L'americano tranquillo L'americano tranquillo

L'americano tranquillo

Letteratura straniera

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Indocina francese, durante i giorni della sconfitta di Dien Bien Phu: è la fine dell'impero coloniale francese e l'inizio dell'"avventura" americana in Estremo Oriente. In questo scenario, due uomini sono a confronto. Pyle è "un americano tranquillo", un soldato lontanissimo dal carattere dei suoi connazionali, rumorosi, volgari, infantili e prepotenti. Ma è anche un uomo profondamente convinto del "grande sogno americano", e le sue ferree posizioni e il suo fanatico idealismo non vengono intaccati neppure dalla vista delle vittime degli attentati di cui egli stesso è, per la sua logica, artefice innocente. "Pericolosamente innocente", come si rende ben presto conto l'altro protagonista del romanzo, il cronista inglese Fowler, e tanto più terribile, perché la sua innocenza nasce dall'ignoranza e dall'incapacità di comprendere la realtà che sta davanti ai suoi occhi.



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L'americano tranquillo 2018-11-22 07:46:43 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    22 Novembre, 2018
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L'AMBIGUO CONFINE TRA IDEALISMO E DISIMPEGNO

“«Può tenermi fuori» dissi, «non c’entro niente. Proprio niente» ripetei. Era un mio articolo di fede. Dato che la condizione umana era quella che era, che si facessero pure la loro guerra, che si amassero, che si ammazzassero, io non volevo essere coinvolto. I miei colleghi giornalisti si facevano chiamare corrispondenti. Io preferivo la qualifica di reporter. Scrivevo quello che vedevo. Non prendevo parte all’azione, e anche un’opinione è una specie di azione.”

Se Greene non si fosse limitato a scrivere romanzi di ridotte dimensioni, con tutta probabilità egli avrebbe composto i “Fratelli Karamazov” o il “Delitto e castigo” del XX secolo. Infatti la scrittura di Greene assomiglia molto a quella di Dostojevskij: c’è in essa, perlomeno nelle sue opere serie, una fortissima tensione etica e, soprattutto, una costante volontà di mettere i suoi personaggi di fronte a situazioni e a scelte di straziante difficoltà, anche a costo di far vacillare quei principi religiosi in cui lo scrittore inglese, cattolico impegnato, credeva fermamente (basti pensare al suicidio del protagonista de “Il nocciolo della questione”). “L’americano tranquillo” non fa eccezione a questa regola (come pure ad altre, meno importanti ma non per questo meno caratteristiche, quali l’ambientazione in località lontane dall’Europa o dagli Stati Uniti, come l’Africa Occidentale de “Il nocciolo della questione” o il Centro America de “Il potere e la gloria”): la guerra in Indocina che fa da cornice storica al romanzo è infatti il laboratorio in cui Greene sperimenta e fa interagire tra loro le proprie ossessioni morali, quali il problema di Dio, il libero arbitrio, lo scontro tra ragione e sentimento, il dovere di prendere posizione nella scelta tra bene e male, la colpa e la redenzione, e così via. Non è difficile pertanto vedere nei due personaggi principali, il reporter inglese Fowler che narra in prima persona e l’americano Pyle che dà il titolo al libro, altrettante figure archetipiche, un po’ come Ivan e Alesa Karamazov (ma, se possibile, dotati di ancor maggiore ambiguità, se non altro perché qui non c’è, a differenza dei “Fratelli”, alcun eroe positivo). In essi si incarna infatti il dualismo tra disimpegno e idealismo: da una parte il cinismo, la neutralità désengagée di Fowler, il quale non sta con nessuno – né con i francesi né con i vietminh - ma che, come ogni uomo è chiamato a fare in ogni circostanza della sua vita, così nel suo intimo (la fede) come nel sociale (il rapporto con gli altri), alla fine è costretto a schierarsi; dall’altra l’innocenza strumentalizzabile di Pyle, l’ingenuità di chi si rifugia nelle teorie dei libri di scuola per non vedere da quanto sangue sono macchiati gli astratti principi che egli va propagandando (“Non ho mai conosciuto un uomo che avesse ragioni migliori per tutti i guai che combinava”). Sono due uomini che vanno tenacemente in direzioni opposte e inconciliabili, forse addirittura rappresentano due facce della stessa medaglia: fatto sta che in mezzo sta Phuong, la ragazza vietnamita, compagna prima di Fowler, poi di Pyle, infine, dopo la morte dell’americano, di nuovo di Fowler, la quale (proseguendo nel nostro azzardato esercizio metaforico) è un po’ il simbolo di un paese irriducibile agli sforzi di comprensione e di assimilazione dell’Occidente, un paese dignitoso, composto e pudico, nonostante venga continuamente conteso e violentato da un mondo straniero, guerrafondaio, imperialista, anche quando si presenta con il sorriso paternalista di colui che fa tutto quanto solamente per il suo bene.
“L’americano tranquillo” è un romanzo estremamente attuale. La guerra colonialista dei francesi narrata da Greene non può infatti non portare alla mente i tanti, troppi conflitti (dal Vietnam degli anni ‘60 fino all’Iraq del decennio scorso) con i quali l’Occidente ha preteso di ergersi a guardiano planetario della libertà, della democrazia e dei diritti umani, e ha invece tristemente lasciato dietro di sé solo dolore, rabbia e distruzione. Greene mette in guardia da chi (come Pyle) è ingenuamente convinto, magari in buona fede, che è possibile (e addirittura doveroso) esportare la democrazia con l’aiuto delle armi. E’ significativa la scena in cui Pyle, trascinato da Fowler nel luogo della strage provocata dalla Terza Forza che l’America sta segretamente sostenendo, inorridisce guardandosi le scarpe macchiate dal sangue delle incolpevoli vittime. Alla fine Fowler deciderà di tradire Pyle, consegnandolo alla resistenza vietnamita. A suo modo è costretto a prendere posizione, come già avevano preconizzato Vigot, il capo della polizia che ama citare Pascal («Anche lei è engagé, come tutti noi.»), il capitano Trouin («Non sono coinvolto.» «Lo sarete tutti un giorno… In un momento di emozione ci facciamo coinvolgere tutti, e poi non se ne esce più.») e il signor Heng («Prima o poi bisogna scegliere da che parte stare, se si vuole restare umani»). Ma la scelta di Fowler non è quella, facile, obbligata e un po’ manichea, di chi ha riconosciuto il proprio errore e si comporta di conseguenza per emendarlo (è la scelta, comune a moltissimi personaggi di film e romanzi, di chi sceglie alla fine di stare dalla parte giusta, cioè dalla parte dei buoni contro gli odiosi cattivi). Greene infatti, come si è già detto più sopra, è un maestro dell’ambiguità. Il suo stile a prima vista è il massimo della trasparenza, è secco, conciso, quasi giornalistico, non si sofferma né in descrizioni ambientali né in dettagli psicologici, ma, con le sue geniali, inaspettate e lapidarie epifanie (debitrici spesso dei meccanismi del romanzo giallo), lascia intravedere un universo pieno di dubbi, di rimorsi, di menzogne e di secondi fini non dichiarati. Fowler sa di avere condannato a morte Pyle, ciononostante cerca, contro ogni verosimiglianza logica, di convincersi che gli sgherri del signor Heng adotteranno con l’americano metodi non violenti; inoltre agli scopi ideali (impedire il ripetersi di orribili stragi come quella a cui è stato costretto ad assistere a Saigon) si intrecciano fini assai meno nobili (Pyle gli ha sottratto Phuong, la donna che era l’unica ragione della sua vita, e uccidendolo egli può sperare di riaverla con sé). Quello di Greene è un mondo dai contorni incerti, sfumati, in cui il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, si confondono facilmente tra loro e solo un atteggiamento di cristiana compassione (quello che alla fine permette a Fowler di comprendere e far suo il dolore dell’”odioso” Granger) permette al lettore di trovare una corretta chiave di interpretazione.
Il lieto fine (l’inatteso ricevimento del telegramma con cui la ex moglie di Fowler accetta di concedere quel divorzio che gli permetterà di sposare Phuong) può, alla luce di quanto si è detto, lasciare interdetti. Ma in fondo, per chi conosce solo un poco Greene non c’è alcuna sorpresa: l’happy end è solo una ironica strizzatina d’occhio al lettore, un giochetto innocuo e beffardo che non muta il carattere fortemente problematico dell’opera. Qualche riga prima della lettura del telegramma, il quale, come le agnizioni nel teatro di Goldoni o di Molière, risolve provvidenzialmente i problemi del protagonista, Phuong torna infatti dal cinema e, commentando la trama del film appena visto e terminato con il ghigliottinamento della protagonista, afferma: “Preferisco i film che finiscono bene… Io penso che questo sia un punto debole della storia. Dovevano lasciarla fuggire. Poi potevano fare tutti e due un sacco di soldi e se ne sarebbero andati all’estero, in America… o in Inghilterra”. Più chiaro di così…

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"I fratelli Karamazov" di Fedor Dostojevskij
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L'americano tranquillo 2011-06-22 08:54:36 joshua65
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joshua65 Opinione inserita da joshua65    22 Giugno, 2011
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Indocina Mon Amour

Graham Greene ha avuto una vita avventurosa, ha viaggiato moltissimo ed ha scritto tanti libri. Molti di questi ripercorrono fatti ed esperienze da lui vissute, si ispirano a persone incontrate. E’ stato redattore del Times, ha collaborato con il controspionaggio inglese, è stato più volte corrispondente all’estero.

Il periodo tra i più affascinanti vissuti dal nostro ispira “L’americano tranquillo”, uno dei libri più riusciti di Greene. Lo scenario è subito di quelli tosti. Siamo nel Vietnam, è il 1952, l’anno del tramonto del colonialismo francese in Indocina, qualche anno prima che gli Americani inizino la loro assurda guerra in nome del “Domino Effect”. Sappiamo tutti com’è finita.

Qualcuno in meno (sicuramente io) sa che la Saigon di quegli anni, tra militari francesi, neutrali corrispondenti inglesi, giovani patrioti americani e belle vietnamite è uno scenario perfetto dove collocare un thriller spionistico dai risvolti gialli. Greene, per l’appunto, ci riesce in pieno.

Fowler, reporter inglese, cinico e disilluso, ha ritrovato uno scopo nella vita grazie a Phuong, giovane vietnamita, che vorrebbe sposare, ma che non può perche la moglie non vuole concedergli il divorzio. Pyle, è l’americano tranquillo, giovane ed intriso di Democrazy, appena arrivato in Vietnam, inizialmente non è chiaro perché.

Pyle una sera conosce Phuong e se ne innamora, chiede a Fowler di farsi da parte, perché lui non può sposarla, Pyle invece la ama e vuole portarla con sé in America. La determinazione di Pyle lascia Fowler nello sconforto, anche perché la moglie ha confermato ancora una volta di non volerlo lasciare, è cattolica non accetta il divorzio, inoltre il suo periodo di corrispondente estero in Vietnam sta per terminare. Una sera Pyle deve incontrarsi con Fowler in un ristorante, ma a quell’appuntamento l’americano tranquillo non arriverà mai.

La storia è questa, ma non è scritta così. Il libro parte a razzo con la morte di Pyle e tra flash-back e come-back al presente, si sviluppa attraverso l’istruttoria di Vigot, il commissario della Sureté francese incaricato di indagare sul misterioso attentato.

Scavando nei ricordi di Fowler, conosceremo le sue convinzioni, ma soprattutto le sue debolezze(*), e verremo a capo della soluzione inaspettata della trama, tessuta fino a quel momento in maniera praticamente perfetta.

(*) “Siamo troppo piccoli nel corpo e troppo meschini di mente per possedere un’altra persona senza soccombere all’orgoglio, o essere posseduti senza sentirci umiliati”

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ed ama la letteratura inglese ed americana
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L'americano tranquillo 2010-06-21 12:49:17 Arcangela Cammalleri
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Arcangela Cammalleri Opinione inserita da Arcangela Cammalleri    21 Giugno, 2010
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L'americano tranquillo di Graham Greene

Nella dedica iniziale a degli amici di Saigon, Greene precisa che questo è un racconto, non un libro di storia, per cui i fatti reali sono stati in qualche modo rimaneggiati, ciò non toglie che i fatti stessi narrati rispecchiano riflessioni, considerazioni ed attività realmente vissuti dallo scrittore durante la sua esperienza come inviato speciale anche in Indocina.
Siamo nel marzo 1952, a Saigon, durante la guerra tra Francia e Indocina, il cinquantenne cronista, o meglio come ama definirsi reporter, inglese Thomas Fowler conosce un giovane funzionario americano della Missione per gli aiuti economici Alden Pyle; tra i due nasce, nel breve rapporto intercorso, una forma labile di amicizia messa in crisi dall’amore per una stessa giovane vietnamita, la dolce Phuong “Fenice”. Il giallo assume i connotati del poliziesco psicologico nell’istante in cui Pyle viene ucciso in circostanze misteriose e Fowler cercherà la verità ripercorrendo nella memoria
tutti i momenti passati insieme, da quando tutto era cominciato, a Pyle che si era seduto al suo fianco al Continental e…alla sua morte che gli arreca dispiacere. Al centro dell’opera si pone il confronto tra due personaggi implicati in uno stesso conflitto, ma con atteggiamenti opposti: Fowler disincantato e cinico, con un matrimonio in rotta di collisione ricorre all’oppio come rimedio al tormento delle sue angosce private e Pyle, apparentemente ingenuo, è considerato un uomo tranquillo, mosso da ideali patriottici che legittimano la presenza degli USA nei punti caldi del mondo. Emergono due tipologie umane bifronti, Fowler considera con triste distacco e consapevolezza e la ruvidezza di cui è fatta la sua professione: “Ero un corrispondente e pensavo per titoli: Funzionario americano assassinato a Saigon. Nel giornalismo non si impara come comunicare le cattive notizie” e gli accadimenti bellici che diventano una sorta di amara riflessione sugli uomini e il mondo, Phyle imbevuto del sogno americano non esita a diventare complice di una serie di sanguinosi attentati su civili per favorire il sospetto dell’opinione pubblica contro i comunisti. La storia narrata ha tutti gli ingredienti tipici del giallo e del giallo di marca Greene: la suspense, i colpi di scena, il messaggio altamente etico sugli uomini sia carnefici sia vittime, l’amore tormentato per una donna più giovane. Greene nell’intreccio privilegia la dimensione morale e una posizione personale emotiva più che politica di fronte ai tragici eventi militari; i dubbi interiori di Fowler cozzano con le certezze granitiche di Pyle, ma “prima o poi bisogna scegliere con chi stare, se si vuole restare esseri umani”. Sul piano linguistico, la scrittura scivola come la sabbia nella clessidra, regolare, precisa e chiara: un formidabile uso dello strumento espressivo che rende agevole e interessante la lettura.

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Altri libri dello stesso autore e ne apprezza lo stile e gli intrecci particolari.
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