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Triste, solitario y final
 
Triste, solitario y final 2019-05-09 08:24:41 FrancoAntonio
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    09 Mag, 2019
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Ma il vecchio comico dimenticato dov'è?

Era da tempo che avevo messo tra la lista dei libri da leggere il romanzo di Soriano, spesso magnificato come un piccolo capolavoro, per certi versi superiore al romanzo da cui prende spunto: “Il lungo addio” di Chandler. Avevo letto ed apprezzato il giallo hard-boiled americano ed ero incuriosito dalla sua trasposizione in chiave argentina. Finalmente sono riuscito a trovare un po’ di tempo da dedicargli, ma l’impressione che ne ho ricevuto è stata ambivalente.
Mi aspettavo una versione ironica e caricaturale del romanzo che ha per protagonista il sagace Philippe Marlowe, tuttavia la storia è parecchio diversa e ben più strampalata di quanto mi aspettassi. In effetti la parodia c’è, ma è così surreale, trasognata e stravagante che non risulta chiaro quale sia il suo obiettivo. I personaggi si muovono sgangheratamente in una Los Angeles dei primi anni ’60, che non è credibile neppure per un argentino che non abbia mai visitato la città e si sia fatto un’idea confusa di essa visionando solo qualche filmetto di serie B.
La trama è una collana sgranata di episodi per lo più privi di alcun senso, intervallati da una serie infinita di scazzottate stile slapstick comedy o da sparatorie più consone ad una gangster story con Al Capone e la sua gang. Il malinconico e disincantato detective di Chandler in questo romanzo si trasforma in un individuo bolso e instupidito che reputa l’uso delle mani e della pistola unico sistema per dialogare con il prossimo. In queste scombinate avventure gli fa da spalla lo stesso Soriano, quale improbabile socio ancor più impacciato ed inconcludente di lui. I comprimari sono spesso i grandi nomi dello star system hollywoodiano di quegli anni (John Wayne, Dick Van Dyke, Jane Fonda, Charles Bronson, James Stewart, Chaplin), ma con le caratteristiche caricaturali dei personaggi dagli stessi interpretati sullo schermo. Per di più sono tutti dipinti come luride carogne arroganti e prepotenti circondati da gorilla pronti a mettere le mani sui grilletti o sui manganelli. Perché mai?
Mi aspettavo che la trama fosse incentrata sulla triste vecchiaia di uno Stan Laurel rifiutato da tutte le major cinematografiche, ma Stanlio fa solo alcune brevi comparsate e la stessa indagine sulle ragioni di quell'oblio si perde per strada divenendo inconcludente e vacua; alla fine, se ne perderà ogni traccia.
I primi capitoli (tra i migliori) danno l’impressione di entrare in una vecchia dimora abbandonata, dove tutto il mobilio sia incipriato da uno spesso strato di polvere che ne ottunde i contorni ed offusca i colori in una foschia nostalgica. Leggendo ho provato una acuta malinconia per quel glorioso passato negletto, poi, però, con l’accelerare forsennato delle assurde vicende, si perde il filo narrativo e si confondono i confini tra realtà e incubo allucinatorio. Sembra quasi di trovarsi ad assistere ad uno di quei cortometraggi a disegni animati degli anni ‘30 in cui i personaggi reali sono coinvolti assieme a quelli dei cartoons in vicende surreali inventate solo per provocare sgangherate risate. Alla fine sembra di assistere ad una gara di freccette ove i bersagli sono stati sostituiti da volti di personaggi famosi. Le pagine conclusive, le più belle di tutto il libro, stendono un velo di pessimismo esistenziale su tutta la vicenda precipitando il lettore in un pozzo di mestizia.
Ho cercato di esaminare la storia dal punto di vista di un sudamericano degli anni ‘70, amareggiato e deluso dal generale comportamento degli yankee nei confronti del suo paese e, in parte, ho compreso lo stato d’animo dissacrante di Soriano. Ma anche così ho fatto fatica ad appassionarmi alla sua storia: in genere, si sa, l’unico che si diverte a “disegnare i baffi alla Gioconda” è l’autore, non certo chi assiste allo sfregio.
Insomma, l’ho trovato un libro troppo scombinato per essere veramente gradevole. Peccato, perché l’idea di partenza era estremamente stimolante e alcuni passaggi sono molto ben scritti.

Un ultima considerazione sulla trasposizione nella nostra lingua: spesso mi sono trovato di fronte a frasi con evidenti assonanze castigliane che usano termini tradotti in italiano in modo piuttosto grossolano. Poiché rendono male l’idea che si vorrebbe trasmettere mi sono domandato: sono veri errori di traduzione o sono imprecisioni volute solo per sottolineare la prospettiva argentina del racconto?

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15 Mag, 2019
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