Poesia Poesia italiana Quadro imperfetto
 

Quadro imperfetto Quadro imperfetto

Quadro imperfetto

Letteratura italiana

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"Resto donna di scogliera fiore di cisto selvatico nel taglio del vento nel segno del sale. Aperta agli azzurri senza nome alla ruota del sole alla gioia della terra."



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Quadro imperfetto 2019-02-15 16:46:38 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    15 Febbraio, 2019
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“Resto donna di scogliera”

È poesia di vento e di mare, d'attesa e solitudine antica quella che prende vita tra le pagine dell'ultima raccolta poetica di Stefania Onidi, “Quadro imperfetto”, bellissima silloge pubblicata sul finire dello scorso anno da Bertoni Editore di Perugia; impreziosiscono il libro numerose illustrazioni della stessa autrice, apprezzata artista anche in ambito pittorico.
Come innumerevoli fili di una tela, i versi s'intrecciano l'un l'altro componendo un legame d'amore che interroga l'onda e la “rabbia azzurra” che s'infrangono a riva, così come i profondi silenzi che scavano nell'anima.

“Dal centro del mio silenzio nasce il filo./ Seme sonoro di tessitura/ leggera. Io canto. Io accolgo.” (da “La domanda”)

Una scrittura intrisa di sorprendente sensualità e grande fascino, estremamente intimistica, questa della Onidi, che inizia ben presto a evocare terracquee atmosfere mediterranee, ribadite in chiusura dell'opera dalla suggestiva lirica intitolata “Identità”:

“Resto donna di scogliera/ fiore di cisto selvatico/ nel taglio del vento/ nel segno del sale./ Aperta agli azzurri senza nome/ alla ruota del sole/ alla gioia lenta della terra.”

Scorre fluente la penna dell'autrice, tra apnee necessarie e notti insonni che scendono come castighi, dando voce a sogni, speranze, illusioni di una donna che cerca di sopravvivere al dolore di un'assenza e che tesse, come una nuova Penelope, una tela destinata a restare incompiuta.

“Questa tela non vedrà la fine/ rimarrà incompiuta. Il telaio è morto./ […] Ho sempre ignorato le tue rotte/ non ho mai saputo di Circe o Calipso/ ho sempre guardato le mie mani, vuote di te,/ e di quel tuo nome sconosciuto ho ricamato/ il ricordo.” (da “La versione di Penelope”)

Echi di mito, in dosate e seducenti sfumature, si ritrovano tra i versi che inseguono il vento o che esplodono lenti nella solitudine del talamo, mentre la parola aiuta a tenere in vita l'inconsistenza di un nome che si fa polvere nel vuoto di un piatto e ad approdare, seguendo la corrente di un pensieroso mare, all'agognata carne dalle carezze non date. Una Penelope, tuttavia, a poco a poco non più in trepidante e speranzosa attesa che giungano notizie dall'azzurro orizzonte d'acqua, ma infine determinata, dopo aver assaporato l'amarezza della disillusione, a lasciar “migrare il tempo” e a liberarsi “dalle scorie” di colui che è assente, poiché se “il viaggio è la sua casa”, non ci sarà ormai più alcun ritorno da aspettare: sofferta e coraggiosa presa di coscienza suggellata dal fermo“Così è deciso” che sembra non ammettere repliche né ripensamenti.

“[...] E qui rimani nel gesto immaginato di un bacio/ nel raggio spettinato del giorno/ che svuota parole e riempie silenzi.” (da “Analisi”)

Pagine di profonda intensità che parlano al cuore di quell'io poetico senza tempo e luogo in cui ci specchiamo tutti, al quale l'incanto della poesia può persino raccontare che, in fondo, l'odissea del viaggio talvolta è quella di chi resta, non sempre quella di chi parte.

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