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Veleno. Una storia vera
 
Veleno. Una storia vera 2022-03-08 11:42:08 GiuliaAsta89
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GiuliaAsta89 Opinione inserita da GiuliaAsta89    08 Marzo, 2022
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Una storia di imperizia e di tenebra

La storia raccontata da Pablo Trincia si può definire con una sola parola: dolorosa. E' dura leggerla, forse ben peggiore ascoltarla dalla sua voce nell'omonimo podcast.

La vicenda dei Diavoli della Bassa Modenese non può che farci riflettere sul potere della suggestione, ragion per cui fa anche tanta paura. Possibile che le insinuazioni di un gruppo di "professionisti" inesperti ed incompetenti possa minare l'amore di un figlio/a per i suoi genitori? Può un bambino essere indotto a inventare di sana pianta omicidi, violenze e rituali satanici? La risposta è purtroppo affermativa, ragion per cui non possiamo che augurarci che cose del genere non accadano mai più.

Se proprio dovessi fare le pulci allo straordinario lavoro di ricerca e di ricostruzione svolto da Pablo Trincia, avrei gradito tantissimo un approfondimento su coloro che poi sono stati effettivamente condannati all'esito delle indagini.

Vi lascio con una riflessione di Trincia che, pur non essendo genitore, mi ha profondamente colpita:
"Quella storia era come un buco nero. Più ci guardavo dentro e meno i suoi meccanismi sembravano rispondere alle norme di comportamento sociali e umane e ai rapporti di causa ed effetto che fino a quel momento avevo dato per scontati. Sembrava un universo parallelo, in cui tutto era deformato. Mi atterriva, anche se allo stesso tempo ne subivo il fascino perverso. Non riuscivo più a staccarmene. Mi stava ossessionando. Non leggevo nient’altro. Non parlavo di nient’altro. Non mi interessava nient’altro. A cena con gli amici, al lavoro, in qualsiasi posto mi trovassi, la conversazione finiva inevitabilmente su quello, con i miei interlocutori che mi guardavano straniti e atterriti. Ma più entravo dentro questa storia, più ne avvertivo il pericolo. Non aveva nulla a che vedere con nessun altro caso che avessi trattato fino a quel momento. Era fatta di una materia melmosa, appiccicosa e nera, e mi restava addosso anche per ore o giorni dopo aver chiuso fascicoli e appunti.
Mi sono sentito a disagio, profondamente confuso. Costretto, per la prima volta nella mia vita, a fare i conti con ansie e paure capaci di penetrare ben oltre quella corazza che negli anni mi ero lasciato crescere addosso per evitare di essere contaminato dalla sofferenza degli altri. I bambini le cui tragedie familiari erano diventate il mio pane quotidiano avevano all’incirca l’età dei miei figli. Cosa avevano visto o vissuto in casa? Poteva essere, come sostenevano i loro genitori, che qualcuno li avesse condizionati? E se fosse stato vero, se fosse stato possibile, può una persona qualunque essere in grado di spezzare in così poco tempo l’amore profondo che lega una madre ai figli? Ho avuto paura. Paura delle piccole cose, dei piccoli gesti quotidiani. Paura che i miei figli mi vedessero girare nudo per casa dopo la doccia e che poi magari raccontassero o disegnassero all’asilo qualcosa che qualcuno avrebbe potuto fraintendere. Paura che anche un semplice gesto come lavarli potesse un giorno ritorcersi contro di me, se qualcuno avesse chiesto loro: «Ti hanno mai toccato i tuoi genitori?» Ma non poteva essere così semplice. C’era per forza qualcos’altro tra quelle famiglie di Massa e Mirandola che io non potevo sapere. Qualcosa al loro interno doveva per forza essere accaduto. Quanto c’era di vero, in quelle centinaia di pagine che giorno e notte studiavo senza riuscire a diradare la nebbia che sembrava avvolgere ogni riga? Tutto? Non poteva essere. Niente? Non aveva senso. Solo una parte? E allora quale? Dove si nascondeva il confine tra reale e immaginario? Chi lo aveva stabilito? E come? Non c’era modo di capirlo.".

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