I detective selvaggi I detective selvaggi

I detective selvaggi

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I detective selvaggi è un romanzo di formazione; ma è anche un romanzo giallo nonché, come tutti quelli di Bolano, un romanzo sul rapporto tra la finzione e la realtà. Un libro, ha scritto un critico messicano, "simile a uno stadio dove la gente entra ed esce in continuazione", e dove, come avviene in 2666, si incrociano e si aggrovigliano, spesso contraddicendosi, le "versioni" di un'infinità di personaggi (tutta gente che "on the wild side" non si è limitata a farci un giro): poetesse scomparse nel deserto del Sonora e puttane in fuga, ex scrittori di avanguardia e magnaccia imbufaliti, architetti vaneggianti e poliziotti corrotti, cameriere libidinose e poeti bisessuali, e poi avvocati, editori, neonazisti e alcolizzati.



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I detective selvaggi 2022-05-23 17:30:58 Menti55
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Menti55 Opinione inserita da Menti55    23 Mag, 2022
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Alla ricerca della "poesia".

La recensione contiene spoiler.
Il romanzo di Bolaño è diviso sostanzialmente in due parti: una parte, costituita dal primo e dal terzo capitolo, cronologicamente conseguenti, che vede agire in prima persona i cosiddetti “detective” Arturo Belano e Ulises Lima e il secondo capitolo, la parte centrale e più ponderosa del romanzo – occupa circa 460 delle 680 pag. complessive di cui è composto il libro – in cui i due non appaiono mai direttamente. Ambientato agli inizi degli anni ’70 Arturo e Ulises pur proclamandosi depositari di un movimento letterario (di poesia) denominato realvisceralismo fanno risalire le radici di tale movimento ad una “poetessa” di alcuni decenni precedenti, Cesárea Tinajero. Di costei però vi sono solo frammenti di ricordi, non si hanno certezze della sua stessa esistenza e sembra essere rimasta un’unica poesia che più avanti si rivelerà un semplice “enigmatico” disegno. Il primo capitolo si apre con la voce narrante del giovane Garcia Madero, giovane di belle speranze con nessuna voglia di completare gli studi di giurisprudenza cui lo zio l’ha avviato. Appassionato di letteratura, e lui stesso aspirante poeta, si avvicina al mondo di Arturo e Ulises “vergine” e con una gran fame di vita. “Perditempo”, guidato dalle sue velleità di scrittore, si aggira per la sua città tra bar, prostitute, gangster, sedicenti poeti e scrittori, insomma persone di varia e diversa umanità. All’interno di questa umanità, in questo peregrinare senza meta, affascinato da un mondo con poche regole, Garcia finisce per imbattersi anche in Arturo e Ulises nei cui confronti tutti sembrano avere una sorta di adorazione/soggezione. Il primo capitolo si conclude con la partenza di Garcia, Arturo e Ulises che scappano in auto per mettere in salvo Lupe, una prostituta in fuga dal suo magnaccia, Alberto. Il secondo capitolo costituisce la parte straordinaria del romanzo di Bolaño e si sviluppa con uno scarto temporale che arriva fino a metà degli anni novanta. In questa parte centrale il lettore sembra immerso in una bolla da cui entrano ed escono un gran numero di personaggi (un critico lo ha definito un treno da cui salgono e scendono persone). Ognuno di loro racconta il suo rapporto con i protagonisti e con la presunta, mitica fondatrice del realvisceralismo. Il fil rouge del lunghissimo capitolo è dato proprio dai ricordi dei personaggi che si affastellano in questo secondo capitolo. L’aleatorietà che circonda l’esistenza di Cesárea fa sì che gli stessi ricordi di questi personaggi si confondono tra realtà, fantasia e invenzione. Ognuno, a modo suo, descrive le vicissitudini di Arturo e Ulises in giro per il mondo contribuendo a delineare la personalità dei due. Nel terzo capitolo Bolaño torna alla fuga con cui si era concluso il primo. Fuga che nel frattempo si è tramutata in un viaggio alla ricerca di Cesárea o, quantomeno, di prove che testimonino della sua esistenza. È da questa ricerca di indizi, prove, tracce al confine tra Messico e Sud America che, a mio avviso, scaturisce il titolo stesso del romanzo. Il ritrovamento di Cesárea manda in frantumi la figura mitica che circondava la “poetessa”. A fronte di un quadro che nel corso del romanzo aveva idealizzato il personaggio, i quattro – Arturo, Garcia, Lupe e Ulises – trovano, in pieno deserto, in un paesino di pochissime case, (la città degli Assassini) una donna enormemente grassa, sciatta, intenta a lavare i panni. Nel frattempo, quasi nello stesso momento, nel paesino arriva anche Alberto, il magnaccia di Lupe, che non aveva mai smesso di inseguirli, determinato a riportare Lupe all’ovile. Ma nella lotta corpo a corpo che si sviluppa tra Arturo e Alberto interviene Cesárea che, nello scontro, perde la vita insieme ad Alberto stesso. L’immagine di Cesárea che ci regala Bolaño, in una sorta di catarsi, è una fine eroica che riscatta la deludente figura anonima che avevamo visto al momento dell’apparizione della stessa. Un cerchio che si chiude su Cesárea attraverso un percorso che dal mito svela una deludente realtà e, con l’ultimo atto di eroismo che salva Arturo e strappa Lupe dalle grinfie di Alberto, la riconsegna al mito.

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La letteratura "on the road" americana e non solo...
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I detective selvaggi 2019-12-09 06:56:26 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    09 Dicembre, 2019
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VIAGGIO POETICO E SENTIMENTALE

“C’è una letteratura per quando ti annoi. Fin troppa. C’è una letteratura per quando sei calmo. Questa è la letteratura migliore, io credo. C’è anche una letteratura per quando sei triste. E c’è una letteratura per quando sei allegro. C’è una letteratura per quando sei disperato. Quest’ultima è quella che volevano fare Ulises Lima e Belano.”

I “detective” del titolo sono Ulises Lima e Arturo Belano, i fondatori di un velleitario movimento poetico d’avanguardia messicano, autodenominatosi “realvisceralismo”, i quali, nella terza parte del libro (che in realtà è cronologicamente la seconda), vagano nel nord del Messico alla ricerca di Cesarea Tinajero, la mitica fondatrice, mezzo secolo prima, di una corrente poetica che portava lo stesso nome e che il tempo trascorso ha destinato all’oblio. Il folgorante romanzo di Roberto Bolaño è, se così si può dire, un’opera “in absentia”. A mancare è innanzitutto l’oggetto dell’investigazione, la fantomatica poetessa che ha lasciato ai posteri una sola poesia (che è in realtà un enigmatico disegno) e che i due giovani ritrovano, invecchiata, abbruttita e dimenticata praticamente da tutti, solo per vederla morire tra le loro braccia (in uno scontro a fuoco con un magnaccia che li aveva inseguiti per riprendersi una prostituta in fuga che sta viaggiando in loro compagnia). A mancare, o meglio a rimanere sullo sfondo, sono poi, e soprattutto, i due protagonisti, che non compaiono mai in prima persona, ma che il lettore segue grazie al diario di un entusiasta diciassettenne alla scoperta del sesso e della poesia (nella prima e terza parte), e (nella lunga parte centrale) alle interviste di una miriade di personaggi i quali, nell’arco di una ventina d’anni, hanno avuto la ventura di incrociarli per le strade di mezzo mondo (Messico, Spagna, Francia, Austria, Israele, Africa): culturiste, teppisti, alienati mentali, autostoppiste, omosessuali, immigrati clandestini, ereditiere anoressiche, avvocati logorroici, fotografi free-lance, scrivani pubblici, e poi – naturalmente – poeti di tutte le risme, giovani o vecchissimi, famosi (Octavio Paz) o misconosciuti, vanagloriosi frequentatori delle fiere del libro o autori che non hanno mai pubblicato un verso, tradizionalisti o avanguardisti. Da questo originale procedimento, il ritratto di Belano e Lima appare sempre un po’ sfuocato (chi sono veramente i due: sinceri idealisti alla ricerca delle radici della poesia messicana o semplici avventurieri, eroici apostoli di una stagione irripetibile dell’arte sudamericana o patetici avanzi di una boheme che con gli anni li ha relegati ad un ruolo di tutt’altro che epica marginalità?), ma quello che conta è lo sfondo, una narrazione policentrica fatta di rapidi schizzi, fugaci accenni, veloci notazioni, eppure in grado di dare corpo, come in un collage, a un mondo e a un’epoca potentemente originale e affascinante.
Alla fine quello che rimane è soprattutto il senso del tempo che passa e inesorabilmente cancella ogni traccia delle ambizioni, degli ideali e delle speranze della gioventù. Ulises Lima e Arturo Belano nel corso del libro diventano come Cesarea Tinajero, dapprima prepotentemente alla ribalta della vita (nell’età dei vent’anni e di una giovinezza che sembra non dover mai finire e può permettersi il lusso di venire sprecata con disinteressata noncuranza), e poi sempre più sfuggenti e inafferrabili, fino a diventare delle misteriose ombre in dissolvenza. Bolaño sembra dirci che il significato della nostra esistenza rimane al di là della comprensione degli altri, e che quando si cerca (come i due “detective” con Cesarea) di portarlo alla luce si finisce solo per distruggerlo (in questo senso, la morte di Cesarea altro non sarebbe che una metafora). Forse a resistere al tempo è solo la “memoria sentimentale”, arbitraria, parziale e non oggettiva, che pure sa conservare, sublimate, le uniche immagini che (meglio di qualsiasi opera o testo scritto) meritano di sopravvivere, quelle – privatissime e non tramandabili – del cuore (come avviene con Amadeo Salvatierra, il vecchio scrivano che era stato segretamente innamorato di Cesarea in gioventù). Queste considerazioni, per quanto permeate da uno svagato understatement e da un impalpabile umorismo (che sembrano essere le cifre stilistiche dell’autore), danno al romanzo un innegabile tono elegiaco, che impregna di sé anche l’altra protagonista sullo sfondo, la “messicanità”, di cui “I detective selvaggi” sembra porsi nel suo insieme come una singolare ed eccentrica allegoria.

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I detective selvaggi 2018-04-22 11:00:07 CortaZur
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CortaZur Opinione inserita da CortaZur    22 Aprile, 2018
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Poeti on the road che sembrano detective. Il Bolan

I Detective Selvaggi – R. Bolano
Finalmente ho letto un libro del famoso Bolano, ho deciso di iniziare dai Detective Selvaggi in quanto appariva il piu` alla portata tra quelli scritti, o almeno cosi ho letto da qualche parte. Lo dico subito per chi volesse fermarsi a leggere questa piccola recensione subito: e` un libro bellissimo!
Il romanzo si divide in tre parti, nella pirma e nella terza si fa la conoscenza del movimento realvisceralista, dei suoi componenti e soprattutto dei due maggiori protagonisti Belano e Lima; mentre la seconda parte e` una raccolta di testimonianze di una miriade di personaggi che raccontano la loro esperienza, un loro pezzo di vita e come hanno avuto a che fare con i due protagonisti sopra citati. Attraverso le pagine si incontra tutta la societa` messicana, con il tipo di vita, gli stili e le atmosfere del Paese e si incontrano avvocati, architetti, puttane e poeti; si incontra di tutto. Via via che le pagine scorrono si sale in auto verso i deserti del Sonora e il romanzo prende i connotati di un poliziesco on the road, con salti temporali avanti e indietro tutto alla ricerca della poetessa perduta, faro del realvisceralismo. Il romanzo si intreccia, le versione si contraddicono e i personaggi si moltiplicano creando un universo Boalanano che ho l’impressione non finisce con questo libro ma si espande anche agli altri suoi libri.
Seguirli in questa ricerca lascia scoprire numerosi poeti, lascia trasparire il sentimento di ribellione al conformismo dell’elite messicana (di tutte le elites) del tempo e vede evolvere, crescere, realizzare e svanire gli effetti di tale ribellione proprio come ci si aspetta in un romanzo di formazione com’e` questo.
Ho apprezzato ancora di piu` la lettura sapendo che quello che leggevo era una sorta di biografia edulcorata (neanche troppo) della vita di Bolano (Belano) e del suo migliore amico nel romanzo chiamato Ulises Lima, una vita contorta, travagliata e in una sola paola VISSUTA. Splendidamente, almeno romanzescamente.
I Detective Selvaggi e` un libro assolutamente da leggere, non lascera` insoddisfatti e soprattutto vi fara` sentire giovani di nuovo o ancora piu` giovani se gia lo siete, fara` sentire quella verve che si ha da ventenni e fara` venire voglia di seguire i sogni senza preoccuparsi di dove si va a finire. Si, posso dire questo, I detective e` un grande romanzo e Bolano e` un grande scrittore e sono contento di averlo scoperto, ho cosi tanto da leggere di lui ancora...

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Borges, Cortazar o chiunque abbia piacere a leggere un autore maiuscolo.
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I detective selvaggi 2015-08-16 10:45:11 pirata miope
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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    16 Agosto, 2015
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VENTRILOQUO MALEDETTO

Riduttivo definire “I detective selvaggi”, opera del cileno Bolano (1953-2003), un romanzo. Leggendo infatti ti trovi sommerso da una fantasmagoria di volti, paesaggi, strade e vicoli di metropoli, bar, soffitte, grotte sul mare, redazioni di scalcagnate riviste, campeggi squallidi: ascolti il racconto di un prodigioso ventriloquo, mille voci, borseggiatori, vagabondi, prostitute, artisti maledetti, giornalisti in zone calde, fortunati vincitori di lotterie, marxisti eretici, architetti chiusi in manicomio, ti rimbombano nelle orecchie e non sai se sia una sola. In realtà il libro narra l’epopea di un' intera generazione di sognatori e intellettuali sudamericani, giovani negli anni 60-70’, traditi dalla Storia nelle loro aspirazioni, artistiche o politiche, comunque utopistiche. I cantori del fascino di una stagione di speranza e del suo malinconico svanire sono molti, ma a marcare la differenza è la tecnica adottata da Bolano: “i detective selvaggi” è una ricucitura di racconti/ testimonianze che per molti aspetti fa venire in mente l”oral composition” omerica. La figura mitica che tiene insieme le varie composizioni è la poetessa Cesàrea Tinajero fondatrice del movimento poetico d’avanguardia a Città del Messico, i “realvisceralisti”, e misteriosamente scomparsa nel niente. Arturo Belano e Ulises Lima, velleitari suoi epigoni, spacciatori, pitocchi ed avventurieri, si mettono sulle sue tracce, poi lasciano il Messico e vanno in giro per il mondo, lasciando un’impronta di sé indelebile in tutte le persone che li hanno conosciuti, li hanno amati, ne sono stati affascinati e in loro si sono specchiati. Cesàrea, Arturo e Ulises sono personaggi evanescenti, ambigui, sfuggenti, quasi più simbolici che reali: è l’ossessione di loro che il libro con la sua esasperata polifonia persegue in tutte le sue 800 pagine Ma chi sono davvero, se il testamento spirituale di Cesarea non è che un disegno, una linea diritta, una linea ondulata e una linea spezzata? Essi rappresentano tutto ciò che si oppone alla normalità borghese ovvero ciò che solo poesia e arte in genere si fanno carico di rappresentare:l’avventura, lo spleen, il viaggio, la follia, l’amore, l’eros, la grazia della giovinezza, e infine la perdita delle illusioni e la sconfitta di ogni ideale. Insomma detective selvaggi, come poeti maledetti o picari, sbeffeggiatori delle convenzioni in nome del vivere.

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I detective selvaggi 2015-04-10 08:59:47 Carmine
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Opinione inserita da Carmine    10 Aprile, 2015

La labirintica ricerca di qualcosa che non c'è

Un romanzo plurale, nelle forme e nelle voci. Già da subito scorrendo l'indice di questo ampio volume ci accorgiamo della tripartizione del romanzo: "Messicani perduti in Messico (1975)", "I detective selvaggi (1976-1996)", "I deserti del Sonora (1976)". Questa tripartizione non è solo contenutistica, ma ci troviamo di fronte a due diversi andamenti narrativi: la prima e l'ultima parte in forma diaristica; la seconda, parte centrale e più estesa di tutto il romanzo, in forma testimoniale. Quello che fin da subito ci sembra il protagonista, il poeta Garcia Madero, non è altro che un narratore, una tra le tante voci che prenderanno parola lungo il nostro viaggio di comprensione. Comprensione di cosa? Del comportamento e della vita di Arturo Belano e Ulises Lima, i veri detective selvaggi del titolo. Alter-ego dell'autore e del suo migliore amico (Mario Santiago Papasquiaro), i due poeti realvisceralisti non prenderanno mai la parola, ma le loro avventure, la loro ricerca, verrà messa in luce dagli amici, i parenti, e tutte le persone che grottescamente incontreranno nella loro slancio vitale. E' il romanzo della diversità, della pluralità, in cui il mondo è rappresentato in tutte le sue sfaccettature, e di cui mostra l'insensatezza di fondo. I personaggi sono impulsivi, animaleschi, agiscono più che pensare; il loro momenti di introspezione sono epifanici, a squarci, in uno sfondo di non-sense. La trama è abilmente frammentata, non c'è linearità, mentre sembra andare verso una direzione ben precisa ecco scattare qualcosa, ecco che il mondo cambia. Il tema della quete, della ricerca, è ben chiaro dall'inizio: la ricerca della leggendaria poetessa Cesarea Tinajero. Ma è una ricerca inconcludente, spezzata e intervallata da digressioni, viaggi onirici e storie alternative. Le voci che intervengono utilizzano l'incontro con i due poeti sudamericani come pretesto per parlare della propria vita, in questo ossessivo desiderio di essere ascoltati. Un viaggio folle, grottesco, divertente ed inquietante, orchestrato da una penna tra le migliori della fine del secolo scorso. L'aforisma "non è la meta che conta, ma il viaggio" sembra fatto su misura per Bolano, che vi terrà incollati alla pagina, fino a che ne vorrete ancora, e ancora, e ancora.

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