Il mio assassino
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Un viaggio, una vita
Molti di noi conosceranno Pennac per la sua tribù dei Malaussène, una serie iniziata nel 1985 (da noi approdata con “Il paradiso degli orchi”, classe 1991) e che si ambienta a Belville. Sin da subito questa ha appassionato i lettori tra disavventure e avventure, in un microcosmo di ironia, sagacia che rende il grottesco e l’improbabile, armonioso e probabile. E con “Il mio assassino” Pennac si dona a tutti i conoscitori con tutti i suoi tratti salienti e più noti seppur in modo diverso.
Ed ecco allora che Pennac, dopo “Capolinea Malaussène”, classe 2023, torna ad offrire un piccolo testo dedicato a questa tribù di antieroi. Il testo si apre con un bambino, Lassalve, che sta viaggiando in treno da solo, con una borsa sulle ginocchia, una borsa in pelle che non è disposto a passare a nessuno e che non lascia per alcuna ragione. Perché davanti a noi abbiamo solo in apparenza un bambino, in realtà abbiamo davanti un personaggio già scafato, un già perfetto manipolatore che è pronto a sorprendere e stupire.
Questa è anche una delle più grandi capacità della letteratura; sorprendere per mezzo di espedienti anche paradossali, talvolta, ma che nel prendere qualcosa da ciò che circonda, nel creare volti innocenti e in apparenza puri, dona anche ben altro.
«[...] In letteratura è impossibile prendere in prestito qualcosa; le proposte che vengono da un altro fanno tutt'uno con lui, e invece, qualunque cosa scriviamo, alla fine sempre della nostra sostanza si tratta. Perdiamo la voglia di scrivere quando perdiamo il contatto con noi stessi.»
A una trama fatta di volti da scoprire, susseguono molteplici riflessioni del narratore, sulla realtà che ci circonda e su quei personaggi che ci accompagnano in questo viaggio. E da qui una riflessione sull’amicizia, perché chi ci è davvero amico? Quando possiamo definire tale una persona che abbiamo accanto? Quando lo disincarniamo e lo utopizziamo in qualcosa che magari non è? E se invece resta ciò che a noi è noto? Da qui seguono racconti autobiografici che ruotano attorno a riflessioni più universali ed ancora attorno all’amicizia e all’importanza che questa ha nella vita, come ruolo e come cardine.
«L'amico di cui facciamo il personaggio in un romanzo, lo incarniamo o lo disincarniamo? Bisogna che ci rifletta.»
Altro tema ricorrente che non manca tra queste pagine è la letteratura. Quanto le nostre letture ci influenzano nella vita? Quanto ancora ci permettono di trasformare su carta ciò che sognato?
Leggere ci accompagna nel nostro quotidiano vivere, ci accompagna in ogni situazione che fa parte del nostro crescere. Ogni giorno conosciamo un differente aspetto di noi anche per tramite di parole e parole che leggiamo e facciamo nostre, che sono parte del nostro percorso. In tutto ciò resta spazio per i legami, resta spazio per le passioni, resta spazio per l’autobiografia. Il tutto con quella punta sagace propria di Pennac.
«Che cos'è un amico? È qualcos'altro. Un giorno compare nella tua vita qualcuno che è altro dal suo lavoro, dalla sua famiglia, dalla sua razza, dai suoi titoli di studio, dalla sua cultura, dal suo sesso, dalla sua età, dalla lingua che parla, altro anche dal suo aspetto fisico o dalla sua utilità immediata: una sorpresa subito familiare.»
Ne “Il mio assassino” ritroviamo ancora una volta un Pennac senza paure, disinibito e pungente, amichevole ed ironico, eclettico e fuorviante, inaspettato e soprattutto libero.
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Una storia, una vita.
Ritorna Daniel Pennac, uno dei miei autori preferiti, con uno strano romanzo, "Il mio assassino", diviso in 64 brevi capitoli, in cui narra alternativamente la storia dei personaggi del libro e quella dei protagonisti dei suoi romanzi, in particolare quelli del celebre Ciclo Malaussène, Benjamin in primis, capro espiatorio di professione, con la sua chiassosa famiglia multietnica allargata. Il principale personaggio del libro è un ragazzino, Lassalve, di quattordici anni, smaliziato e sicuro di sè : è quello che diventerà poi Nonnino, il ricattatore criminale di Capolinea Malaussène, e che è qui all'inizio della sua lunga carriera di malfattore. Il ragazzino, nel corso dei capitoli, riesce ad assoldare due finti genitori con i quali organizza e pianifica magistralmente il rapimento di sè stesso, inducendo i genitori veri a pagare un riscatto. Riesce anche a sottrarre un grosso anello, con un'affilatissima lama incorporata, con la quale darà trionfalmente inizio alla sua carriera delittuosa. La storia è ben architettata in tutti i suoi particolari, con brio ed eleganza, ed è alternata ad episodi della vita di Pennac, gli incontri, le amicizie, i ricordi di una lunga carriera di scrittore e di docente: una sorta di autobiografia dove amici e conoscenti rivivranno poi nei personaggi che animano i romanzi dello scrittore, iniziando dal lontano 1985, quando fu dato alle stampe "Il paradiso degli orchi", l'inizio della famosa saga. Ed a rivivere non sono solo i ricordi personali, ma è un intero quartiere, quello di Belleville, della periferia parigina: un quartiere dove si mescolano popolazioni e razze diverse, diverse età, un quartiere che rappresenta, nel bene e nel male, uno spaccato della vita stessa.
Pennac descrive il tutto con nostalgia e commozione: è passato tanto tempo, ma lui sembra essere sempre lì, tra i ricordi più struggenti della sua vita: e non dimentica neppure di ammonire, con messaggi che inducono a riflettere sul passato e sui pericoli del presente. E' bene leggere a tal proposito il capitolo 33: vi si accenna alle distruzioni che una guerra comporta, alle ragioni stesse dell'ultima guerra ("il secondo suicidio mondiale nell'arco di vent'anni"), cercando anche di capire altre cause, quelle della "frenesia nazionalista, del cannibalismo nazista, dell'autodivoramento sovietico" e, non ultime, quelle della progressiva "uccisione dello stato di Diritto". Pur non essendo, se si riflette sul capitolo accennato, un romanzo politico, Pennac sembra sottolineare i pericoli che incombono nel momento storico in cui viviamo, momento di guerre locali in corso, momento in cui solo "il Grande Capitale se la caverà benissimo": Pennac va a ruota libera, senza peli sulla lingua. E' accusato, dagli amici che lo ascoltano, di eccedere in "scenate di terrorismo senile". Ma, forse, fa riflettere quella che l'autore chiama la "saggezza dell'antenato", con qualcosa, come afferma, dentro sè stesso che "piangeva lacrime vecchie come l'umanità". Ognuno, poi, leggendo il capitolo in questione è libero di interpretare il pensiero di Pennac come meglio crede. Terrorismo senile o saggezza dell'antenato?