Le notti di Reykjavik
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Il passato non si dimentica facilmente...
La notte può essere corta quando ci si diverte, lunga quando si soffre di insonnia, dolce se passata con la persona del cuore, ma per un agente della stradale, le notti non sono mai facili.
"Pensò alle notti di Reykjavik, così stranamente buie e freddi. Giorno dopo giorno, lui e i suoi colleghi giravano per città con quel poderoso cellulare e vedevano ciò che nessun altro poteva vedere: coloro che la notte provocava e tentava, e coloro che la notte straziava e spaventava."
L'agente semplice della stradale Erlendur mi mostra un volto diverso e inaspettato della capitale islandese. Ho sempre pensato a Reykjavik come ad una città mistica e remota; qui invece la trovo sotto una luce nuova.
Furti, risse, incidenti e violenze domestiche sono all'ordine del giorno, anzi della notte.
Il ventisettenne Erlendur, con un passato ingombrante alle spalle, si ritrova coinvolto nel caso di un senzatetto, morto annegato un anno prima, di cui la polizia, a suo tempo, non si è occupata più di tanto, facendo passare l'accaduto come suicidio visto che il barbone era ubriaco.
Alla ricerca di un gesto caritatevole o di una espiazione o forse per dare pace ai familiari della vittima e anche ai suoi fantasmi, Erlendur si ritrova ad indagare in veste non ufficiale. Presto un semplice suicidio diventerà qualcosa di più grande.
E' il primo romanzo che leggo dell'autore; Indridason ci fa conoscere il suo protagonista con il contagocce, un pò alla volta.
La trama e la lettura sono piacevoli, solo che mi sono sentita per tutto il romanzo come sospesa, una semplice spettatrice, non mi sono mai sentita veramente coinvolta, sono rimasta in superficie. Insomma, non sono stata catapultata a Reykjavik; ho apprezzato la sua scrittura, ma non ne sono rimasta incantata e poi mi ha lasciato un'immagine della città che non mi aspettavo.
Leggerò altro di lui, anche per dargli un'altra possibilità visto che è considerato uno dei migliori scrittori di gialli nordici.
Vi lascio con questa frase:
"La gente andava e veniva senza curarsi troppo del passato, costruendosi una nuova esistenza, un nuovo futuro. Era il ciclo naturale della vita, il tempo non aspettava nessuno."
Lo consiglio comunque.
Buona lettura!
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L’isola di fiordi e geyser
Arnaldur Indridason s’incunea nel filone dei gialli nordici e ne “Le notti di Reykjavik” ci conduce in Islanda: un paese che nel mio immaginario è un punto di accumulazione di iceberg, sorgenti di acqua bollente e fumarole... contrasti geografici che antagonizzano la totale assenza di una dialettica che, da noi, è un dato di fatto: l’alternanza tra la luce del giorno e il buio della notte.
“Le notti di Reykjavick” (“incidenti stradali, automobilisti ubriachi e risse nei locali notturni erano ordinaria amministrazione, così come gli insulti di certa gente”) sono quelle dell’agente Erlendur, un personaggio mite, ma caparbio e insistente, che possiede la determinazione cocciuta di molti detective della letteratura di genere.
In giovane età, durante un’escursione sui monti, Erlendur ha perduto un fratello: di lui non ha avuto più notizie, è scomparso. Sarà anche per questo precedente che l’agente s’interessa a casi di scomparsa e, tra questi, al caso di una donna vittima di un marito violento (“Avevano definito la donna una gioielleria ambulante”)…
Proprio nei giorni della sparizione di Oddny, Erlendur rimane impressionato da un altro episodio che movimenta la cronaca nera islandese: il clochard Hannibal – già vittima di un incendio doloso (“Diceva che qualcun altro aveva cercato di dare fuoco allo scantinato. Anzi a lui”) - viene ritrovato senza vita, apparentemente affogato nell’acqua paludosa della torbiera (“I più erano convinti che si fosse trattato di un incidente, che l’uomo fosse caduto in acqua e annegato”).
Attraverso gli interrogatori dei senzatetto e dei fratelli di Hannibal, Erlendur conosce il passato tragico che ha indotto una scelta di vita così drastica e si convince che la morte di Hannibal sia un omicidio bello e buono.
Tra nomi impronunciabili e scoperte fonetiche (ad esempio, lo sapevate che la lettera eth - maiuscola Ð, minuscola ð - scritta anche edh o eð, è una lettera dell'antico inglese e norreno, oggi ereditata dagli alfabeti islandese e faroese e corrisponde al digramma th dell'inglese?), ho preso atto con angoscia di alcuni orrori dell’etilismo (“Che schifo! Io non ce la farei, a bere il dopobarba”), ma ho anche ritrovato l’umanità che palpita sotto l’atmosfera algida dell’isola dei fiordi e dei geyser…
Bruno Elpis
Il commento viene pubblicato nella sezione recensioni di www.brunoelpis.it con alcune foto dell’Islanda.