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L'isola dei pirati
 
L'isola dei pirati 2013-08-06 19:13:40 Todaoda
Voto medio 
 
2.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
1.0
Piacevolezza 
 
3.0
Todaoda Opinione inserita da Todaoda    06 Agosto, 2013
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Sprazzi di involontario buon umore

Corsari, pirati, ladri, assassini, politici corrotti e lacchè, malavitosi, farabutti di varia foggia e natura, sadici, profittatori, barboni, ubriaconi, sgualdrine per necessità e sgualdrine per vocazione, avventure leggendarie, missioni impossibili, duelli navali al ritmo delle bordate dei cannoni seicenteschi, mostri marini, fortezze da espugnare, belle e lascive fanciulle da salvare, indigeni guerrafondai e con una serie predisposizione all’idiozia e per finire doppiogiochisti, lurida feccia, traditori di basso retaggio e intrighi politici internazionali e tra tutti questi l’eroe maledetto, l’angelo dalla faccia imbrattata del maleodorante sudiciume da cui proviene, il capitano protagonista e la sua ciurma di sbandanti ognuno tuttavia illuminato da un’insospettabile misericordia e ognuno con una sospetta virtù marinara puntualmente indispensabile all’evoluzione del romanzo. Ho già accennato ai mostri marini? E alle sgualdrine? Probabilmente sì, be non sono il solo: questo romanzo, che si dice trovato con fortuito tempismo nel pc del sig. Crichton proprio mentre, pace all’anima sua, veniva meno alla vita sul pianeta Terra, è ne più ne meno che un enciclopedico elenco di luoghi comuni del genere piratesco. I personaggi che popolano le pagine del libro sono così piatti e così canonici da risultare delle farse, farse di loro stessi. La raccapricciante periodicità delle sventure che il capitano protagonista de “l’isola dei pirati” è costretto ad affrontare, sono leggendarie, ma non come i miti e le storie che si tramandano i vecchi mariani le sere d’inverno nelle locande fumose al limitare dei porti (mi scuso per la banale immagine, ma certe letture sono contagiose), bensì come il primo film del rag. Ugo Fantozzi la cui sfiga colossale è del tutto equiparabile a quella del capt. Hunter, sopracitato protagonista del romanzo di Crichton, o al limite a quella di Paperino altrettanto eroico e sfigatissimo protagonista (vestito per giunta alla marinara! Alle volte le coincidenze…) della fumettistica Disneyana. E l’ultimo paragone forse è ancora più azzeccato: qui, nell’isola dei pirati, si legge di personaggi farseschi, avventure rocambolesche e variopinti mondi, pittoreschi quanto le pagine colorate di un giornalino, e proprio come con un giornalino è impossibile leggere questo romanzo senza riderci su costantemente. Non si tratta però di un riso cattivo, di scherno, ma più di un sorriso bonario, ingenuo e accomodante. Sembra quasi che l’autore abbia apposta voluto lasciarci con questa sua ultima opera (al tempo della stesura della recensione non credevo realizzabile il miracolo che ha fatto sí che si rinvenisse, mimetizzata tra i frondosi meandri del suo portatile, un'altra ultima storia!) per dirci, per consigliarci, di sognare felici e non prendercela troppo per le sventure quotidiane poiché la vita non è una roba seria. Che volete che sia se uno fora di notte due gomme in una strada di campagna a meno dieci gradi con la batteria del cellulare scarico, rispetto all’affrontare niente popò di meno che il kraken armati solo di uno temperino? Cosa volete che sia essere cornificati dalla propria moglie con il vicino, che essere cornificati, sempre dalla propria moglie, ma con il re di Inghilterra, il governatore della Giamaica, un pirata sex symbol, e buona parte della feccia di Port Royal?
Già proprio così, questo è il tenore di sventure (o avventure dipende dai punti di vista) che sono costretti ad affrontare i personaggi del romanzo. Impossibile non riderci su. Crichton con questa sua ingenua e ironica farsa sembra esortarci, spronarci, a prendere tutto per scherzo o almeno con allegria, poiché niente merita la nostra tristezza, niente merita le nostre tribolazioni, niente merita le nostre preoccupazioni… a meno che appunto l’indomani non vi impicchino, a meno che non dobbiate fuggire da un galeone spagnolo incazzoso, a meno che non siate alla resa dei conti con un polipone ipertrofico.
Se questo, quello farsesco, era il reale intento dell’autore il libro merita una considerazione spudoratamente elevata, ma ahimè ho fortissimi dubbi che l’ironia che pervade tutta la narrazione sia volontaria e costruita ad arte. Sembra piuttosto frutto del lavoro incompiuto di uno scrittore che per anni ha conservato la bozza di un romanzo senza decidersi a pubblicarla finché non riuscisse a darle un minimo di credibilità e che poi, al momento della sua dipartita, per via di quella insaziabile sete di danaro degli editori, la medesima opera sia stata rabberciata in qualche modo e mandata in pasto ai lettori che, influenzati dalle tematiche recentemente tornate in auge e dall’ effetto “ultima opera postuma dell’autore recentemente mancato”, immancabilmente hanno abboccato come degli ingordi pescioloni. E il sottoscritto è uno dei più ingordi di tutti!
Questa mia ultima ipotetica considerazione è supportata tra l’altro dalla mancanza d’un fattore che in maniera oggettiva e indiscutibile tutti i più affezionati lettori di Crichton avranno notato: in questo libro a differenza dei suoi altri non c’è l’approfondimento: la dettagliata, specifica, talvolta addirittura estrema ricerca minuziosa alla quale l’autore di Jurassic Park ci aveva abituato con la sua precedente narrativa. Certo in un libro di pirati non ci si può addentrare nei principi della biologia, della genetica o della fisica, ma in quelli della ricerca storico/storiografica sì. Era naturale aspettarselo, ed invece i cenni storici qui sono appena abbozzati, gettati la alla bell’e meglio, proprio come in una prima stesura di un lavoro che deve essere ancora ampliato e rifinito. Michael Crichton come molti suoi colleghi poteva essere definito uno scrittore commerciale, con i soliti pregi e i difetti che comporta questa gretta classificazione, ma una cosa lo differenziava dagli altri, non lo stile, non il ritmo o la profondità dei suoi personaggi, ma l’immaginazione e la ricerca puntigliosa nel reale per supportare e dare credibilità alla sua indole di sognatore.
In questo romanzo purtroppo mancano entrambe queste sue due prerogative e il libro rimane piatto e banale come fin troppi altri.
Non tutto il male però vien per nuocere, è vero infatti che se tutta la letteratura dell’autore è pervasa dalle note della sua fervida fantasia a scapito di uno stile quanto mai canonico, in questo libro è l’esatto contrario e i sognanti voli fantascientifico/fantastici a cui ci aveva abituato lasciano il posto ad uno stile asciutto, brusco, ruvido che si addice talmente bene ai temi trattati che verrebbe naturale definirlo “corsaro.” Purtroppo anche in questo caso la mia natura sospettosa mi porta a riflettere se questo nuovo e affascinante vocabolario dell’autore sia il frutto di una cosciente ricerca nell’affinazione linguistica o ancora un triste effetto collaterale della mancata limatura del romanzo.
In conclusione L’isola dei pirati probabilmente rimarrà nella storia della narrativa esclusivamente per il fatto che si tratta dell’ultimo romanzo di uno dei più celebrati scrittori degli ultimi trent’anni (vedasi parentesi precedente o quella prima ancora), ma quanto a originalità e profondità lascia molto a desiderare. Tuttavia vuoi per il sopracitato stile “innovativo”, vuoi che sarebbe ingiusto dire che non mi ha intrattenuto, specialmente durante le peripezie navali tra i velieri duellanti, così tipiche eppure così divertenti, e vuoi perché, e qui i romantici simbolismi potrebbero veramente sprecarsi, voltando l’ultima pagina di quest’ultima opera mi accorsi che un gabbiano si era appollaiato vicino ai miei piedi e probabilmente era rimasto per diversi minuti ad osservarmi prima di volare via al suono del libro che veniva riposto sul pavimento del terrazzo in riva al lago presso il quale mi trovavo in quel freddo pomeriggio novembrino (anche se sarebbe stato preferibile un pappagallo, magari bendato, e un terrazzo in riva al mare, in un umido ed estivo pomeriggio caraibico, ma non si può avere proprio tutto dalla vita), vuoi tutto questo, vuoi che in fondo Michael Crichton, porca di una miseria!, è pur sempre Michael Crichton, non mi sento di condannare questo libro come illeggibile. Certo non è dei più originali e non è dei più complessi e interessanti, ma al diavolo!, proprio come ai bei tempi: con il re del tecno-thriller il divertimento è assicurato! …anche se a badare solo alla logica mai considerazione finale fu meno azzeccata.

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