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Uomini e cani Uomini e cani

Uomini e cani

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In una immaginaria, ma più che verosimile, cittadina del Salento, chiamata Languore, non esistono buoni e cattivi, ma solo individui che lottano per la sopravvivenza, con rabbia, con brutalità, o con cieca disperazione; le sparatorie, le violenze, gli stupri, le sopraffazioni di ogni genere si susseguono, quasi a toglierci il respiro - né c'è differenza vera tra gli uomini e i cani che questi si sono scelti come compagni, altrettanto feroci e ottusi. Sullo sfondo di una natura riarsa, in una terra che sembra posta agli estremi confini del mondo, si consuma una serie di drammi strettamente intrecciati fra loro. E a raccontare questa umanità sconfitta e allucinata, c'è la lingua di Omar Di Monopoli - una lingua, è stato scritto, «tornita, barocca e dialettale».



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Uomini e cani 2019-07-22 05:28:26 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    22 Luglio, 2019
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Una sanguinosa zuffa tra cani

"Ragazzo, forse dove sei nato tu le cose sono diverse. Ma qua non basta un pezzo di carta per stabilire chi spara e chi no. Da ’ste parti, la gente si divide in due categorie: quelli che c’hanno una pistola in casa... e quelli che c’hanno un fucile!" L'avidità dell'imprenditoria senza scrupoli, appoggiata dalla politica e dalla malavita, le esigenze di tutela ecologica della neo eletta Riserva Naturale, le abitudini e l'attaccamento alla terra di chi non riesce a vedere altro mondo all'infuori delle quattro case diroccate di Torre Languirina, sono gli elementi alla base del libro d'esordio di Omar Di Monopoli. Interessi diversi che vedono coinvolte persone diverse, una guerra ancestrale tra ricchi e poveri, tra onesti e mafiosi, tra potenti e reietti, in cui gli uomini si ritrovano coinvolti in una sanguinosa zuffa che ricorda i combattimenti tra cani, finendo per confondersi con essi, travalicando il confine tra essere umano ed animale. Siamo in un angolo di costa ionica di cui il cielo sembra essersi dimenticato, lontano parente delle acclamate località turistiche tanto in voga, dove le autorità si fanno vedere solo quando lo richiedono gli interessi economici, dove civiltà e benessere sono concetti astratti, dove la gente si spezza ancora la schiena per tirare su un raccolto su un pezzo di terra dura come gli scogli. Un raccolto che la prima grandine può distruggere. Una terra, curata per anni, che sta per essergli sottratta per la salvaguardia di qualche uccello, mentre a pochi passi viene innalzato un mostro ecologico nel nome del progresso e del turismo. Un contesto crudo e realistico, che l'autore rende ancora più credibile infarcendo i dialoghi di espressioni dialettali rozze, sgrammaticate, spesso blasfeme, caratterizzando i personaggi con pochi ma significativi tratti, dimostrando di saper raccontare le storie degli ultimi, dei disadattati, degli sconfitti dalla loro stessa prospettiva. "Enrico, affossandosi ancor più sullo schienale della poltrona, fissò il donnone stupito, come se non l’avesse mai vista prima. … Quello che non vi entra in testa, dotto’, continuò la donna in tono dimesso ma severo, è che la gente di qua non riuscirà mai a digerire l’idea che ci si possa preoccupare tanto per un paio di uccelli e qualche albero, dotto’, mentre ci stanno cristiani che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, mentre ai contadini basta una brutta grandinata per vedersi sfumare un anno di fatica sciancaossa, mentre la conclusione dei lavori dello stadio comunale passa da più di dieci anni di giunta in giunta senza soluzione, e intanto in paese non esiste una biblioteca, un cinema o un circolo ricreativo, né un diavolo di bar dove i giovani possono incontrarsi senza pagare il pizzo a qualcuno… Ma, benedetto Signore, queste sono cose che potremmo ottenere proprio grazie a… Dotto’, lo interruppe ancora la grassona, qua a bbàsciu, dove ormai pure le lacrime e i sorrisi c’hanno rrubàto, non ci possiamo proprio credere che qualche papera spennacchiata c’abbia più diritto di noi a vivere una vita degna di questo nome".





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