Poesia Poesia italiana Prigioniere del silenzio
 

Prigioniere del silenzio Prigioniere del silenzio

Prigioniere del silenzio

Letteratura italiana

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Un libro di poesie dedicate alle diverse forme di sofferenza delle donne, specie nelle loro relazioni con gli uomini: si tratta di una problematica con risvolti sociali e relazionali, in particolare perché spesso si pone come motivo per rimarcare la differenza di genere senza giungere ad una soluzione conciliativa, che si potrebbe (forse) ottenere se invece si cercassero gli aspetti che accomunano uomini e donne, come persone. Diventa dunque abbastanza azzardato scendere in campo in un discorso che riguarda espressamente i rapporti uomo-donna, quali quelli delineati in questo libro, soprattutto quando riguardano coppie, perché si rischia di scivolare su una sorta di terreno minato, se si tenta di prendere le parti dell'uno o dell'altra. (dalla prefazione di Valentino Vitali)



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Prigioniere del silenzio 2010-12-10 09:34:58 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    10 Dicembre, 2010
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Una silloge scrosciante di parole e di lacrime

Se devo essere sincero non ho mai pensato alla sofferenza delle donne, soprattutto per quanto concerne i loro rapporti con gli uomini. La domanda, o meglio le domande, sono sorte spontanee leggendo questa silloge di Maria Carmen Lama e sono stato indotto a fare un esame di coscienza, dal quale sono uscito assolto (ma il giudice sono io). Un senso di colpa, però, mi è venuto poiché mai avrei immaginato che questo fenomeno avesse caratteristiche così ampie.
Quindi, se uno degli scopi di Prigioniere del silenzio era quello di allertare, di denunciare una situazione, questo è stato senz’altro raggiunto.
Non sono teneri, questi versi, nei confronti dei maschi, visti come egoisti ed egocentrici (Tu, maschio, / che vivi solo di te stesso – ( Non uomo, / solo maschio! / Assente, / nella tua presenza. / Debole, nella tua arroganza / che credi forza. /…).
E lirica dopo lirica la dose si rincara ( Sai scorticare / le ali di una farfalla, / sai calpestare / senza neppure vederlo / un bel fiore rosso, / dai morbidi / e delicati petali / come il papavero, / sai colorare di nero / la luna piena, /…).
Insomma, c’è di che restare basiti e, francamente, ogni tanto, fra un verso e l’altro, sono assalito dal timore di non essere io stesso immune da simili comportamenti, insomma, magari inconsciamente, di essere succube di un Dna che caratterizza il maschio.
Mi chiedo allora se più che un odio degli uomini nei confronti delle donne sia presente invece un senso di rivalsa delle stesse nei confronti dei maschi per quell’atavica sottomissione che, a dispetto di leggi e costituzioni, permane e serpeggia magari travestita da malcelato buonismo.
(…/ Griderei forte / soltanto / per far svanire / d’un colpo / quel battito d’ali / / che ti condusse / a me.).
In questi versi si mescolano un rigetto improvviso con la sensazione di aver sbagliato in passato, magari di aver creduto in buona fede. Vero è che le situazioni non sono tutte uguali e che quindi sarebbe ingiusto generalizzare, ma sono dell’opinione che questo grido di dolore, se pur così ben delineato, più che aiutare a risolvere il problema lo enfatizzi.
Comunque, meglio alzare i toni, magari anche tanto, piuttosto che il silenzio, che potrebbe essere scambiato per accettazione di una condizione che non deve esistere.
C’è indubbiamente una distanza fra l’uomo, inteso come essere umano, e il maschio, ed è giusto che esista; il problema sorge quando l’aspetto istintivo, la radice bestiale prendono il sopravvento, determinando così un individuo sostanzialmente immaturo perché più maschio che uomo.
Non si deve, in verità, generalizzare, ma, purtroppo, non è infrequente ed è di questi bambini mai diventati adulti che parla questa silloge, interessante, incalzante, senza accidia, scrosciante di parole e di lacrime.
Da leggere, senz’altro, e per il tema trattato e per come, egregiamente, è stato svolto.

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