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Il mambo degli orsi
 
Il mambo degli orsi 2017-04-29 13:10:43 catcarlo
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
catcarlo Opinione inserita da catcarlo    29 Aprile, 2017
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Nei peggiori bar del Texas

L’idillio fra il tenente Hanson e Florida, sbocciato sul finire di ‘Mucho mojo’, dà l’idea di essere già ai titoli di coda. La ragazza è partita per Grovetown con lo scopo di indagare sul misterioso suicidio di un nero in galera e il poliziotto chiede a Hap e Leonard di andare a dare un’occhiata perché non vuol apparire troppo invadente. La sua preoccupazione nasce dal fatto che la donna è diretta in un postaccio dove le leggi sui diritti civili non esistono e il Klan risolve spesso le questioni con le piume e il catrame quando non con la corda saponata. Una volta giuntavi, l’ormai rodata coppia scopre innanzitutto che il defunto è l’unico argomento che mette d’accordo i villici a prescindere dal colore della pelle: un figlio di buona donna che ha fatto l’unica fine che si meritava. Florida però non si trova e il muro di gomma pare inscalfibile, tra uno sceriffo pieno di pregiudizi e una popolazione ottusamente razzista in cui si distinguono alcune, un po’ incongrue eccezioni: lo scorrere delle pagine dimostra che, quanto meno in qualche caso, l’impressione iniziale non è sempre quella giusta, ma prima di arrivarci i nostri devono passare per una memorabile scarica di botte e un agguato dei klansmen che fallisce in buona sostanza per l’insipienza di questi ultimi. Come accade anche in altri episodi, l’intera faccenda ri rivela originata da una banale questione di soldi, ma serve all’autore per disegnare l’ennesimo ritratto impietoso di un Texas impoverito e brutale i cui abitanti sono, con pochi e (nemmeno del tutto) lodevoli casi a parte, brutti, sporchi e cattivi. Va da sé che in una simile campionario umano, l’avidità possa essere il primo motore della storia, ma essa va di pari passo con l’ignoranza che è madre di tutte le idee bacate: ne escono così personaggi al limite della caricatura (se non altro si spera…) che si muovono in luoghi miserandi da cui scappare a gambe levate. Ad aggravare l’atmosfera plumbea contribuisce pure la meteorologia perché la vicenda è ambientata durante delle piovosissime festività natalizie – a loro modo indimenticabili restano gli alberi di Natale in metallo diffusi a Grevetown – che riempiono il volume di umidità e di fango: neppure l’umorismo di Lansdale e le acrobazie verbali che lo scrittore regala ai protagonisti riescono appieno a controbilanciare la complessiva sensazione di cupezza. Dopo un inizio scoppiettante (fiammeggiante, a dire il vero) in cui Leonard dà una nuova lezione ai suoi vicini spacciatori, il romanzo si avvia su di una china oscura dalla quale neanche il finale può farlo uscire: facile sia piaciuto soprattutto a chi preferisce immergersi lentamente dentro una narrazione, mentre chi è alla ricerca dell’azione e dell’adrenalina potrebbe pensare che manchi qualcosa.

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