Koto Koto

Koto

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La storia, dolcissima e disperata, di due sorelle, Chieko e Naeko, separate da un crudele e ingiusto destino che dopo averle fatte rincontrare, le separa nuovamente. Un'analisi sottile e delicatissima dei sentimenti, suggeriti più che espressi, il gusto raffinato della natura e dei paesaggi. Un romanzo scritto in punta di penna da uno dei maggiori autori di questo secolo, Premio Nobel 1968.



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Koto 2016-07-30 14:55:22 siti
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siti Opinione inserita da siti    30 Luglio, 2016
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Antica capitale

Romanzo breve dalla prosa venata di malinconica poesia, Koto è uno spaccato di vita, un affaccio discreto che mette momentaneamente alla ribalta un briciolo di umanità e tutta la sua carica emotiva.

Chieko è figlia adottiva di una coppia formata da un pittore e una commerciante, vive nell’antica capitale Kyoto , incontra per caso sua sorella gemella e si riappropria di una parte del suo passato. Le differenze sociali tra lei e Naeko impediscono un sereno proseguo del ritrovato rapporto che si chiude repentinamente come è nato.

Koto è il canto del cigno, è il tramonto del sole in una notte infinita, è l’intensità di un amore covato nel medesimo grembo , più forte del tempo e delle circostanze.
Koto è l’antica città imperiale che deve soccombere al mutare dei tempi, è lo splendore della natura, è la lentezza della cerimonia del tè, è la bellezza nascosta del particolare: una coppia di gemme su un acero maestoso, un dettaglio nella seta dell‘ohi.
kyoto è anche la città dei tessitori, dei kimono, delle feste, dei fiori in primavera e in inverno. Direi che è la vera protagonista del romanzo : la millenaria aperta all’Occidente, la malinconia della tradizione che va a tradirsi, a mutare, a sparire ingerendo tempi e ritmi non suoi, non naturali. È il sentimento della vita che tradisce, che soggioga, indurisce e abbruttisce ma è anche la forza di chi vuole rimanere fedele a se stesso, alla sua storia, alla sua tradizione. Le due sorelle, a mio avviso, con le loro scelte- l’una promessa sposa per convenienza, l’altra mancata sposa per rettitudine morale- incarnano il destino dell’antica capitale alla quale Kawabata ha voluto dedicare un delicato poema.

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Koto 2014-11-21 04:22:32 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    21 Novembre, 2014
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Kawabata per ogni stagione

“Koto” di Yasunari Kawabata ritrae l’anima del Giappone nell’avvicendarsi delle stagioni.

PRIMAVERA

“Chieko scoprì le violette fiorite sul tronco antico dell’acero”. Sono due, i cespi di violette che occupano gli interstizi di un tronco. Ed è preludio di un legame gemellare che attraversa il tempo scandito dalla natura. Nell’attenzione verso creature anche piccole (“A un tratto si ricordò dei grilli-campanari che allevava nel vaso Kotamba”), nell’esplosione floreale (“Si avvicinava l’ora dell’appuntamento per andare a ammirare i ciliegi in fiore”), passeggiando con grazia tra ritagli di paesaggio (“Shinichi attraversò il lago passando da una all’altra delle pietre che costituivano il cosiddetto sawatari. Erano pietre rotonde simili a sezioni di colonne dei giganteschi portali dei parchi sacri. In qualche punto, Chieko sollevò leggermente l’orlo del kimono”) e luoghi di culto (“Vorrei andare al tempio Kiyomizu… Da lassù mi piace guardare la città di Kyoto al crepuscolo e il tramonto sopra i monti a occidente”), lasciando affiorare il dilemma identitario (“Trovatella?”) della protagonista, figlia adottata da un imprenditore tessile che si diletta a confezionarle abiti e si lascia attrarre dal richiamo della geisha…
Il rigoglio vegetale trionfa nell’orto botanico di Kyoto, e son cinnamomi, alberi della canfora, salici e tulipani a non finire, poi si celebra nella geometria verticale dei cedri del Kitayama (“Per far crescere i cedri alti e dritti, tagliano con l’accetta tutti i rami. Si arrampicano come scimmie su scalette e poi passano da un albero all’altro”).

ESTATE

La leggiadria del creato addolcisce ogni trama umana, perché “gli uomini, nella loro vita, combinano sempre una o due cose tremende. Prendere un bambino altrui è più grave che rubare denaro… più grave anche di uccidere, forse”.
L’estate è un temporale che esplode, luglio è il mese della celebrazione di una festa che – come il coribantismo dell’antica Grecia – rappresenta nelle civiltà evolute il senso di un’identificazione spirituale e culturale che riesce con successo, nella liturgia di un rito ritmato dai tamburi, a contrapporre la collettività all’individualismo e alla solitudine.
“La festa di Gion… dura l’intero mese… il carro con l’alabarda dell’iki-chigo – il fanciullo celeste – apre il corteo…”
Il bimbo prescelto sposa gli dei e, nella ricorrenza, la ventenne Chieko ritorna al suo amore bambino per Scinichi:
“A quel tempo dovevano avere entrambi sette o otto anni”
“Non si è mai vista neppure una femminuccia, così bella!”
Possibile che sia già ora di rimpiangere il passato (“Non torneremo più così piccoli, eh?”)?

AUTUNNO

Viene il tempo delle “sorelle in pieno autunno”. Si sono ritrovate e recuperano il legame del grembo materno.
La stagione è quella del richiamo del sangue, lo stesso che tinge le foglie caduche: “Chieko avvertì un dolore in petto. Quel suo desiderio di visitare il paese dei cedri, di veder quegli alberi, non era stato il richiamo dello spirito del padre?”
Ma l’autunno è anche la stagione dei colori di kimono e obi che l’artigiano Hideo (“la bottega di Hideo-san fabbrica obi”) confeziona per gemelle dall’ambivalente identità personale (“Io non sono certo una visione! Sono la vostra gemella!”) nel complicato gioco dei rapporti umani: “Hideo-san voleva sposare lei, Chieko, ma rassegnandosi all’impossibilità intendeva ripiegare su Naeko che le somigliava perfettamente”.

INVERNO

Anche la stagione fredda ha i suoi “fiori d’inverno” (“Tutte le foglie degli aceri cadute e l’inverno già sui piccoli rami”). La natura si spoglia, ma non sfiorisce nella nudità (“Le poche foglie lasciate a corona in cima ai cedri perfettamente dritti parvero a Chieko fiori dell’inverno!”), “c’è aria di nevischio” e “nell’aria… una specie di gelida foschia”.
Le sorelle piangono e dormono insieme e per Chieko è tempo di una nuova consapevolezza (“Shinichi era stato suo compagno dall’infanzia fino al liceo, era molto cortese e certo le voleva bene, ma non aveva mai detto parole che le mozzassero il respiro come quelle di Ryusuke”).

Lo stile di Kawabata mi ha catturato. Nei dialoghi lo scrittore, premio Nobel nel 1968, spesso inserisce quest’espressione: «…», quasi a esprimere l’ineffabile, o forse per invitare il lettore a interpolare la discussione dei personaggi.
“Koto” è un romanzo poetico e magico, come magico è il regalo di un amico, come magica è la scoperta di una cultura così diversa, ma profondamente vicina alla sensibilità di chi si lascia conquistare dalle manifestazioni artistiche dello spirito universale che attraversa il globo. E che mi fa chiedere, con Kawabata: “E se tutti gli uomini fossero gemelli?”

Bruno Elpis

P.S. Questo commento viene pubblicato nella sezione “recensioni” di www.brunoelpis.it con alcune foto in albumina dell’ottocento giapponese, esposte alla mostra di Lugano.

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Koto 2013-08-20 14:56:36 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    20 Agosto, 2013
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Cedri, aceri e violette

Leggere Kawabata significa immergersi nel silenzio deliziando gli occhi dei colori e dei sussulti della natura.
Le immagini della bellezza, dell'eleganza, della solitudine della natura scorrono tra le pagine, scandendo il ritmo di una narrazione povera di eventi e ricca di sensazioni.
I ciliegi, i cedri, i cinnamomo, gli aceri, le violette sono vita, sono emozioni, sono una galleria di fotogrammi poetici. Così come la lavorazione certosina di un obi o di un kimono.
I personaggi sono tratteggiati dagli stessi dialoghi secchi e brevi di cui si rendono protagonisti, facendo emergere tradizioni millenarie, lontane dalla cultura di stampo occidentale.
Usi e costumi della città di Kioto si materializzano tra le pagine in maniera semplice ma avvolti in un'aura elegante e misteriosa al tempo stesso.

La penna di Kawabata è lirica, delicata, a tratti “introversa” quando sembra seguire i pensieri dell'autore a scapito della fluidità narrativa.
E' una lettura totalizzante perchè ti trasporta in un altro mondo richiedendo attenzione e comprensione; comprensione per un mondo retto da tradizioni ataviche che regolano i principi posti a base della famiglia, della società, del lavoro, dell'amore.

“Koto” è un romanzo breve eppure intenso e illuminante per coloro che volessero avvicinarsi alla letteratura nipponica e ad uno stile espressivo originale, che nella semplicità linguistica e nella fusione spirituale con gli elementi naturali trova la propria foce per raggiungere il mare sconfinato dell'essenza dell'uomo e dell'io.
Per chi riuscirà ad entrare nella penna e nella mente di Kawabata si manifesterà un mondo magico e reale, solitario e passionale.

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Koto 2013-04-26 08:42:45 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    26 Aprile, 2013
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Koto

Che io non ami lo stile di scrittura di Yasunari-san e' una certezza, pero'... Pero' se poi ci ritorno non e' masochismo, tutt'altro, io adoro i suoi contenuti, i luoghi, i personaggi, la delicatezza, la potenza evocativa.
Kawabata e' una penna molto particolare, i suoi libri li leggo almeno due volte in uno scorrere poco lineare, una frase e poi il capoverso prima, andiamo avanti e dietrofront.

Koto e' il romanzo di due sorelle gemelle, Chieko e Naeko, separate da neonate che si ritroveranno da adulte. Koto e' una ragazza che si ostina ad indossare gli obi disegnati dal padre, benche' molto classici e poco adatti alla sua eta', semplicemente poiche' lei li trova bellissimi.
Ma Koto e' soprattutto il fascino di Kyoto, della splendida citta' imperiale illuminata dal fiorito mese di maggio, coi santuari gorgheggianti di feste e tradizioni, tra boschi di ciliegi e bambu', aceri e cinnamono, cerimonie del te' e botteghe artigiane .
Koto e' infine imparare ad abbandonare la nostra visione di bellezza verticale, dove i petali di un fiore che lasciano il ramo portano al decadimento. Osservare invece i fiori di ciliegio che si posano a terra , e adagiandosi in una mareggiata di rosa e bianco offrono bellezza a colei che custodisce le loro radici:bellezza orizzontale.

Se titoli come I CEDRI DEL KITAYAMA, IL VERDE DEI PINI, TINTA D'AUTUNNO vi lasciano indifferenti, il libro forse non fa per voi, diversamente sappiate che Kawabata compone un romanzo che non e' indispensabile leggere, non e' acqua che disseta , non e' il drink d'intermezzo che porta allegria.
Potremmo accostarlo a un vino rosso invecchiato, corposo, importante. Non devi berlo per forza, non e' scontato che tu lo amerai... Ma se e' cio' che vuoi, il gusto nobile e' impareggiabile. Questo vino puo' forse essere bevuto in un bicchiere di plastica ? Sarebbe una condanna a morte, serve il cristallo per certi vini ed ora vengo al punto. Se deciderete di leggere Koto, vi prego lasciate perdere gli e-books, degnatelo della carta che merita. Ho avuto la fortuna di trovare per due spiccioli un copertina rigida Rizzoli 1968 e vi assicuro che sfogliarlo non e' stato solo leggere di due violette nate nel tronco di un antico acero. E' stato toccare il velluto dei piccoli petali, annusare il profumo delicato mischiato alla corteccia dei secoli.

Buona lettura.

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