Lo spregio Lo spregio

Lo spregio

Letteratura italiana

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Siamo negli anni Novanta, tra i monti al confine con la Svizzera. Franco Morelli detto il Moro ha ereditato dal padre la Trattoria dell’Angelo, e la fa fruttare come si deve: ma i soldi, quelli veri, li guadagna trafficando con prostitute e spalloni - e forse grazie ad altri affari ancora più oscuri e pericolosi. È un uomo chiuso, determinato: del tutto amorale. Ha un figlio - in realtà un trovatello, ma nessuno lo sa - che lo adora come un dio; e una moglie timida e servile - la cuoca - che gli serve solo per giustificare al mondo l’esistenza del piccolo Angelo. Ma Angelo, crescendo, scopre che cos’è in realtà suo padre; e anziché ripudiarlo decide di voler essere come lui, più di lui. Si lega d’amicizia con Salvo, rampollo spendaccione - ma non sciocco - di una famiglia del Sud in soggiorno obbligato. Ben presto però anche questa amicizia diventa competizione, e Angelo commette l’errore fatale: vuole essere come il suo amico Salvo, di più del suo amico Salvo.



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Lo spregio 2017-12-01 18:31:09 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    01 Dicembre, 2017
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La "morale del crimine".

Alessandro Zaccuri pubblica con Marsilio Lo spregio.
Anni Novanta: tra i monti, al confine con la Svizzera, si snoda una vicenda brutale, secca, spedita che pare ricordare la struttura della tragedia greca della quale manca solo il coro. Vengono richiamate le radici che sottintendono i conflitti del teatro greco: l’ereditarietà della colpa, l’ineluttabilità del fato. Il Moro (Franco Nerelli) ha ereditato dal padre la Trattoria dell’Angelo, ma i suoi guadagni provengono da traffici loschi con le prostitute e il contrabbando. Con la moglie, una donna insipida, timida e servile, ha allevato un trovatello, Angelo, che quando diviene consapevole delle proprie origini, anziché distanziarsi dal padre, desidera emularlo. Angelo si lega a Salvo, figlio di una famiglia meridionale in soggiorno obbligato, dopo una parentesi amichevole vuole superare in fama e in reputazione il suo amico. Lo “spregio” avrà terribili conseguenze. Il Lucifero della copertina sigla l’atmosfera incupita del romanzo. Storia di competizione, di sangue, di passioni violenti e virili dove la lotta è feroce sia tra padri e figli, sia tra fratelli. Si tratta di forme arcaiche e superstiziose anche nell’espressione della religiosità popolare. Emergono con forza la crudeltà e l’assurdità della cultura mafiosa in stile asciutto, tagliente, si direbbe ossuto. Quel ragazzetto che crescendo aveva cercato nei propri lineamenti una traccia evidente di quelli paterni senza poterla trovare, si era illuso che almeno gli occhi, grigi e trasparenti fossero quelli del Moro.. La rivelazione crudele della sua nascita avviene a scuola, consapevole del losco cammino del padre anziché disprezzarlo vuole incarnare il modello e superarlo. L’ambiguità inquietante prima, la vendetta mafiosa dopo, la “morale del crimine”, percorrono un romanzo che bene si presta a letture psicanalitiche e sociologiche, opera di un giornalista che conosce i tempi e i ritmi della narrazione.

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Lo spregio 2017-10-25 08:07:11 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    25 Ottobre, 2017
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Non c'è più lotta, solo punizione


Una storia dura, dolorosa e tutta al maschile.
La voce delle donne in queste pagine non si sente, è soffocata, è zittita da un mondo fatto di competizione, onore e codici tutti rigorosamente messi in atto da uomini.
I codici della malavita, quelli per cui un'offesa è un'offesa e non può rimanere impunita.
All'interno di queste pagine troviamo in primo piano il rapporto padre/figlio...anzi, una doppia coppia di "padre e figlio": il Moro e il suo Angelo e Don Ciccio e il suo Salvo.
Nord e Sud.
Contrabbandieri e mafiosi.
Genitorialità di fatto e genitorialità di sangue.
Il Moro non è un buon padre, ma ama suo figlio...seppur di un amore muto, inespresso, che troverà voce fuori tempo massimo.
Due rapporti così simili eppure così diversi, entrambi basati su un amore mai manifestato apertamente e su un gioco di emulazione al rilancio...non solo voglio essere come te, io voglio essere più di te!
E questa voglia di superare, di strafare, porterà Angelo allo "spregio"...che non è solo una mancanza di rispetto, uno sgarro, è di più...è come sputare sopra un qualcosa di sacro e calpestarlo sotto i piedi.
Sacro come può essere il fanatismo religioso, quello tipico della criminalità, che non ha niente a che fare con la fede, con Dio e tutto quello che vi ruota intorno.
Solo facciata, ma una facciata intoccabile...oltre la quale c'è il demonio da loro tanto temuto, come uno specchio riflesso.
E dopo lo spregio niente è più salvabile, "non c'è più lotta, solo punizione".

Una narrazione che taglia.
Non c'è una parola di troppo, tutto è asciutto, lucido, sobrio ...come se non fosse necessario usare troppe parole per spiegare, a volte basta un aggettivo, un dettaglio, a dire tutto.
Non so bene come spiegarlo a parole, ma la forza di questo racconto va ben oltre quello che c'è scritto...

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Lo spregio 2017-07-17 16:33:43 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    17 Luglio, 2017
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Uno spregio di cui risparmiarsi.

“Lo spregio” è un romanzo breve a firma Alessandro Zaccuri ambientato negli anni novanta. Siamo a ridosso del confine della Svizzera, Franco Morelli, detto il Moro, ha fatto fortuna con attività non proprio lecite in questi luoghi. Il bar ereditato dai genitori riveste la doppia funzione trattoria/attività di traffico di merce, prostituzione e rapporti vari con gli spalloni. E’ un uomo chiuso, rude, solitario. Quando tra la sterpaglia trova un neonato non esita un attimo a prenderlo con sé e a sposare Giustina, la timida e servile cuoca/cameriera dell’attività di facciata: avrebbe dovuto dichiarare a tutti che quel figlio era nato in casa e che se nessuno si era accorto del suo stato di gravidanza era a causa del lavoro che la relegava ai fornelli. Il nome del pargolo sarebbe stato Angelo, essendo questo un vero e proprio dono del cielo.
I primi anni di vita del ragazzo scorrono rapidi, è un giovane calmo, pacato e ben educato. Studia ed è gentile con chi ha accanto. Un giorno però, un giorno come un altro, una lite porta a galla quella che è la verità circa le laboriosità del padre e da allora il suo atteggiamento muta radicalmente: anziché odiarlo e decidere di essere diverso da lui, intraprende la stessa strada, lo emula. Non fatica così ad ottenere il diploma presso l’istituto alberghiero, non fatica a farsi un nome nella zona.
L’incontro con Salvo, coetaneo appartenente ad un clan mafioso trasferitosi al nord per vicissitudini interne, segnerà la sua vita. Inizialmente tra i due nasce una profonda amicizia, il figlio del Moro entra addirittura nelle grazie dei familiari dell’amico che con la loro forza e presenza gli garantiscono protezione. A nulla servono le raccomandazioni del genitore che a più riprese lo invita a non fare passi falsi, a non compiere sciocchezze. Ma “il trovatello” è impulsivo, brama la riscossione sociale, vuole essere il migliore e commette un minuscolo ma fatale errore, un errore che pagherà col più caro dei prezzi. Da qui, la necessità di “pagare” per quello “spregio” arrecato, per quello “spregio” subito. Da qui il risvolto in tragedia.

«E magari ci fosse solo il rispetto! Io ti offro un pane e tu non te lo prendi, perché pensi che non è buono. Questo è mancare di rispetto. Ma se tu il pane lo prendi, e poi appena mi volto ci sputi sopra, e lo butti per terra, lo calpesti, lo dai ai porci e alle galline, lo lanci ai cani.. Questo è lo spregio. E per lo spregio non c’è perdono, che San Michele mi protegga» p. 99

Dall’opera dell’autore emergono certamente problematiche degne di rilievo, tra cui, senza dubbio, la difficoltà del rapporto padre-figlio, essendo il Moro una figura fortemente silenziosa e chiusa che ama indiscriminatamente quel bambino piombato dal caso, mentre Angelo è un giovane ingenuo che non accetta la sua posizione, seppur privilegiata, così come non comprende la figura di quell’uomo che lo ha cresciuto. Anche per questo si affeziona e lega a Salvo, spregiudicato, spavaldo, e suo naturale opposto. A questa prima tematica si affianca quella della mafia e della realtà criminale con tutti i suoi connotati più crudi e duri.
Lo stile adottato è altresì scarno, essenziale, rude. Conseguenza di questa impostazione è una continua e perpetrante sensazione di lontananza dell’elaborato: questo non solo è percepito come un qualcosa di distante ed intangibile, ma fa anche titubare il lettore in merito a quelle che sono le intenzioni dello scrittore.
L’opera fatica inoltre a prendere avvio, è lenta, e ribadisco, a più riprese viene spontaneo chiedersi quale obiettivo avesse il compositore. Ancora, il testo, disturba, è irriverente, fastidioso. Nell’epilogo, non mancano, altri tratti e caratteri di una durezza e crudezza eccessiva.
Comprendo, a posteri, le motivazioni dell’impostazione e dei perché, ma francamente confesso che non mi ha convinto. Anzi. Una volta concluso quella domanda insidiosa tradotta nel “e quindi?” non è cessata ma ha continuato a riproporsi con un’altra serie di interminabili di quesiti correlati. Incompleto.

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