pensiero e di visione, a tratti quasi profetica, che emerge dalla lettura della sua opera più importante, "La persuasione e la rettorica", che altro non era se non la sua tesi di laurea, mai discussa. Un’opera come questa basta, a mio avviso, a fare di Michelstaedter uno dei più importanti pensatori europei di inizio novecento. Europeo lo è, Michelstaedter, anche per essere nato alla fine dell’800 a Gorizia, in quella terra dove venivano a contatto almeno tre culture profondamente diverse (ma a queste va senza dubbio aggiunto l’essere lui ebreo, per quanto di una famiglia non praticante), terra che nello stesso periodo esprime – non a caso – anche altre personalità culturali di primo piano, quali Umberto Saba e Italo Svevo.
In questo scritto, non pensato per essere pubblicato, Michelstaedter ci consegna una ampia elaborazione del suo pensiero filosofico, che si riallaccia alla filosofia greca presocratica e a Socrate, per giungere sino a Schopenhauer e a Nietzsche, in aperta polemica con l’idealismo e il razionalismo che da Aristotele portano a Hegel ed ancora di più con il positivismo ottocentesco, e in campo artistico prende a modelli Petrarca, Leopardi, Beethoven ed Ibsen. E’ lo stesso Michelstaedter che si dice esplicitamente nell’introduzione del libro quali siano le sue radici e quali sia stata la capacità del pensiero occidentale di svilire ed adattare alle necessità della società gli insegnamenti che ne derivavano:
“Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li trattò da naturalisti inesperti: lo disse Socrate ma ci fabbricarono su quattro sistemi… lo disse Cristo e ci fabbricarono su la Chiesa… agli Italiani lo proclamò Petrarca trionfalmente, lo ripeté con dolore Leopardi – ma gli uomini furono loro grati dei bei versi, e se ne fecero generi letterari.”
E’ una filosofia improntata ad un profondo pessimismo, derivante però non tanto dalla natura stessa dell’uomo (che può essere persuaso, cioè autocosciente della propria individualità e della fatica del vivere), quanto dal trionfo della rettorica, vale a dire – si direbbe marxianamente – della sovrastruttura ideologica che maschera e legittima a un tempo l’essenza violenta della società organizzata e che garantisce la sicurezza all’individuo al costo della rinuncia ad una vita vera e dell’eterno inseguimento di un futuro che non potrà mai essere raggiunto. La metafora del peso, all’inizio del libro, esemplifica molto bene lo status dell’uomo sociale, rettorico: come un peso pende, tende sempre verso il basso, e nel momento in cui smettesse di scendere cesserebbe pure di essere un peso, così la vita non è mai sazia di vivere in alcun presente, e tende continuamente al futuro, realizzandosi solo con la morte, cioè negandosi.
Nella prima parte del volume (Della persuasione) la condizione umana di ricerca di un perenne movimento verso un impossibile futuro appagamento viene posta come un dato di fatto, seppure illusorio, dell’umanità, e lo sforzo dell’autore è volto a dimostrarne la veridicità filosofica, in contrapposizione all’ottimismo della ragione propalato dalla rettorica, il pensiero occidentale di derivazione aristotelica. E’ la parte di più difficile lettura di un testo comunque complesso, nel quale abbondano citazioni in greco antico (fortunatamente tradotte in nota) e nel quale lo stesso Michelstaedter, la cui prosa è tutt’altro che scorrevole, fa ricorso spesso a frasi in greco per esporre correttamente concetti che solo in quella lingua assumono un significato univoco.
E’ nella seconda parte del testo (Della rettorica) che a mio avviso Michelstaedter dispiega tutta la forza e la coerenza intrinseca del suo pensiero. Dopo poche pagine l’autore ci narra un bellissimo apologo (Un esempio storico) relativo al tentativo di Platone di superare la gravità, intesa come limitatezza dell’uomo, con la costruzione di un meccanismo, un aerostato che sollevasse i corpi verso il sole, ma di come Aristotele riuscì, con abilità retorica, a riportare sulla terra l’aerostato, che di per sé non aveva superato la gravità, ma era servito solo a mascherarla. E’ l’inizio di un attacco profondo alla società, che non risparmierà nulla, e che assumerà, come accennerò, anche toni profetici. Il primo, potentissimo affondo Michelstaedter lo riserva alla scienza e agli scienziati moderni, che hanno il solo compito di propalare false visioni oggettive della realtà, funzionali in realtà al solo perpetuarsi della società organizzata che rende l’uomo schiavo. L’autore critica tra l’altro fortemente la specializzazione, che riduce l’oggetto di ricerca a relazioni elementari e indipendenti e perde di vista la complessità degli organismi complessi.
Nel capitolo successivo oggetto della critica di Michelstaedter sono gli stessi elementi cardine della società borghese, l’illusoria sicurezza individuale socialmente garantita dal sistema dei diritti e dei doveri sociali, il dominio dell’uomo sull’uomo e sulla natura attraverso la proprietà privata, lucidamente vista come appropriazione del lavoro altrui (il nostro leggeva Marx in tedesco), il mito del progresso tecnico come portatore di benessere, che invece ha come finalità ultima perpetuare la schiavitù e ottundere le capacità critiche e di discernimento dell’uomo. Riporto una considerazione sul denaro, che secondo me rende bene l’idea della disperata capacità analitica di Michelstaedter: “Il danaro, il mezzo attuale di comunicazione della violenza sociale per cui ognuno è signore del lavoro altrui… sarà come divinità assunto in cielo, diventerà del tutto nominale, un’astrazione, quando le ruote [della macchina sociale] saranno così ben congegnate che ognuna entrerà nei denti dell’altra senza bisogno di trasmissione”. Beh, direi che ci siamo.
E’ comunque la parte riservata al linguaggio ed alla parola che secondo me è la più sorprendente e che basterebbe a fare de La persuasione e la rettorica un testo di valore assoluto. Con grande lucidità a preveggenza Michelstaedter ci dice che la società e il progresso ci porteranno inevitabilmente verso un futuro in cui le parole perderanno la loro valenza comunicativa, dove “Tutte le parole saranno termini tecnici quando l’oscurità sarà per tutti allo stesso modo velata, essendo gli uomini tutti allo stesso modo addomesticati. Le parole si riferiranno a relazioni per tutti allo stesso modo determinate… Gli uomini si suoneranno vicendevolmente come tastiera”. Come non vedere in queste frasi la lucidissima anticipazione di quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi, nell’epoca dei Jobs act, della lingua dei post e dei Like di Facebook? L’ultimo, splendido capitolo è destinato all’educazione, come strumento per preparare i giovani alla vita futura, per irreggimentarli separando il dovere dal piacere, promettendo loro ricompense in cambio dello studio prima e del lavoro poi.
Michelstaedter con questa seconda parte della sua opera si rivela secondo me un grandissimo pensatore, che partendo da una posizione radicalmente individualistica, antiidealistica e da un pessimismo cosmico di stampo leopardiano è lungi dal suggerire soluzioni di tipo superoministico o di darwinismo sociale, come fa molto del pensiero che prese le mosse in quel periodo da analoghi lidi, ma è in grado di analizzare – secondo me con una lucidità esemplare – le cause strutturali di tale pessimismo, non pretendendo di offrire soluzioni. Può rappresentare quindi un anello importante della sintesi, secondo me oggi necessaria più che mai, tra la critica sociale marxiana sfociata nel materialismo storico e l’analisi delle conseguenza della struttura sociale sull’individuo: è questa una delle poche strade che ci sono rimaste – a mio avviso – per costruire una nuova teoria della liberazione dell’umanità ed evitare il sicuro disastro verso cui il sistema ci sta portando. Ma il tempo stringe per davvero, ed il pessimismo di Michelstaedter è probabilmente fondato su solide basi!

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Marx, Nietzsche, Schopenhauer, Leopardi
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