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Le notti di Reykjavik
 
Le notti di Reykjavik 2014-11-30 08:01:53 Bruno Elpis
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    30 Novembre, 2014
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L’isola di fiordi e geyser

Arnaldur Indridason s’incunea nel filone dei gialli nordici e ne “Le notti di Reykjavik” ci conduce in Islanda: un paese che nel mio immaginario è un punto di accumulazione di iceberg, sorgenti di acqua bollente e fumarole... contrasti geografici che antagonizzano la totale assenza di una dialettica che, da noi, è un dato di fatto: l’alternanza tra la luce del giorno e il buio della notte.

“Le notti di Reykjavick” (“incidenti stradali, automobilisti ubriachi e risse nei locali notturni erano ordinaria amministrazione, così come gli insulti di certa gente”) sono quelle dell’agente Erlendur, un personaggio mite, ma caparbio e insistente, che possiede la determinazione cocciuta di molti detective della letteratura di genere.
In giovane età, durante un’escursione sui monti, Erlendur ha perduto un fratello: di lui non ha avuto più notizie, è scomparso. Sarà anche per questo precedente che l’agente s’interessa a casi di scomparsa e, tra questi, al caso di una donna vittima di un marito violento (“Avevano definito la donna una gioielleria ambulante”)…
Proprio nei giorni della sparizione di Oddny, Erlendur rimane impressionato da un altro episodio che movimenta la cronaca nera islandese: il clochard Hannibal – già vittima di un incendio doloso (“Diceva che qualcun altro aveva cercato di dare fuoco allo scantinato. Anzi a lui”) - viene ritrovato senza vita, apparentemente affogato nell’acqua paludosa della torbiera (“I più erano convinti che si fosse trattato di un incidente, che l’uomo fosse caduto in acqua e annegato”).
Attraverso gli interrogatori dei senzatetto e dei fratelli di Hannibal, Erlendur conosce il passato tragico che ha indotto una scelta di vita così drastica e si convince che la morte di Hannibal sia un omicidio bello e buono.

Tra nomi impronunciabili e scoperte fonetiche (ad esempio, lo sapevate che la lettera eth - maiuscola Ð, minuscola ð - scritta anche edh o eð, è una lettera dell'antico inglese e norreno, oggi ereditata dagli alfabeti islandese e faroese e corrisponde al digramma th dell'inglese?), ho preso atto con angoscia di alcuni orrori dell’etilismo (“Che schifo! Io non ce la farei, a bere il dopobarba”), ma ho anche ritrovato l’umanità che palpita sotto l’atmosfera algida dell’isola dei fiordi e dei geyser…

Bruno Elpis

Il commento viene pubblicato nella sezione recensioni di www.brunoelpis.it con alcune foto dell’Islanda.

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Commenti

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Bravo Bruno, hai scelto un libro che ti ha arricchito e che ti ha fatto rivalutare l'Islanda così come la conoscevi..ora anche in quel dove alberga una possibile dialettica...
Grande Bruno!
Ciao, Pia.
Ciao Bruno.
Hai interesse verso la letteratura nordica ?
Trovo che sia ad un livello mediamente alto.
Hai letto qualcosa dell'islandese Stefansson ?
Grazie Pia :-)

@ Emilio: no, non lo conosco... Grazie per la segnalazione :-)
Bere il dopobarba ?
In risposta ad un precedente commento
Bruno Elpis
03 Dicembre, 2014
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C.U.B., ti vorrei segnalare che gli etilisti di Reykjavik (avrò almeno imparato a scrivere in modo corretto il nome di questa città?) bevono anche alcol denaturato, che si procurano nelle farmacie, pur di dare alcol in pasto al loro sangue assuefatto... Terribile vero? :-)
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