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It's not science, it's a lovecraftian monster!
Ultimamente la mia esplorazione della bibliografia kinghiana è proseguita in modo discontinuo e randomico, con volumi scelti quasi a caso: perché trovati in vendita a poco prezzo oppure ricevuti in regalo. Per il 2026 ho intenzione di essere un po' più rigorosa, affrontando con una precisa intenzione le antologie del caro Stephen, ma nel frattempo concludo l'anno in corso con "Revival"; titolo ben poco chiacchierato, forse per la trama non proprio lineare o forse per le copertine tristi e banali che gli sono state assegnate. Devo dire che anch'io trovavo poco accattivante quella della mia copia (con quella specie di croce in CGI mal illuminata!), eppure la sinossi mi intrigava parecchio. Sinossi che però trovo giusto mettere in chiaro fin da subito è decisamente fuorviante.
Di base seguiamo una storia di formazione che copre l'intera vita del protagonista e narratore Jamie Edward Morton, in modo principalmente episodico. Con qualche eccezione marginale, le vicende raccontate si concentrano sul suo rapporto con Charles Daniel Jacobs, inizialmente introdotto come il nuovo reverendo di Harlow, la cittadina del New England in cui il bambino vive nei primi anni Sessanta. Il legame tra i due è subito forte, e permette di introdurre la passione di Jacobs per l'energia elettrica con cui si diletta a creare piccoli giochi, ma sulla quale basa anche degli studi meno innocenti. Tutto procede serenamente per qualche anno, finché un evento tragico non giunge a sconvolgere la visione del mondo dell'uomo che, persa completamente la fede religiosa, viene allontanato dai suoi concittadini. Lui e Jamie si rincontrano trent'anni dopo, quando quest'ultimo ha raggiunto un punto di non ritorno a causa della tossicodipendenza, ma il loro addio è ancora lontano.
Mi tolgo subito il dente: questa struttura a puntate non mi ha fatto impazzire. In primis, perché rende molto più difficile affezionarsi ai personaggi e farsi coinvolgere nelle loro vicende personali, ma anche per aver lasciato spesso in secondo piano il personaggio di Jacobs. Capisco la ragione dietro alla scelta di Jamie come protagonista, ma ciò porta a un numero ristretto di interazioni tra i due, così sappiamo pochissimo del percorso dell'ex reverendo e al contempo il rapporto di antagonismo tra loro non risulta così significativo, mentre tutto nella narrazione ci indica sia centrale. Verso l'epilogo il motivo per cui Jamie arriva a detestare Jacobs è palese -e condivisibile anche dal lettore-, ma prima abbiamo centinaia di pagine in cui sembra avercela con lui a torto ed esserne ossessionato più per principio che per una reale colpa dell'altro.
Oltre a rimpiangere l'assenza del POV di Jacobs, tra gli aspetti meno riusciti includo la lentezza con cui si sviluppa lo spunto principale, come anche la trama in generale. Non ho trovato l'intreccio particolarmente avvincente o capace di stupire: la direzione generale è abbastanza chiara, mentre le sottotrame collaterali hanno ben poca rilevanza e si riducono a brevi momenti di quotidianità che vengono sfruttati soprattutto per approfondire le relazioni personali del protagonista. È così che personaggi anche molto interessanti finiscono per rimanere poco più di comparse oppure relegati a brevi trafiletti per spiegare la loro uscita di scena dalla vita di Jamie.
Se non sono riuscita ad apprezzare il loro impiego nel romanzo, non posso però dire che questi caratteri siano delineati in modo superficiale o incoerente. Ancora una volta, il caro Stephen dedica molta cura all'aspetto della caratterizzazione, creando un cast di figure tridimensionali e carismatiche, che neppure la narrazione sincopata riesce a far risultare dimenticabili. Attraverso le loro interazioni, l'autore riesce a descrivere delle scene estremamente incisive sul piano emotivo, in particolare nei momenti in cui Jamie si confronta con i suoi familiari, con il suo datore di lavoro Hugh Yates, e ovviamente con la sua cosiddetta nemesi Jacobs. Proprio per questo mi spiace che le loro interazioni non siano più frequenti: quando sono in scena si percepisce con chiarezza come siano combattuti tra una spontanea simpatia e la consapevolezza di essere degli individui fallaci che risulteranno ancor più pericolosi insieme.
Per questo la prospettiva del Jamie adulto che racconta gli eventi più significativi della sua vita è a conti fatti una scelta giusta; infatti riesce a porre l'attenzione su degli elementi che al tempo presente non avrebbe considerato rilevati, motivando così la sua crescente preoccupazione verso le pratiche di Jacobs. Inoltre il suo POV è utile per includere nella narrazione una quantità di tematiche: non tutte ottengono il medesimo approfondimento, ma ritengo che King sia stato molto abile nel raccontare i sentimenti conflittuali di Jamie verso la sua famiglia, la grande passione per il mondo della musica, ma anche la prospettiva distorta nel periodo della dipendenza. Verso il finale questi aspetti cedono il passo al lato più marcatamente horror: si tratta di una svolta dalle tinte lovecraftiane, con chiarimenti quasi assenti ma degli ottimi momenti di tensione e di terrore verso l'ignoto. E seppure la risoluzione sembri un filino anticlimatica, lo considero un epilogo solido e coerente con la scrittura dei personaggi principali, perché non premia nessuno e anche chi sembra salvarsi è destinato a convivere con i propri errori.





























